Cassazione penale, Sez. 5^, sentenza n. 17023/2024, udienza dell’1° marzo 2024, ha avuto modo di soffermarsi sulla nozione di errore sul fatto e sulla differenza tra questo e l’errore sul precetto.
Vicenda giudiziaria
Con sentenza del 13 aprile 2023, la Corte d’appello di XXX a ha confermato la decisione del Tribunale di XXX, che aveva dichiarato CF responsabile del reato di cui all’art. 483 cod. pen., per avere prodotto – dopo l’avvenuta elezione quale consigliere presso il Comune di XXX – dichiarazione sostitutiva di certificazione ex d.P.R. n. 445/2000, nella quale falsamente attestava l’insussistenza di cause d’incandidabilità, segnatamente derivanti, nel caso di specie, dalla sentenza di condanna del 08/11/2002, definitiva il 17/04/2003, per un delitto di cui all’art. 73 d. Igs. 309 del 1990 (T.U. stupefacenti).
Ricorso per cassazione
Avverso la sentenza, ha proposto ricorso per cassazione l’imputata, per il tramite del proprio difensore.
Ha dedotto, in particolare e per ciò che qui interessa, il vizio di violazione di legge, in relazione all’art. 24, comma 1, e 28, comma 8, del d.P.R. 313 del 2002, come modificato dal d. Igs. n. 112 del 2018.
La difesa ha premesso a tal fine che, con la sentenza di condanna sopra citata, l’imputata era stata condannata per fatti risalenti al 1992, alla pena di mesi otto, giorni 20 di reclusione, nonché a una multa, fruendo tuttavia dei benefici della sospensione condizionale della pena stessa e della non menzione nel casellario giudiziale.
Di conseguenza, alcuna pena risultava dalla copia del certificato giudiziale prodotta dall’imputata ai fini dell’elezione, come risulta agevole comprendere dalla lettura dell’art. 24, comma 1, del d.P.R. 313 del 2002, come modificato dal d. lgs. n.112 del 2018. Da ciò deriverebbe anche, a giudizio della difesa, l’insussistenza dell’elemento oggettivo del reato contestato, posto che l’imputata non era tenuta a dichiarare ciò che non risultava dal certificato giudiziale.
Decisione della Corte di cassazione
L’errore sul fatto, ai sensi dell’art. 47 cod. pen., esime dalla punibilità, è quello che cade su un elemento materiale del reato e che consiste in una difettosa percezione o in una difettosa ricognizione della percezione che alteri il presupposto del processo volitivo, indirizzandolo verso una condotta viziata alla base; mentre, se la realtà è stata esattamente percepita nel suo concreto essere, non v’è errore sul fatto, bensì errore sull’interpretazione tecnica della realtà e sulle norme che la disciplinano, ininfluente ai fini dell’applicazione della citata disposizione (Sez. 5, n. 1780 del 26/10/2021, dep. 2022, Rv. 282471 – 01).
Ora, posta l’indiscussa premessa della sufficienza del dolo generico (v., ex multis, Sez. 5, n. 12547 del 08/11/2018, dep. 2019, Rv. 276505 – 0), l’errore che si deduce, quanto alla rilevanza delle condanne riportate ai fini della candidabilità o non della persona, si traduce, infatti, rispetto alla norma incriminatrice della falsa dichiarazione, in un errore sul precetto che non esclude il dolo ai sensi dell’art. 5 cod. pen., salvo che sussista una obiettiva situazione di incertezza sulla portata applicativa o sul contenuto della norma fiscale extra-penale, tale da far ritenere l’ignoranza inevitabile.
