Bancarotta impropria da reato societario: il concorso dell’esperto estimatore (Vincenzo Giglio)

Cassazione penale, Sez. 5^, sentenza n. 21854/2024, udienza dell’1° marzo 2024, ha tracciato, conformemente ad una condivisa giurisprudenza della stessa sezione (tra le altre, Sez. 5^, n. 47900 del 13/10/2023, Rv. 285558 – 03), le coordinate della fattispecie di bancarotta impropria da reato societario.

Bancarotta impropria da reato societario

Il delitto in esame è reato proprio (non esclusivo) o a “soggettività ristretta” (come la gran parte dei reati fallimentari), nel senso che richiede la partecipazione di almeno un soggetto rientrante nelle categorie codificate dalla norma. In forza dell’art. 110 cod. pen. anche l’extraneus (es. dipendente, collaboratore, professionista esterno) può concorrere nel reato con il soggetto qualificato, fornendo un consapevole contributo morale (es. istigazione, determinazione, rafforzamento dell’altrui proposito criminoso) o materiale (es. predisposizione del bilancio falso) alla realizzazione dell’illecito, in presenza della necessaria componente soggettiva.

I reati societari specificamente indicati, i quali, a loro volta, sono reati propri, rappresentano un elemento costitutivo della fattispecie di bancarotta in esame (Sez. 5, n. 37264 del 19/06/2023) che è reato autonomo (Sez. 5, n. 15062 del 02/03/2011, Rv. 250092).

È necessario che il reato societario presupposto dalla condotta di bancarotta contestata si perfezioni in tutte le sue componenti, oggettive e soggettive: il richiamo dei reati societari, quali “fatti”, deve intendersi riferito alla “tipicità” del reato, vale a dire l’insieme degli elementi fattuali descritti dal legislatore nell’ambito di una singola disposizione incriminatrice, all’interno della quale, dunque, trova posto anche il dolo (si vedano, a questo proposito, Sez. 5 n. 28508 del 12/04/2013 e Sez. 5, n. 46689 del 30/06/2016).

Il reato di bancarotta impropria da reato societario è reato di evento, nel senso che — a differenza delle ipotesi di bancarotta fraudolenta impropria di cui al primo comma dell’art. 223 Legge fallimentare, che sono reati di pericolo — è il dissesto l’evento del reato che, come tale, deve essere causalmente ricollegabile ai reati presupposti e investito del necessario elemento soggettivo: non di meno, l’evento è integrato anche solo dall’aggravamento del dissesto, se già in atto nella società (Sez. 5, n. 29885 del 09/05/2017, Rv. 270877 – 01 e Sez. 5, n. 15613 del 05/12/2014, dep. 15/04/2015, Rv. 263803 – 01).

Quanto al coefficiente soggettivo, il dolo presuppone una volontà protesa al dissesto, da intendersi non già quale intenzionalità di insolvenza, bensì quale consapevole rappresentazione della probabile diminuzione della garanzia dei creditori e del connesso squilibrio economico (tra le altre Sez. 5, n. 23091 del 29/03/2012, Rv. 252804; Sez. 5, n. 42257 del 06/05/2014, Rv. 260356; Sez. 5, n. 35093 del 04/06/2014, Rv. 261446; Sez. 5, n. 50489 del 16/05/2018, Rv. 274449).

False comunicazioni sociali

Vanno poi richiamati gli elementi essenziali delle due condotte di reato societario contestate con il reato di bancarotta impropria.

La prima è quella delle false comunicazioni sociali, in danno della società e dei creditori, come prevista nel 2015, anno della condotta in contestazione, dall’art. 2622 cod. civ., poi rifluito nell’art. 2621 cod. civ. a seguito delle modifiche apportate dalla L. n. 69/2015.

La modifica ha determinato una piena continuità normativa, fra la precedente fattispecie e l’ipotesi di nuovo conio che «innanzi tutto [ha] ampliato l’ambito di operatività dell’incriminazione delle false comunicazioni sociali, avendo comportato, come evidenziato, l’eliminazione dell’evento e delle soglie previste dal precedente testo dell’art. 2622 c.c., mantenendo invece nella sostanza identico il profilo della condotta tipica. In tal senso l’odierno fenomeno successorio assume caratteristiche opposte a quello generato dal d. Igs. n. 61/2002, che aveva invece ristretto gli orizzonti applicativi della fattispecie tracciati nell’originario testo della disposizione del Codice civile. Ma non è in dubbio che tra la fattispecie previgente e quella di nuova configurazione nell’art. 2621 cod. civ. sussista un evidente rapporto di continuità normativa» (cfr. Sez. 5, n. 37570 del 08/07/2015, Rv. 265020 – 01, in motivazione al punto. 3.1). A tale primo orientamento veniva ad aggiungersi la conferma delle Sez. U, n. 22474 del 31/03/2016, Passarelli, Rv. 266803 – 01, che affermavano anche che il reato di false comunicazioni sociali, previsto dall’art. 2621 cod. civ., nel testo modificato dalla legge 27 maggio 2015, n. 69, è configurabile in relazione alla esposizione in bilancio di enunciati valutativi, se l’agente, in presenza di criteri di valutazione normativamente fissati o di criteri tecnici generalmente accettati, se ne discosti consapevolmente e senza fornire adeguata informazione giustificativa, in modo concretamente idoneo ad indurre in errore i destinatari delle comunicazioni.

