Ricorda Cassazione penale, sentenza n. 29215/2024, udienza del 10 luglio 2024, che, a norma dell’art. 603, comma 3-bis, cod. proc. pen., «nel caso di appello del Pubblico ministero contro una sentenza di proscioglimento per motivi attinenti alla valutazione della prova dichiarativa, il giudice (…) dispone la rinnovazione dell’istruzione dibattimentale nei (…) casi di prove dichiarative assunte in udienza nel corso del giudizio dibattimentale di primo grado».
Si tratta, per il giudice di appello che intenda riformare la sentenza liberatoria di primo grado, di un vero e proprio obbligo, che sussiste indipendentemente da una richiesta di parte ed è sanzionato con la nullità di ordine generale a regime intermedio della sentenza, denunciabile in sede di giudizio di legittimità, a norma dell’art. 606, comma 1, lett. c), cod. proc. pen. (Sez. U, n. 14426 del 28/01/2019, Pavan Devis, Rv. 275112).
L’obbligo, tuttavia, sebbene il citato art. 603, comma 3-bis, non lo dica espressamente, sussiste soltanto per le prove dichiarative ritenute decisive dal giudice d’appello (per tutte, in tal senso, Sez. U, Pavan Devis, cit.). Tali sono quelle che, sulla base della sentenza di primo grado, hanno determinato, o anche soltanto contribuito a determinare, l’assoluzione e che, pur in presenza di altre fonti probatorie di diversa natura, se espunte dal complesso materiale probatorio, si rivelano potenzialmente idonee ad incidere sull’esito del giudizio, nonché quelle che, pur ritenute dal primo giudice di scarso o nullo valore, siano, invece, nella prospettiva dell’appellante, rilevanti — da sole o insieme ad altri elementi di prova — ai fini dell’esito della condanna (così, già prima dell’introduzione della disposizione nel codice, con la novella n. 103 del 2017, si era espressa Sez. U, n. 27620 del 28/04/2016, Dasgupta, Rv. 267488, confermata da tutta la giurisprudenza di legittimità successiva).
Detto obbligo viene meno soltanto qualora emerga che la lettura della prova compiuta dal primo giudice risulti viziata da omissione, invenzione o falsificazione. In tali casi, infatti, non si è in presenza di una differente “valutazione” del significato della prova dichiarativa, bensì di un travisamento di quest’ultimo, di un errore, ossia, di percezione del dato istruttorio: ragione per cui, cadendo la difformità sul significante (sul documento, ossia) e non sul significato (sul documentato), non può sorgere alcuna esigenza di rivalutazione di tale contenuto attraverso una nuova audizione del dichiarante (Sez. U, n. 18620 del 19/01/2017, Patalano, Rv. 269786; Sez. 6, n. 16501 del 15/02/2018, Rv. 272886; Sez. 1, n. 26390 del 14/11/2017, Rv. 273360). Nello specifico, dalla lettura della sentenza non è possibile apprezzare il rispetto di tali princìpi di diritto da parte dei giudici d’appello: non viene illustrato il complessivo quadro probatorio; non viene riportato, neppure per sintesi, il contenuto della deposizione testimoniale controversa; non si comprende quale importanza essa abbia rivestito ai fini di quel giudizio, dovendo comunque ragionevolmente ipotizzarsi che non sia stata secondaria. V’è motivo di ritenere, dunque, che la sentenza impugnata non si sia limitata a colmare un’omissione valutativa del primo giudice o ad emendare un travisamento probatorio in cui lo stesso fosse incorso, dovendo perciò tale testimonianza essere rinnovata.
S’impone, pertanto, l’annullamento della sentenza impugnata, con restituzione degli atti al giudice emittente, perché proceda a nuovo giudizio, nell’osservanza degli anzidetti princìpi di diritto, laddove, in riforma della sentenza assolutoria del Tribunale, ritenga di dover pervenire ad un giudizio di colpevolezza dell’imputato.
