Cassazione penale, Sez. 6^, sentenza n. 24723/2024, udienza del 7 maggio 2024, ha approfondito il tema della valutazione dell’attendibilità delle dichiarazioni rese dai collaboratori di giustizia e del percorso guidato da seguire a tal fine.
Risultano prive di fondamento le censure dedotte con riguardo alla necessità di una valutazione rafforzata dell’attendibilità delle dichiarazioni rese dal collaboratore di giustizia GP, maggiore di quella già prevista ordinariamente dall’art. 192 comma 3, cod. proc. pen., essendone mancato l’esame nel contraddittorio a seguito del suo decesso con conseguenze acquisizione ai sensi dell’art. 512 cod. proc. pen.
Del tutto fuorviante è a tale riguardo il riferimento alla giurisprudenza della Corte Edu in tema di dichiarazioni predibattimentali acquisite senza contraddittorio che possono essere utilizzate per la decisione solo se controbilanciate da solide garanzie procedurali.
A tale proposito è sufficiente rilevare che la c.d. chiamata in correità è già disciplinata dall’art. 192, comma 3, cod. proc. pen. nel senso di ritenere necessario che l’attendibilità delle dichiarazioni rese dal coimputato o imputato in procedimento connesso trovi riscontro in elementi ulteriori di prova che ne confermino l’attendibilità.
Si tratta di una prova che per la sua peculiare natura è sottoposta ad una specifica disciplina legale non solo per quanto concerne le modalità di assunzione nel rispetto della regola del contraddittorio ma anche con riguardo alla sua valutazione, in deroga al principio del libero convincimento del giudice che presiede il regime di valutazione della prova nel processo penale, condizionato soltanto dall’obbligo di dare conto nella motivazione dei criteri liberamente selezionati, senza preclusioni o presunzioni legali, con il solo limite del rispetto della logica sorretta da consolidate e riconosciute massime d’esperienza (art. 192 comma 1, cod. proc. pen.).
Conseguentemente, non si giustifica affatto – come sostenuto dal ricorrente – una diversa regola di giudizio nel caso in cui le dichiarazioni siano state acquisite ai sensi dell’art. 512 cod. proc. pen. per la sopravvenuta impossibilità oggettiva di ripetizione, essendo già prevista in linea generale una limitazione legale alla loro utilizzazione come unica fonte di prova su cui basare la decisione di condanna dell’imputato.
Deve qui rammentarsi che le Sezioni unite della Corte di cassazione con la sentenza n. 27918 del 25/11/2010 – D. F. – Rv. 250199 avevano affermato il principio che le dichiarazioni predibattimentali rese in assenza di contraddittorio, ancorché legittimamente acquisite, non possono – conformemente ai principi affermati dalla giurisprudenza europea, in applicazione dell’art. 6 della CEDU – fondare in modo esclusivo o significativo l’affermazione della responsabilità penale.
È stato affermato che una tale limitazione della libera valutazione della prova costituisce il frutto di una interpretazione del sistema normativo nazionale, tale da renderlo conforme alle norme della CEDU o non incompatibile con le stesse.
Quindi, per armonizzare le deroghe al principio del contraddittorio previste dall’art. 111, comma 5, Cost., con l’art. 6 della CEDU, come interpretato dalla Corte Edu (sent. 14 dicembre 1999, A.M. c. Italia; sent. 13 ottobre 2005, Bracci, cit; sent. 9 febbraio 2006, Cipriani c. Italia; sent. 19 ottobre 2006, Majadallah, cit.; sent. 18 maggio 2010, Ogaristi c. Italia; sent. 7 agosto 1996, Ferrantelli e Santangelo c. Italia; sent. 5 dicembre 2002, Craxi c. Italia), era stata accolta e sostenuta la interpretazione secondo cui le dichiarazioni predibattimentali rese in assenza di contraddittorio, ancorché legittimamente acquisite, non possono fondare in modo esclusivo o significativo l’affermazione della responsabilità penale.
Successivamente con le ultime sentenze della Grande Camera, Tahery Al Kawaja v. Regno Unito (Corte Edu, Grande Camera, 15 dicembre 2011) e Schatschaschwili v. Germania (Corte Edu, Grande Camera, 15 dicembre 2015), la stessa giurisprudenza europea ha rivisto il precedente orientamento più rigoroso, avendo ritenuto compatibile con le garanzie convenzionali la condanna fondata su dichiarazioni decisive assunte in via unilaterale, ogni volta che il sacrificio del diritto di difesa (ovvero l’impossibilità di interrogare direttamente il teste fondamentale) sia bilanciato da “adeguate garanzie procedurali”, da individuarsi anche – e comunque non in via esclusiva – nello spazio che il sistema processuale garantisce alla difesa di contro esaminare gli ulteriori testi di riscontro, diversi da quello il cui esame sia divenuto impossibile.
