Condanna generica al risarcimento dei danni: legittima se già accertate potenziale capacità lesiva del fatto dannoso ed esistenza del nesso causale tra questo e il pregiudizio lamentato (Vincenzo Giglio)

Cassazione penale, Sez. 1^, sentenza n. 51160/2023, udienza del 31 ottobre 2023, si è pronunciata sui ricorsi di RM e FT, due appartenenti all’Arma dei Carabinieri coinvolti, come imputati di falso ideologico, nella drammatica vicenda umana e giudiziaria che ha portato alla tragica e violenta morte di Stefano Cucchi dopo il suo arresto.

Si sarebbe preferito non citare esplicitamente il nome della vittima, così seguendo la prassi uniformemente adottata da Terzultima Fermata a protezione di tutte le persone coinvolte in vicende giudiziarie. La notorietà del caso e lo straordinario seguito mediatico che lo ha caratterizzato rendono purtroppo vano questo intento.

Il collegio di legittimità ha rilevato l’estinzione per prescrizione del reato, contestato come avvenuto il 16 ottobre 2009, precisando comunque che “La rilevazione della causa estintiva comporta l’annullamento della sentenza agli effetti penali, ma non esime dall’esaminare i ricorsi ai fini delle valutazioni sulle connesse statuizioni civili di condanna al risarcimento del danno“.

Si riporta qui di seguito una sintesi delle argomentazioni utilizzate a tal fine.

Analisi del fatto e della sua ricostruzione nei giudizi di merito

…L’arresto di Stefano Cucchi

La sentenza impugnata ha messo in evidenza un dato di fatto di significativa importanza. L’arresto in flagranza di Stefano Cucchi fu disposto in ragione di due fatti: la cessione ad EM di un quantitativo di sostanza stupefacente, specificamente di “involucri di cellophane trasparenti … in cambio di una banconota“, e la detenzione nella autovettura nella sua disponibilità di altri quantitativi di sostanza stupefacente, di varia grandezza e presumibilmente del tipo hashish.

Questi ulteriori quantitativi vennero rinvenuti all’esito della perquisizione dell’autovettura e della perquisizione personale che furono fatte sul posto ove i carabinieri T. ed A. avevano osservato la cessione di Stefano Cucchi in favore di EM.

Non è dubbio, così si legge in sentenza, che al momento della perquisizione i due menzionati carabinieri erano stati raggiunti dai colleghi DB e D’A, oltre che dal giovanissimo collega B. Questi fu l’ultimo a giungere e, come dallo stesso dichiarato, intervenne non appena stava per iniziare l’attività di perquisizione con già la presenza sul posto di DB e di D’A. Costoro presero parte alla perquisizione, come precisato in sentenza e insieme agli altri colleghi fecero poi rientro in caserma per gli adempimenti successivi.

In caserma, i militari condussero Stefano Cucchi ed EM: in particolare, ha precisato la sentenza, il carabiniere D’A si pose alla guida dell’autovettura di Cucchi, su cui prese posto anche il carabiniere B. Già questo dettaglio potrebbe essere chiaro segno del fatto che Stefano Cucchi non era certo in stato di libertà, perché altrimenti si sarebbe recato in Caserma conducendo la sua autovettura senza necessità che fosse presa in custodia dal carabiniere D’A.

Stefano Cucchi, potrebbe, dirsi, già in quel momento era stato privato della libertà personale e condotto in caserma per gli ulteriori adempimenti, tra questi la redazione del verbale di arresto, ed accertamenti.

La sentenza impugnata ha comunque ampiamente argomentato e ha rilevato, movendo proprio dalla lettura del verbale di arresto, che l’arresto fu formalmente dichiarato appena dopo l’assunzione delle dichiarazioni di EM, che era stato condotto in caserma proprio per chiarire contenuto e modalità dello scambio oneroso avvenuto con Stefano Cucchi, e il risultato del narcotest su quanto appena prima sequestrato.

La Corte di assise di appello ha in tal modo evidenziato che, sia che si faccia cadere l’arresto al momento dell’osservazione dello scambio di sostanza stupefacente e delle perquisizioni sia che si collochi l’arresto al momento del compimento degli accertamenti appena successivi, non è dubbio che i carabinieri DB e D’A vi parteciparono. Costoro presero parte alla perquisizione personale e dell’autovettura di Stefano Cucchi, fecero rientro in Caserma con questi, oltre che con gli altri carabinieri che avevano sorpreso Cucchi nell’atto di cedere un quantitativo di sostanza stupefacente ad EM, in tal modo interrompendo l’altro servizio a cui erano stati comandati, e pertanto furono tra quanti procedettero all’arresto in flagranza, appunto perché compartecipi nell’esecuzione di atti prodromici e direttamente collegati.

…Il falso ideologico dei ricorrenti

La sentenza impugnata ha ben motivato anche in ordine alla sussistenza dell’elemento soggettivo, quindi della consapevolezza e volontà dell’omissione, in capo ai due imputati.

