Cassazione penale, Sez. 1^, sentenza n. 36253/2023, udienza del 30 giugno 2023, ha risposto ad un ricorso dal contenuto piuttosto singolare che censurava un’intera sequenza di atti procedimentali.
Vicenda giudiziaria
Per una più agevole comprensione della vicenda e dei termini del ricorso, giova premettere, per quanto risulta dagli atti, che i coniugi MF e LG presentavano, in data 28 maggio 2022, una denuncia-querela nei confronti di alcuni loro condomini per i reati di calunnia, violenza privata e atti persecutori, apprendendo, in seguito, del tutto “casualmente”, che da quella denuncia-querela era scaturito un procedimento, definito con decreto penale di condanna per il solo reato di cui all’art. 674 cod. pen.
A questo punto, i querelanti decidevano di formulare al PM titolare del procedimento richiesta di trasmissione del fascicolo processuale d’interesse al GIP competente, ai sensi degli artt. 408 ss. cod. proc. pen., “ai fini del controllo sulla infondatezza della notizia di reato, sottesa all’illegittimo procedimento di archiviazione interna della stessa“.
Il PM, investito della richiesta, disponeva in conformità, trasmettendola al GIP “per quanto di competenza“.
Il GIP, a sua volta, dichiarava “Non luogo a provvedere atteso che il decreto penale è già divenuto irrevocabile“.
Ricorso per cassazione
Sia il provvedimento del PM che quello del GIP costituiscono oggetto dell’odierno ricorso per cassazione proposto dai coniugi MF e LG.
Con il primo ed unico motivo, si deducono erronea applicazione della legge penale in riferimento agli artt. 408 e ss. cod. proc. pen., mancanza di motivazione e travisamento della richiesta difensiva.
Ad avviso dei ricorrenti, la dichiarazione di non luogo a provvedere emessa dal GIP costituirebbe un atto “abnorme“.
In primo luogo, sarebbe inconferente il riferimento alla “irrevocabilità” del decreto penale, in quanto non messa in discussione dalla difesa, la quale aveva inteso, in realtà, esporre al GIP le proprie doglianze circa la “mancata instaurazione del regolare e inderogabile procedimento di archiviazione e, quindi, la cestinazione di fatto della querela-denunzia dei due ricorrenti…”.
Né l’emissione del decreto penale richiamato dal GIP poteva giustificare il mancato controllo della pretesa infondatezza della notitia criminis.
Il sostanziale rifiuto del PM di trasmettere gli atti al GIP per il controllo sull’inazione e il provvedimento seguente del giudice adito avevano determinato una stasi processuale che rendeva l’atto abnorme, attesa la sua non impugnabilità e la vanificazione di rimedi processuali, quale, ad esempio, la riapertura delle indagini, in ragione dell’assenza del provvedimento di archiviazione.
Decisione della Corte di cassazione
Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
Stante l’apparente singolarità della presente vicenda, come sopra sintetizzata, è ineludibile premettere e ricordare che, in tema di ricorso per cassazione, anche a seguito dell’entrata in vigore dell’art. 165-bis disp. att. cod. proc. pen., introdotto dall’art. 7, comma 1, d.lgs. 6 febbraio 2018, n. 11, trova applicazione il principio di autosufficienza del ricorso, che si traduce nell’onere di puntuale indicazione, da parte del ricorrente, degli atti che si assumono travisati e dei quali si ritiene necessaria l’allegazione, materialmente devoluta alla cancelleria del giudice che ha emesso il provvedimento impugnato (per tutte, Sez. 5, n. 5897 del 3/12/2020, dep. 2021, Rv. 280419).
Si rileva che, nella specie, tale principio non è stato rispettato, in quanto non risultano allegati al ricorso gli atti necessari per comprendere, in modo preciso, la sequenza procedimentale sviluppatasi nella vicenda in esame a partire dalla iscrizione della notitia criminis nell’apposito registro; né risulta inoltrata apposita richiesta in tal senso alla cancelleria del giudice a quo.
In particolare, non risulta accluso all’atto impugnatorio neppure il più volte citato decreto penale emesso dal GIP a carico dei querelati per il reato di cui all’art. 674 cod. pen., decreto che, a norma dell’art. 459, comma 4, cod. proc. pen., avrebbe dovuto essere comunicato ai querelanti (e non da costoro conosciuto “casualmente“).
Né è fatta menzione, in ricorso, dell’eventuale avvenuta formulazione della richiesta, da parte della persona offesa, a norma dell’art. 335, comma 3-ter, cod. proc. pen., di essere informata dall’autorità che ha in carico il procedimento circa lo stato del medesimo.
Già per tale aspetto, decisamente deficitario, del ricorso, sarebbe giustificata una declaratoria di inammissibilità dello stesso.
Ma, anche ove si volesse prescindere da tale profilo d’inadeguatezza formale, la tipologia di epilogo decisorio non muterebbe.
