“Avvocato, ho una urgenza, non sarà già in ferie?” (Riccardo Radi)

Per gli avvocati la terza decade di luglio è una iattura, telefonate su telefonate di clienti o presunti tali che hanno improvvisamente urgenze improrogabile. 

La telefonata concitata si conclude con l’interrogativo “Non sarà mica in ferie?“.

Alla domanda errata nei modi e nei contenuti ho la risposta “Non sono in ferie ma in vacanza e se non è stato arrestato lei o un suo congiunto ci risentiamo ai primi di settembre“.

Clienti o pseudo tali che sistematicamente nella terza decade di luglio si “svegliano” per definire questioni che hanno atteso anni nel limbo e che ora sono improcrastinabili. 

Con il trascorrere degli anni ho appreso come distinguere le vere urgenze dalle chiacchiere logorroiche di assistiti in preda a turbe da solitudine estiva o semplicemente goduriosi scassatori di cabasisi (citazione camilleriana, quindi colta, quindi incensurabile) altrui. 

Purtroppo, l’effettivo godimento del periodo feriale per gli avvocati sembra un miraggio. 

Non sarà mai troppo tardi riportare il periodo di sospensione feriale dei termini processuali agli originari quarantacinque giorni al fine di accordare ai professionisti forensi un periodo di effettivo riposo.

Tra le udienze a fine luglio e l’inizio dell’attività a settembre ci rimangono 30 giorni che in parte sono impegnati con la preparazione dell’attività settembrina e in parte con lo schivare le telefonate del cliente in preda alla turba dell’urgenza improcrastinabile. 

Post-scriptum

Per la prima volta nella storia di Terzultima Fermata, uno dei due autori, non avendo – ahimè – il potere di veto sulle iniziative dell’altro, si vede costretto a prenderne pubblicamente le distanze e per ragioni serissime.

Primo: questo post, sotto l’ingannevole apparenza di una riflessione di carattere generale, è nient’altro che l’ennesima tappa del culto della personalità perseguito dal suo ideatore e scrittore; il reale e furbesco tentativo mistificatorio è svelato dalla foto inviata e imposta dal suddetto e cosiddetto autore che lo ritrae in una posa che pretende maldestramente di imitare la Paolina Borghese di Antonio Canova, con l’aggiornamento contemporaneo e vezzoso del salvagente avvolto languidamente attorno al collo a mo’ di ghirlanda; un ulteriore dettaglio rivelatore è la scelta di una spiaggia deserta, come a dire che il nostro ha accesso a luoghi negati ai comuni mortali (una moderna riedizione del motto del Marchese del Grillo: io so io e voi nun siete un caxxo); infine, dovendosi chiaramente escludere che si tratti di un selfie (se lo fosse, l’autore sarebbe più flessibile di Mandrake e questo si può escludere, anche data l’età), è chiaro che il medesimo si è portato dietro un team di professionisti per farsi immortalare nel modo più conveniente per la sua immagine.

Secondo: come molti lettori ricorderanno, l’autore, pur lamentando lo scassamento altrui, ha lui stesso scassato a più non posso e in qualunque direzione (compresa quella del coautore), presentandosi come alfiere della nobiltà dell’avvocatura e della sua dedizione al cliente ed ai suoi bisogni, piccoli e grandi che siano (qui il link ad una della tante sue rivendicazioni in tal senso, significativamente intitolata “L’avvocato che vorrei essere“). Con il post odierno, il suddetto e cosiddetto toglie la maschera e si rivela per quel che è davvero.

Terzo: pur mascherata da citazione letteraria colta, la parola “cabasisi” desta stupore e costernazione e offende la sensibilità dei benpensanti. La degenerazione della lingua passa anche attraverso queste trasgressioni che non possono essere né tollerate né minimizzate.

È quindi con sdegno, e dissociandosi in ogni modo possibile, che si dà il nulla-osta a questo scritto, confinandolo nell’infima categoria “Pensieri in libertà”.

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