Motivazione apparente: è tale quando il giudice si limiti ad indicare le fonti di prova senza valutarle in modo argomentato e senza tenere adeguatamente conto delle specifiche deduzione difensive (Vincenzo Giglio)

Cassazione penale, Sez. 2^, 18404/2024, udienza del 5 aprile 2024, ha ribadito, in conformità ad un consolidato indirizzo interpretativo, che la motivazione delle sentenze non può esaurirsi in una mera e asettica rassegna degli elementi di prova assunti nel corso del processo, dovendo piuttosto sintetizzarne in modo critico i contenuti, in modo da esplicitare la base fattuale del suo ragionamento.

Sono certo inammissibili i motivi di ricorso per cassazione con cui si deduca la violazione degli artt. 125 e 546, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., per censurare l’omessa o erronea valutazione degli elementi di prova acquisiti o acquisibili: invero, i limiti all’ammissibilità delle doglianze connesse alla motivazione, fissati specificamente dall’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., non possono essere superati ricorrendo al motivo di cui alla lettera c) della medesima disposizione, nella parte in cui consente di dolersi dell’inosservanza delle norme processuali stabilite a pena di nullità (Sez. U, n. 29541 del 16/07/2020, Filardo, Rv. 280027-04).

Nondimeno, permane in capo al giudicante l’obbligo di esporre, in modo conciso, i motivi di fatto e di diritto sui quali si fonda la decisione, indicando i risultati acquisiti e i criteri di valutazione della prova adottati; il giudice non può dunque limitarsi a una mera, asettica rassegna degli elementi di prova assunti nel corso del processo, ma deve sintetizzarne in modo critico i contenuti, in modo da esplicitare la base fattuale del suo ragionamento (Sez. 3, n. 38478 del 11/06/2019, Rv. 276753).

Qualora, dunque, il provvedimento impugnato si limiti ad indicare le fonti di prova a carico degli imputati, senza contenere una valutazione argomentata degli elementi probatori acquisiti al processo, tenendo adeguatamente conto delle specifiche deduzioni difensive, è ravvisabile una motivazione meramente apparente (Sez. 3, n. 49168 del 13/10/2015, Rv. 265322. Cfr. anche Sez. 5, n. 9677 del 14/07/2014, dep. 2015, Rv. 263100, che ha precisato come la motivazione debba ritenersi apparente quando si avvalga di argomentazioni di puro genere o di asserzioni apodittiche o di proposizioni prive di efficacia dimostrativa, cioè, in tutti i casi in cui il ragionamento espresso dal giudice a sostegno della decisione adottata sia soltanto fittizio e perciò sostanzialmente inesistente, nonché Sez. 6, n. 21525 del 18/06/2020, Rv. 279284, in tema di procedimento di prevenzione, che riconduce alla nozione di motivazione inesistente o meramente apparente la totale carenza di confronto con elementi potenzialmente decisivi; ancora di recente Sez. 2, n. 37100 del 07/07/2023, Rv. 285189, ha ribadito, in terna di impugnazioni cautelari, che rientrano nella nozione di violazione di legge anche l’assoluta mancanza di motivazione e la motivazione apparente, che si verifica quando il giudice, a fronte di specifiche censure mosse dalla difesa, omette di fornire adeguata motivazione circa l’infondatezza, l’indifferenza o la superfluità degli argomenti opposti).

Nel caso di specie, in maniera estremamente sintetica, la motivazione della Corte di appello si è esaurita in un anodino rinvio alla sentenza di primo grado, talora limitato alla semplice indicazione delle pagine in cui la posizione del singolo imputato era stata esaminata.

La modalità redazionale cosiddetta per relationem può ritenersi idonea a dar conto del percorso logico-giuridico seguito dal giudicante solo in presenza dei requisiti prescritti dal consolidato orientamento giurisprudenziale sul punto.

Pertanto, per quanto attiene al processo di appello, il riferimento, recettizio o di semplice rinvio, alla sentenza di primo grado (o a un altro atto del procedimento, conosciuto o conoscibile dalle parti), è da considerarsi legittimo solo quando il complessivo apparato argomentativo risulti congruo rispetto all’esigenza di giustificazione propria del provvedimento di destinazione, a cui non può reputarsi estraneo, a pena di un irrituale azzeramento del presidio del doppio grado del giudizio di merito, il confronto con le deduzioni e allegazioni difensive provviste del necessario grado di specificità (cfr. Sez. 2, n. 52617 del 13/11/2018, Rv. 274719-02, secondo cui, in presenza di un atto di appello non inammissibile per genericità, il giudice di appello non può limitarsi al mero e tralaticio rinvio alla motivazione della sentenza di primo grado, in quanto, anche laddove l’atto di appello riproponga questioni già di fatto dedotte e decise in primo grado, egli ha l’obbligo di motivare, onde non incorrere nel vizio di motivazione apparente, in modo puntuale e analitico su ogni punto a lui devoluto. Si veda anche Sez. U, n. 17 del 21/06/2000, Primavera, Rv. 216664).