È opportuno, infatti, rilevare, quanto al primo (in ordine cronologico) degli atti impugnati, che, per pacifica tradizione giurisprudenziale di legittimità, non può essere proposto ricorso per cassazione avverso i provvedimenti del PM, stante la preclusione assoluta dettata dall’art. 568, comma primo, cod. proc. pen. ed essendo comunque previsti dall’ordinamento altri rimedi a tutela del diritto alla difesa, ad esclusione dei casi in cui il PM emetta un provvedimento non rientrante nei suoi poteri, che invade la sfera giurisdizionale, sostituendosi illegittimamente al potere del giudice (Sez. U, n. 34536 dell’11/7/2001, P.G. in proc. Chirico, Rv. 219598; Sez. 6, n. 1666 del 6/4/2000, Rv. 220539).
Dunque, si presenta come inammissibile in radice il ricorso proposto avverso il provvedimento con il quale, in data 27 gennaio 2023, il PM ha trasmesso al GIP la richiesta inoltrata dagli odierni ricorrenti “per quanto di competenza”: sia perché emesso dal PM, sia per essere tale atto certamente non espressione di una prerogativa giurisdizionale, ma potendosi esso configurare quale incombente di natura amministrativa (Sez. 1, n. 4396 del 17/6/1999, Rv. 214236).
Avrebbe potuto, viceversa, parlarsi di un provvedimento abnorme del PM, quindi ricorribile per cassazione, solo nel caso di iscrizione di denuncia nel registro degli atti non costituenti notizie di reato (mod. 45), seguita dallo svolgimento di indagini preliminari, in cui l’organo dell’accusa avesse disatteso l’istanza del denunciante di trasmissione degli atti al giudice delle indagini preliminari, determinando tale rifiuto – nella specie non verificatosi – una insuperabile stasi processuale (Sez. 3, n. 55511 del 21/11/2018, Rv. 274675).
Analogamente inammissibile va giudicato il ricorso con riferimento alla dichiarazione di non luogo a provvedere formulata dal GIP in data 7 febbraio 2023.
Va rammentato che è affetto da abnormità non solo il provvedimento che, per la singolarità e stranezza del contenuto, risulti avulso dall’intero ordinamento processuale, ma anche quello che, pur essendo in astratto manifestazione di legittimo potere, si esplichi al di fuori dei casi consentiti e delle ipotesi previste, al di là di ogni ragionevole limite.
L’abnormità dell’atto processuale può riguardare tanto il profilo strutturale, allorché l’atto, per la sua singolarità, si ponga al di fuori del sistema organico della legge processuale, quanto il profilo funzionale, quando esso, pur non estraneo al sistema normativo, determini la stasi del processo e l’impossibilità di proseguirlo (per tutte, Sez. U, n. 26 del 24/11/1999, dep. 2000, Magnani, Rv. 215094).
Si tratta di caratteristiche che non è dato ravvisare nel provvedimento citato.
Si è già stigmatizzato, in premessa, il profilo di palese non autosufficienza del ricorso, deficit che non consente di comprendere, se non in via deduttiva, l’esatta sequenza procedimentale dipanatasi nella vicenda in esame.
Non è dato sapere, in particolare:
– se il PM procedente abbia ravvisato, fra gli episodi denunciati dai querelanti, la rilevanza penale soltanto per quello sussunto nell’alveo dell’art. 674 cod. pen.;
– ovvero, se il PM abbia operato una separazione di procedimenti, attribuendo agli altri episodi il carattere di “non notizia di reato” (mod. 45), con successiva archiviazione interna (c.d. “cestinazione”), non impugnabile in quanto non avente natura di provvedimento giurisdizionale (Sez. 7, ordinanza n. 48888 del 15/11/2012, Rv. 253926);
– ovvero, se il PM sempre avendo operato una separazione di procedimenti, abbia chiesto l’archiviazione per gli episodi diversi da quello oggetto del decreto penale divenuto esecutivo (in tal caso, però, le persone offese, che avevano formulato esplicita richiesta nella denuncia-querela, sarebbero state informate per l’eventuale proposizione dell’opposizione ai sensi dell’art. 408, comma 2, cod. proc. pen.).
In assenza di alcuna allegazione documentale pertinente da parte dei ricorrenti, non è possibile escludere che il GIP sia stato formalmente investito esclusivamente della richiesta di decreto penale in relazione al reato contravvenzionale di cui all’art. 674 cod. pen. e che, pertanto, solo in relazione a tale decreto, da lui conosciuto quale autorità emittente, sia stato indotto a rispondere alla richiesta degli odierni ricorrenti, veicolata dal PM, con l’unica formula possibile, che desse conto della intervenuta definitività del decreto medesimo, senza alcun profilo di abnormità rilevabile.
In conclusione, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