Quanto al dolo richiesto, Sez. 5, n. 46689 del 30/06/2016, Rv. 268673 – 01, ha chiarito che il tema di bancarotta impropria da reato societario di falso in bilancio, dove l’elemento soggettivo presenta una struttura complessa comprendendo il dolo generico (avente ad oggetto la rappresentazione del mendacio), il dolo specifico (profitto ingiusto) ed il dolo intenzionale di inganno dei destinatari, il predetto dolo generico non può ritenersi provato – in quanto “in re ipsa” – nella violazione di norme contabili sulla esposizione delle voci in bilancio, né può ravvisarsi nello scopo di far vivere artificiosamente la società, dovendo, invece, essere desunto da inequivoci elementi che evidenzino, nel redattore del bilancio, la consapevolezza del suo agire abnorme o irragionevole attraverso artifici contabili.

Formazione o aumento fittizio del capitale sociale

II secondo reato societario, integrante la bancarotta contestata nel caso in esame, è quello previsto dall’art. 2632 cod. civ. che sanziona «[g]li amministratori e i soci conferenti che, anche in parte, formano od aumentano fittiziamente il capitale sociale mediante attribuzioni di azioni o quote in misura complessivamente superiore all’ammontare del capitale sociale, sottoscrizione reciproca di azioni o quote, sopravvalutazione rilevante dei conferimenti di beni in natura o di crediti ovvero del patrimonio della società nel caso di trasformazione.

Si tratta anche in questo caso di reato proprio — rispetto al quale è consentito, secondo le ordinarie regole, il concorso dell’extraneus — avente ad oggetto la tutela del valore reale del capitale, per consentire ai terzi e ai creditori di avere contezza della effettiva garanzia offerta dalla società, sulla quale incide la sopravvalutazione “rilevante” dei conferimenti di beni in natura o di crediti, posto che «gonfiare artificiosamente le stime dei beni, dei crediti o del patrimonio, dà vita ad un fenomeno (noto come cd. watering) di annacquamento del capitale sociale, in quanto soltanto illusoriamente incrementato a danno di coloro che hanno rapporti con la società» (cfr. Sez. 5, n. 39495 del 17/06/2021, Rv. 282089 – 01).

Quanto al dolo, è richiesto quello generico e consiste nella volontà di formare o aumentare fittiziamente il capitale sociale attraverso l’esecuzione di una delle condotte tipiche previste dall’art. 2632 cod. civ., anche nella forma del dolo eventuale, dovendo, nel caso in esame, relativo alla condotta di sopravalutazione dei conferimenti, emergere la consapevolezza da parte dell’agente della «rilevanza» della stessa.

L’elemento psicologico

Alla luce dei principi indicati, in relazione alle doglianze difensive, non occorre, quanto al coefficiente soggettivo il dolo di cagionare il fallimento, previsto in una delle ipotesi del n. 2 dell’art. 223, comma 2, Legge fallimentare, (causazione diretta del fallimento), né il dolo delle operazioni che possano condurre, con valutazione di prevedibilità dell’evento nella dinamica preterintenzionale, al fallimento.

L’ipotesi di reato in contestazione, bancarotta impropria da reato societario, richiede il dolo di chi presupponga una volontà protesa al dissesto (e non al fallimento), come già evidenziato da intendersi non già quale intenzionalità di insolvenza, bensì quale consapevole rappresentazione della probabile diminuzione della garanzia dei creditori e del connesso squilibrio economico (Sez. 5, n. 42257 del 06/05/2014, Rv. 260356 – 01; fattispecie relativa alla esposizione di fatti materiali non rispondenti al vero circa la situazione economica e finanziaria della società con conseguente dissesto della medesima ed induzione in errore dei creditori; nello stesso senso Sez. 5, n. 50489 del 16/05/2018, Rv. 274449 – 01, in una fattispecie in cui la Corte ha ritenuto immune da censure la sentenza che aveva ritenuto sussistente l’elemento psicologico del reato in capo agli amministratori di fatto e di diritto, a fronte della esposizione di fatti materiali non rispondenti al vero sulla situazione economica e finanziaria della società, al fine di ottenere l’ammissione al concordato preventivo e, comunque, la continuazione dell’attività d’impresa mediante manipolazione dei dati contabili e conseguente falsa rappresentazione della situazione contabile ai creditori e agli organi della procedura).

