Cassazione penale, Sez. 4^, sentenza n. 24583/2024, udienza del 28 maggio 2024, ha considerato ammissibile la prova testimoniale sul contenuto dei verbali descrittivi di videoriprese andate distrutte.
Ricorso per cassazione
Con il primo motivo di ricorso la difesa introduce il tema della inammissibilità della testimonianza di addetti di polizia giudiziaria sul contenuto delle riprese filmate eseguite mediante telecamera e dell’inutilizzabilità di questa prova dichiarativa, che è l’unica acquisizione istruttoria che collega l’imputato DL alla sostanza stupefacente e al bilancino rinvenuti il [segue data] in un cespuglio sito in [segue località].
Il difensore si era opposto all’ammissione della prova e ha impugnato con l’appello anche l’ordinanza istruttoria con la quale la prova era stata ammessa, chiedendo che la Corte di appello dichiarasse inutilizzabile la prova dichiarativa di cui si tratta.
La Corte territoriale, escludendo l’inutilizzabilità della prova in quanto delle videoriprese era stata eseguita regolare registrazione, ha rigettato il motivo di appello qualificando tali prove quali ricognizioni informali, da valutare attentamente in relazione al grado di conoscenza del soggetto identificato, alla qualità dei soggetti chiamati a deporre, alla convergenza di eventuali diverse identificazioni, spostando, dunque, il baricentro del problema sull’attendibilità del narrato.
Decisione della Corte di cassazione
Occorre partire dal presupposto che la pubblica accusa, constatato che le registrazioni delle videoriprese erano state per un problema tecnico sovrascritte, ha offerto la prova dei fatti contestati mediante i verbali descrittivi dell’attività compiuta dalla polizia giudiziaria, contenenti anche il riassunto del contenuto delle videoriprese, e la testimonianza degli agenti di polizia giudiziaria che avevano partecipato all’attività captativa delle immagini.
Il contenuto delle videoriprese era riportato nei verbali riassuntivi dei servizi di osservazione ed è stato introdotto nel dibattimento attraverso la testimonianza degli agenti di polizia giudiziaria. I giudici di merito hanno valorizzato, con motivazione logicamente ineccepibile, la già avvenuta registrazione delle videoriprese per escludere l’inutilizzabilità della prova (Sez. 6, n. 47695 del 14/11/2022, Rv. 284072 – 01; Sez. 4, n. 45809 del 27/06/2017, Rv. 271054 – 01; Sez. 2 n. 44327 del 11/11/2010, Rv. 248909 – 01), che secondo la difesa avrebbe dovuto conseguire alla immediata sovrascrittura delle videoriprese in quanto equiparabile all’omessa registrazione.
In materia di intercettazioni di comunicazioni, la distruzione dei files originali delle comunicazioni intercettate e della relativa verbalizzazione è stata ritenuta causa di inammissibilità della deposizione della polizia giudiziaria in ordine al contenuto delle conversazioni intercettate; tanto sul rilievo che non possa ammettersi il recupero di una prova inutilizzabile attraverso l’assunzione di una deposizione testimoniale sul contenuto della stessa (Sez. 2, n.4583 del 10/12/2021, dep. 2022).
Occorre, però, osservare che tale principio è stato affermato in un caso in cui erano andate distrutte tanto le registrazioni quanto i relativi verbali e che la sanzione dell’inutilizzabilità è stata applicata ad alcune copie informali delle registrazioni in possesso della polizia giudiziaria per l’impossibilità di verificarne la conformità all’originale.
Occorre, anche, considerare quanto affermato dalla Corte costituzionale a proposito del fatto che la captazione visiva di comportamenti non comunicativi non può equipararsi alle intercettazioni di comunicazioni (Corte costituzionale n.135 del 2002; Sez. 3, n.15206 del 21/11/2019, dep. 2020, P., Rv. 279067 – 02).
A tal proposito, la Sez. 6, n. 5064 del 19/11/2013, dep.2014, Rv. 258767 – 01 ha specificato che in tema di videoregistrazioni non comunicative, non si applica, mancando identità di ratio, la disciplina recata dall’art. 268, cod. proc. pen. nel testo risultante a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 336 del 2008 – che ha dichiarato l’illegittimità della disposizione nella parte in cui non prevede che, dopo la notificazione o l’esecuzione dell’ordinanza che dispone una misura cautelare personale, il difensore possa ottenere la trasposizione su nastro magnetico delle registrazioni di conversazioni o comunicazioni intercettate e utilizzate ai fini dell’adozione del provvedimento -, essendo sufficiente che le difese abbiano avuto piena facoltà di estrarre copia dei documenti riguardanti le riprese e di indicare al giudice l’esistenza di altri filmati ritenuti rilevanti prima della relativa acquisizione dibattimentale.