I carabinieri DB e D’A fecero rientro in Caserma insieme agli altri colleghi conducendo negli uffici anche Stefano Cucchi ed EM.

Quella sera i due carabinieri erano stati incaricati dal maresciallo RM di un compito diverso da quello di pattugliamento demandato ai carabinieri FT ed A, specificamente del controllo del territorio in abiti borghesi per la repressione dei reati di spaccio.

Seppure comandati ad un diverso servizio, fecero rientro in caserma unitamente ai colleghi FT ed A, proprio perché unitamente a costoro avevano proceduto all’arresto di Stefano Cucchi, operazione questa che li aveva impegnati sì da non proseguire oltre nello svolgimento del precedente incombente. Il maresciallo RM, del resto, annotò nel memoriale di servizio di quella sera che i carabinieri DB e D’A erano stati impegnati nel servizio “inerente all’arresto di Stefano Cucchi per spaccio stupefacenti”. È pienamente logico, pertanto, l’assunto di sentenza che il maresciallo RM ebbe piena consapevolezza che all’arresto avevano preso parte anche i carabinieri DB e D’A e le deduzioni di ricorso non sono in grado di scalfire la coerenza della deduzione a cui è giunta la Corte di assise di appello sulla base di dati oggettivi e inequivoci.

Ma v’è di più. Il maresciallo RM, quando provvide a formare il verbale, era a conoscenza che i carabinieri DB e D’A si erano resi autori del pestaggio di Stefano Cucchi nella sala SPIS della caserma CC Casilina.

Sul punto la sentenza impugnata ha spiegato, in modo logico e coerente, come l’esame di attendibilità del coimputato FT non possa estendersi alla considerazione del complesso di dichiarazioni rese su tutta la vicenda. Quel che interessa è la ricostruzione dei fatti occorsi la sera dell’arresto e quanto accaduto successivamente è stato oggetto di altre dichiarazioni dell’imputato FT senza alcun legame di interferenza con quanto riferito in merito acili accadimenti nella sala SPIS e della comunicazione appena successiva al maresciallo RM di quanto si era verificato. Il dichiarato del carabiniere FT, peraltro, ha trovato dati di riscontro nelle conversazioni intercorse, tempo dopo, tra i carabinieri DB e D’A, il cui valore di riscontro non può essere svilito, come invece preteso dal ricorrente RM, assumendo, per una mera congettura, che i due conversanti sapessero di essere intercettati e che quindi dissero cose non rispondenti al vero.

La Corte di assise di appello ha comunque arricchito il novero dei riscontri con il richiamo alle deposizioni testimoniali del piantone C in servizio presso la Stazione CC di Tor Bella Monaca. Questi ha riferito che al momento della presa in consegna dell’arrestato Stefano Cucchi l’appuntato scelto N gli consegnò un biglietto con il numero di telefono cellulare personale del maresciallo RM, con l’invito ad informarlo direttamente e personalmente delle condizioni di salute dell’arrestato per l’ipotesi in cui fossero insorte complicanze.

Si trattò, come argomentato in sentenza, di un accorgimento rivelatore del fatto che RM sapeva della violenza patita dall’arrestato ad opera dei carabinieri in forza alla sua stazione, proprio come dichiarato dall’imputato FT.

…Elemento soggettivo

Quanto all’elemento soggettivo in capo a quest’ultimo la sentenza impugnata ha parimenti correttamente e compiutamente argomentato.

L’imputato FT assistette al pestaggio di Stefano Cucchi, avvertì telefonicamente il superiore RM, quindi, arrivato in caserma, assistette al fatto che i colleghi DB e D’A furono chiamati ad un colloquio riservato con il maresciallo RM, a cui lui rimase estraneo.

Non appena il colloquio riservato ebbe termine, fu convocato da RM per la sottoscrizione del verbale di arresto. Ebbe quindi modo di leggere il verbale predisposto da costui e non poté non avvedersi della mancanza dei nomi dei due colleghi che avevano con lui operato e che si erano resi responsabili dell’aggressione fisica ai danni dell’arrestato.

La prova di questa consapevolezza è tratta, con logicità di rilievo, dalla “timida esitazione” che l’imputato ebbe al momento in cui fu invitato dalla sottoscrizione del verbale. La motivazione sul punto è coerente e logica, completa e capace di dare conto della sussistenza del dolo generico. Il carabiniere FT sottoscrisse il verbale di arresto nonostante l’incompletezza relativa ai nominativi di quanti avevano proceduto all’atto e specificamente all’assenza dei nominativi dei due colleghi che quella stessa sera si erano resi autori del pestaggio ai danni dell’arrestato. La sussistenza del dolo generico richiesto per l’integrazione della fattispecie non può essere negata alla luce dei rilievi difensivi, riproposti con gli atti di ricorso, secondo cui l’omissione non potette essere voluta al fine di impedire, di ostacolare l’individuazione dei carabinieri DB e D’A come autori del pestaggio.

