La sfida britannica al sovraffollamento carcerario (Vincenzo Giglio)

L’homepage di Nessuno Tocchi Caino mette in evidenza “Quando la smania di punire diventa una dipendenza“, un bell’articolo di Elisabetta Zamparutti, di cui raccomando vivamente la lettura.

Vi si racconta, tra l’altro, che Keir Starmer, il nuovo primo ministro britannico subentrato a Rishi Sunak dopo la disfatta elettorale dei conservatori, ha appena affidato a James Timpson la guida del Ministero delle Prigioni con lo specifico mandato di ridurre la recidivanza dei detenuti e prevenire, anche per questa via, il sempre latente sovraffollamento nelle prigioni di Sua Maestà Carlo III.

Ma chi è Timpson e perché Starmer lo ha ritenuto adatto a realizzare un obiettivo così ambizioso?

Ce lo spiega Zamparutti:

Parliamo di un imprenditore alla guida di un impero che conta ben 2.100 negozi di calzoleria, duplicazione chiavi, stampa fotografica e tintoria. Fervente credente nel diritto a una seconda possibilità, convinto fautore del reinserimento sociale e attore convinto della riduzione della recidiva, Timpson è stato il primo grande imprenditore ad assumere un numero significativo di ex detenuti. Tra i 5.600 dipendenti del suo gruppo, quasi il 10% viene dal carcere […]

James Timpson, questo filantropo che nei suoi negozi offre servizi gratuiti ai clienti in difficoltà, sa di cosa stiamo parlando perché di carcere se ne occupa da tempo. Ha lavorato con i conservatori per riformare il sistema penitenziario ed è stato Presidente del Prison Reform Trust fino alla data della sua designazione a Ministro […]

Nella consapevolezza che le troppe persone detenute e che il tempo troppo lungo della loro detenzione siano l’effetto del diffuso sentimento del punire, James Timpson aveva parlato di una condizione di dipendenza tossica dal condannare, di drogati del punire. Guardando al Regno Unito vediamo allora affacciarsi innanzitutto un’opera di disintossicazione dalla droga del punire, che include l’idea del mantenimento dell’ordine e della sicurezza all’insegna della prevenzione e non della punizione. È vero che la Ministra della Giustizia non ha preso le distanze dalle idee di costruire nuove carceri ma se la dovrà vedere con il Ministro delle Prigioni che su questo ha idee diametralmente opposte. E questa è la più grande novità…”.

Ora che ne sappiamo di più, viene più facile tracciare un parallelo tra Italia e Regno Unito in materia carceraria.

Regno Unito

Alla materia carceraria e delle misure alternative (parole e probation) corrisponde una carica di livello intermedio che, pur incardinata nel Ministero della Giustizia, assicura il rango ministeriale a chi la detiene e gli consente un autonomo spazio di manovra rispetto al capo del dicastero della Giustizia.

La responsabilità politica delle carceri è affidata ad un imprenditore di successo che crede con forza nell’idea del recupero sociale dei detenuti ed offre loro lavoro e possibilità di riscatto.

Ci si preoccupa del sovraffollamento – e si agisce di conseguenza – quando ci si avvicina, senza ancora averla raggiunta, alla soglia del rapporto 1 a 1 tra detenuti e posti disponibili nei penitenziari nazionali.

Il Ministro delle Prigioni teorizza esplicitamente l’esistenza di una vera e propria passione punitiva e la considera il frutto di un’ossessione politica tossica. Crede fermamente che la sicurezza collettiva sia tutelata assai meglio dal recupero dei criminali piuttosto che dal loro puro contenimento in condizioni disumane.

Italia

L’amministrazione penitenziaria è un semplice dipartimento del Ministero della Giustizia.

È affidata invariabilmente alla direzione di un magistrato, proveniente quasi altrettanto invariabilmente dagli uffici del pubblico ministero con funzioni antimafia.

Si supera la soglia, si arriva allegramente alla percentuale del 130% (130 detenuti ogni 100 posti disponibili) e l’unico segno di esistenza in vita delle autorità cosiddette competenti è la periodica proposizione di rimedi e provvedimenti tanto mirabolanti quanto inconsistenti.

Da noi, che comandino il centrodestra, il centrosinistra o altre coalizioni variamente combinate, la punizione e il carcere come forma più appagante ed efficiente di punizione piacciono sempre tanto e si fa davvero fatica, fatta eccezione per sensibilità assolutamente minoritarie come è stata ed è quella del movimento radicale e delle organizzazioni che ne sono germinate, a trovare un segno anche labile di attenzione (e prima ancora di comprensione, verrebbe da dire) dei principi costituzionali che presidiano la condizione di chi è chiamato a rispondere delle sue responsabilità penali.

In conclusione

Non c’è bisogno di essere anglofili per riconoscere che il Regno Unito, pur afflitto anch’esso dai problemi di sconsiderate politiche criminali di lungo periodo, sta provando a reagire e lo fa coniugando principi apprezzabili e un sano pragmatismo che camminano con le gambe di persone all’altezza di una sfida così importante.

Da noi … da noi è un po’ diverso, ecco.