Le videoregistrazioni di immagini sono state considerate dalle Sezioni unite Prisco (Sez. U, n. 26795 del 28/03/2006) quali «prove documentali non disciplinate dalla legge», previste dall’art. 189 cod. proc. pen. e sottratte alla disciplina delle intercettazioni di comunicazioni o di conversazioni.
In alcune pronunce si è ritenuto che i vizi del procedimento di acquisizione delle intercettazioni di comunicazioni possano valere anche con riferimento alle registrazioni di video-riprese. Anche in tal caso, si è affermato, può dirsi che la prova dei fatti dalle stesse rappresentati non derivi dal riassunto, e dalla inevitabile interpretazione soggettiva, che di esse si faccia in atti di polizia giudiziaria, ma dal contenuto stesso delle registrazioni, documentate in supporti magnetici o informatici, posto che ciò che a tal fine conta non sono le condizioni e i presupposti per la legittima attivazione di mezzi di ricerca della prova, ma la idoneità del mezzo documentale a rappresentare adeguatamente il fatto documentato; aspetto che contraddistingue indistintamente le intercettazioni sonore e quelle visive, o audio-visive (Sez. 6, n. 37476 del 03/07/2017, Rv. 271371 – 01; Sez. 6, n. 45880 del 10/10/2011, Rv. 251182 – 01). Si tratta di un’interpretazione che estende, in favor rei, all’indagato e all’imputato le garanzie procedurali previste in materia di intercettazioni di comunicazioni e che, comunque, rimanda al tema iniziale della validità del mezzo di ricerca della prova allorché della videoripresa si sia operata la registrazione.
Occorre, tuttavia, distinguere la legittimità del mezzo di ricerca della prova, confortata nel caso in esame dal logico ragionamento secondo il quale la sovrascrittura implica la registrazione, dalle modalità attraverso le quali il suo risultato possa fare ingresso nel giudizio.
Una volta stabilita la validità del mezzo di ricerca della prova, il relativo risultato può essere altrimenti introdotto nel giudizio.
Ancorché la registrazione della videoripresa costituisca la prova regina, «portatrice di certezze processuali», ciò non esclude che, ove la fonte di prova sia deteriorata, sia ammissibile l’ingresso nel giudizio del suo risultato attraverso altri mezzi di prova.
La videoripresa «live» svolta durante un servizio di osservazione è attività di polizia giudiziaria che viene verbalizzata ai sensi dell’art.357, comma 2, lett. f), cod. proc. pen. e trasmessa al pubblico ministero (art. 373, comma 5, cod. proc. pen.).
I verbali di tale attività d’indagine possono essere acquisiti al fascicolo per il dibattimento in quanto riproducono fatti e persone nel contesto di situazioni soggette a mutamento e garantiscono attraverso la scrittura nell’immediatezza della percezione la genuinità della rappresentazione successiva (Sez. U, n. 4 del 28/10/1998, dep. 1999, Barbagallo, Rv. 212758 – 01; Sez. 3, n. 26189 del 28/03/2019, Rv. 276081 – 01; Sez. 1, n. 4178 del 10/11/2003, dep. 2004, Rv. 229987 – 01).
La deposizione degli ufficiali e degli agenti di polizia giudiziaria sul contenuto delle immagini videoriprese nel corso di un servizio di osservazione non è, peraltro, vietata dalla legge (art.195, comma 4, cod. proc. pen.), cosicchè legittimamente, anche per tale profilo, il giudice di merito può ammettere tale prova.
Se, da un lato, la giurisprudenza di legittimità ritiene pacificamente utilizzabili come prove le immagini tratte da riprese visive in luoghi pubblici e ne riconosce la valenza di prova «portatrice di certezze processuali», dall’altro non va trascurato che la ripresa visiva è un mezzo di ricerca della prova del quale la polizia giudiziaria può liberamente avvalersi ove le immagini siano captate in luoghi pubblici o aperti al pubblico.
