Denegata giustizia: la favola dell’obbligatorietà dell’azione penale (Riccardo Radi)

A Tivoli i procedimenti davanti al giudice monocratico vengono fissati secondo “criteri di priorità” che di fatto rendono non perseguiti plurimi reati considerati “non prioritari”.

Questa è la conclusione che si trae dal documento firmato dal Presidente di sezione dott. Nicola Di Grazia, pubblicato in allegato al post previa esplicita autorizzazione della sua destinataria, Avvocata Stefania Lopez.

La situazione di Tivoli riguarda anche altri tribunali del distretto di Roma e rende chiare le parole del magistrato Piero Tony che ha scritto: “l’obbligatorietà dell’azione penale: Non esiste né mai è esistita. Da anni si racconta una favola”.

L’azione penale è esercitata secondo criteri soggettivi, diversi tra i vari uffici giudiziari, senza l’attribuzione di alcuna responsabilità.

Il principio dell’obbligatorietà dell’azione penale, contenuto nell’articolo 112 della Costituzione, è un feticcio dietro il quale si nascondono prassi quotidiane di esercizio soggettivo e senza effettivi controlli dell’azione penale.

Come ha affermato Tony, l’obbligatorietà dell’azione penale: “Non esiste né mai è esistita. Da anni si racconta una favola che prevede il seguente svolgimento … il magistrato venuto a conoscenza di una notizia di reato deve compiere ogni atto di indagine utile per valutare la fondatezza” per poi chiedere il giudizio nei confronti del presunto autore del reato se la ritiene fondata o l’archiviazione.

Dunque – eccolo il senso di questa favola – non esiste discrezionalità da parte del magistrato … ogni notizia di reato che istruisce non è frutto della sua volontà ma di un procedimento meccanico: io ricevo, dunque agisco.

Bene, questa storia è una simpatica barzelletta, un giochino da salotto.

La verità è che in ogni ufficio giudiziario ci sono, e non possono non esserci delle scelte prioritarie, anche formalizzate. E il motivo è banale: la macchina della giustizia non riesce ad affrontare milioni di processi. Deve sempre scegliere quali consegnare alla prescrizione e quali no” (Piero Tony, Io non posso tacere, Einaudi).

Le parole di Tony potrebbero apparire un paradosso ma è, purtroppo, una verità amara sotto gli occhi di tutti ed è fotografata dal documento del Tribunale di Tivoli datato 23 luglio 2024 e dal dato delle prescrizioni che maturano nella fase delle indagini preliminari.

Secondo gli ultimi dati disponibili il 60% delle notizie di reato si prescrivono nelle silenziose stanze delle Procure della Repubblica e un’altra percentuale non secondaria si prescrive in primo grado in quanto fissata in prossimità della prescrizione come il caso di Tivoli.

La verità è che in ogni ufficio giudiziario ci sono delle scelte di priorità ed allora perché continuare nel raccontare la favola dell’obbligatorietà dell’azione penale?

L’azione penale è di fatto ampiamente discrezionale ed è lasciata alla “sensibilità” del pubblico ministero. Altrimenti non è spiegabile come si possano prescrivere il 60% delle notizie di reato sui tavoli degli uffici inquirenti.

La tipologia dei reati prescritti nella fase delle “indagini” è variegata e non sono solo reati inerenti all’abusivismo edilizio o in materia ambientale (ci sono un buon numero di furti, ricettazioni, calunnie e truffe).

L’enorme mole di reati prescritti nella fase delle indagini pone l’interrogativo di fondo, se il principio dei nostri Costituenti è di fatto una mera utopia o più prosaicamente una “favola” che è stato aggirato da prassi che sfuggono ad un controllo che “deve investire l’organo della giurisdizione dell’esame del contenuto dell’azione penale” Giovanni Leone pagina 2548 seduta del 27 novembre 1947 Assemblea costituente.

Nel leggere i lavori preparatori alla Costituzione, in particolare la seduta del 27 novembre del 1947 (Assemblea Costituente 27.11.1947), con gli interventi di Bettiol e Leone si evince che lo scopo primario dell’obbligatorietà dell’azione penale era di contrastare due principi: “quello di discrezionalità, da un lato, per cui il pubblico ministero è arbitro di potere esercitare o non l’azione penale, e il principio di obbligatorietà o di legalità, per cui il pubblico ministero, quando ricorrano i presupposti di fatto e di diritto, deve esercitare l’azione penale stessa” Bettiol, pagina 2547 seduta del 27 novembre 1947 Assemblea Costituente.

In corrispondenza a Giovanni Leone e Giuseppe Bettiol ricordiamo la celebre “Circolare Maddalena” del 10 gennaio 2007 che individuava i “procedimenti inutili” e la più recente circolare Pignatone che indicava le priorità dei procedimenti a Roma.

Possono delle circolari “accantonare” o “congelare” delle notizie di reato in barba al principio costituzionale dell’obbligatorietà dell’azione penale?

La regolazione dell’esercizio concreto del potere dell’azione penale è di esclusiva competenza normativa della legge ordinaria.

Come si può lasciare ad un organo giudiziario, in particolare al pubblico ministero, un potere discrezionale libero di stabilire quali reati vadano perseguiti e quali no?

Dietro la vigenza del feticcio dell’obbligatorietà dell’azione penale, finisce col celarsi quindi di fatto la “favola” richiamata all’inizio del contributo e l’assoluta discrezionalità con cui ogni ufficio o singolo pubblico ministero decide quali reati perseguire, col risultato pratico di avere una altrettanto assoluta non difformità nell’applicazione della legge sul territorio italiano e rilevanti difficoltà di perseguimento dei reati che per ambito territoriale superano la competenza della singola circoscrizione giudiziaria.

Lasciare all’arbitrio del singolo pubblico ministero quali reati perseguire crea le vistose discrepanze della prescrizione nella fase delle indagini registrate dal Ministero della Giustizia che le indica nel linguaggio asettico:” nella fase prima del giudizio si conferma l’ampia variabilità del fenomeno tra le diverse sedi, senza che si rilevino particolari, o quanto meno sistematiche, coerenze territoriali. Sono presenti, inoltre, forti oscillazioni tra un anno e l’altro anche se da questo punto di vista, l’analisi più corretta sarà quella tra annualità solari intere”.

Quanto è fuori dalle regole costituzionali e ordinarie la fotografia che emerge dagli stessi dati del Ministero della Giustizia?

Il potere giudiziario che di fatto ha assunto compiti di governo della società che non spettano ai magistrati.

Il magistrato che sceglie quali reati perseguire e quali priorità indicare nel quadro delle norme incriminatrici si assume un ruolo e una funzione che travalica e destabilizza il suo statuto giuridico.

Come acutamente scrisse Oreste Dominioni: “… diventa soggetto politico, si impone come interprete di dinamiche sociali a cui non è legittimato né attrezzato”.