Il concorso dell’esperto estimatore

A riguardo va evidenziato, come sottolinea in modo condivisibile Sez. 5, n. 18473 del 2023, che non vi è dubbio che l’esperto investito della valutazione dei beni di cui all’art. 2465 cod. civ. agisca su nomina del conferente che lo sceglie, non è meno vero che egli non agisce nell’interesse esclusivo di quest’ultimo: “La previsione della stima risponde infatti ad una esigenza di certezza, per ragioni che trascendono quelle della società e dei soci, sulla effettiva ed integrale formazione del capitale al fine di garantire che il conferitore possa disporre di beni il cui valore complessivo è pari almeno al “numero” indicato a capitale all’atto della sua costituzione o dell’aumento dello stesso. Ed in tal senso la disposizione citata, pur non replicando per le società a responsabilità limitata le forme previste per le società per azioni, impone comunque all’esperto prescelto di rilasciare una relazione giurata contenente l’attestazione che il valore attribuito ai beni oggetto di conferimento “è almeno pari a quello ad essi attribuito ai fini della determinazione del capitale sociale“. Si osserva nella decisione appena citata che “l’esperto è dunque portatore di obblighi di verità nell’espletamento dell’incarico che trascendono la relazione con il suo committente ed infatti, attraverso il rinvio operato dal citato art. 2645 al secondo comma dell’art. 2343 cod. civ., risponde autonomamente dei danni cagionati a causa del suo operato anche nei confronti dei terzi e, sempre in forza del citato rinvio che si estende alla disposizione di cui all’art. 64 cod. proc. civ., risponde anche penalmente delle false dichiarazioni o attestazioni rese, nonché per colpa grave nell’esecuzione dell’incarico“.

Ed ancora, si è affermato che concorre in qualità di “extraneus” nel reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale e documentale, il professionista che, consapevole dei propositi dell’amministratore di una società in dissesto, svolga un’attività diretta a rafforzare, con il proprio ausilio e con le proprie preventive assicurazioni, l’altrui progetto delittuoso (cfr. Sez. 5, n. 18677 del 08/02/2021, Rv. 281042 – 01; vedi anche Sez. 5, n. 8276 del 06/11/2015, dep. 29/02/2016, Rv. 267724 – 01).

Ciò vale anche in relazione all’aumento fittizio del capitale, per il quale è richiesto il dolo generico: pertanto deve affermarsi che in tema di bancarotta impropria da reato societario ex art. 223, comma 2, lett. a), Legge fallimentare, commesso in relazione al reato di aumento fittizio del capitale sociale, previsto dall’art. 2622 cod. civ., concorre quale extraneus con l’amministratore unico e socio, che conferisca un bene in natura, l’esperto stimatore investito della valutazione dei beni di cui all’art. 2465 cod. civ. in relazione ad una società a responsabilità limitata, il quale sovrastimi il bene falsamente e in misura rilevante, se consapevole dei propositi dell’amministratore della società in dissesto, contribuendo così a rafforzare, con il proprio ausilio, l’altrui progetto delittuoso, e rappresentandosi la probabile diminuzione della garanzia dei creditori e del connesso squilibrio economico (tra le tante, Sez. 5, n. 50489 del 16/05/2018, Rv. 274449; Sez. 5, n. 42257 del 06/05/2014, Rv. 260356; Sez. 5, n. 23091 del 29/03/2012, Rv. 252804).

Quanto al nesso di causalità, anche oggetto di censura con il motivo di ricorso, la Corte territoriale chiarisce in modo corretto che il surrettizio utilizzo della perizia di stima non rispondente al reale valore del marchio, costituisce un contributo causale decisivo alla condotta di bancarotta impropria da reato societario dell’amministratore che, esponendo nel bilancio dati non corrispondenti al vero, evita che si manifesti la necessità di procedere ad interventi di rifinanziamento o di liquidazione, in tal modo consentendo alla fallita la prosecuzione dell’attività di impresa con accumulo di ulteriori perdite negli esercizi successivi (Sez. 5, n. 1754 del 20/09/2021, dep. 17/01/2022, Rv. 282537-01).

E proprio la funzionalizzazione della stima all’aumento di capitale rende non fondata la doglianza difensiva, che si appunta sulla inadeguatezza causale del contributo del professionista in sé: per quanto evidenzia la sentenza impugnata, la perizia era funzionale esclusivamente all’aumento di capitale, per la quale fu utilizzata, con piena consapevolezza da parte del ricorrente e risultava contributo decisivo a tale condotta, con l’effetto di aggravare il dissesto già in atto.