Sui rilievi difensivi la Corte di assise di appello, spiegando l’irrilevanza, ai fini dell’affermazione del dolo del falso omissivo, del fatto che il memoriale di servizio, redatto dallo stesso maresciallo RM, attestò il coinvolgimento dei carabinieri DB e D’A nelle operazioni di arresto in flagranza di Stefano Cucchi, e della indicazione dei due come compartecipi alla perquisizione domiciliare che RM dispose dopo che Stefano Cucchi era stato condotto in caserma.

Si può anche addivenire alla conclusione che la complessiva operazione di occultamento della presenza dei due carabinieri DB e D’A fu tutt’altro che esente da difetti, che la mancata indicazione dei due nominativi nel verbale di arresto avrebbe dovuto essere accompagnata da ulteriori accorgimenti, ma ciò non può incidere sulle ragioni che sostengono, con coerenza e logicità ricostruttiva, l’affermazione del dolo generico.

…La condanna generica dei ricorrenti al risarcimento dei danni

La sentenza impugnata contiene la condanna generica dei due imputati al risarcimento del danno a favore sia dei familiari di Stefano Cucchi che degli agenti di polizia penitenziaria che, per lo sviamento delle prime indagini per gli ostacoli frapposti alla pronta individuazione dei carabinieri responsabili della morte di Stefano Cucchi, subirono la sottoposizione a processo. Le critiche dei ricorsi devono ora essere valutate facendo applicazione del principio per il quale “ai fini della condanna generica al risarcimento dei danni, non è necessaria la prova della concreta esistenza di danni risarcibili, essendo sufficiente l’accertamento della potenziale capacità lesiva del fatto dannoso e dell’esistenza di un nesso di causalità tra questo e il pregiudizio lamentato, desumibile anche presuntivamente” (così: sent. n. 9266/1994, Rv. 199071 e Sez. 6, n. 28216 del 25/09/2020, Rv. 279625).

 Come indicato in sentenza, la falsificazione del verbale di arresto ha prodotto ai familiari di Stefano Cucchi un danno, patrimoniale e morale, quale diretta conseguenza dell’instaurazione di un procedimento nei confronti degli appartenenti alla polizia penitenziaria.

Il danno è consistito nello sviamento delle indagini, che fece perdere tempo e denaro. Parimenti, un danno è stato causato agli agenti di polizia penitenziaria che furono sottoposti a processo, che ricevettero un danno in diretta conseguenza della condotta di falso accertata, capace di ostacolare l’avvio di indagini nei confronti dei veri responsabili, al netto della erroneità dell’affermazione secondo cui l’assoluzione del carabiniere FT dal reato di calunnia ai sensi dell’art. 384 cod. pen., e quindi di una esimente soggettiva, non impedisca la configurazione di un danno.

Quel che qui interessa è infatti la relazione causale tra il danno della sottoposizione a processo e le condotte omissive di falsificazione del verbale di arresto, per nulla scriminate.

Si osserva allora che, secondo quanto affermato da Sez. 4, n. 12175 del 03/11/2016, dep. 2017, Rv. 270384, «ai fini della pronuncia di condanna generica … non è necessario che il danneggiato provi la effettiva sussistenza dei danni ed il nesso di causalità tra questi e l’azione dell’autore dell’illecito, essendo sufficiente l’accertamento di un fatto potenzialmente produttivo di conseguenze dannose: la suddetta pronuncia infatti costituisce una mera declaratoria juris da cui esula ogni accertamento relativo sia alla misura sia alla stessa esistenza del danno, il quale è rimesso al giudice della liquidazione (Sez. 6, n. 9266 del 26/04/1994 – dep. 26/08/1994, Mondino ed altro, Rv. 199071)».

Non possono dunque essere accolte le doglianze dei ricorsi in ordine alla carenza di prova sul legame causale tra il fatto di falso e le conseguenze dannose, perché tal tipo di accertamento sarà oggetto delle verifiche da compiersi nella sede propria, che è quella del giudizio civile. 

La conclusione non muta pur assumendo in premessa altro orientamento interpretativo per il quale “ai fini della condanna generica al risarcimento dei danni, non è sufficiente la sussistenza di un fatto potenzialmente produttivo di conseguenze dannose, occorrendo la prova, sia pure con modalità sommaria, dell’an debeatur, essendo rinviata al separato giudizio civile soltanto la determinazione quantitativa del danno” (diff. Sez. 6, n. 9266 del 26/04/1994, Rv. 199071) – Sez. 6, n. 16765 del 18/11/2019, dep. 2020, Rv. 279418).

La sentenza impugnata, infatti, ha argomentato sulla sussistenza del danno entro i limiti della sufficienza, atteso che il parametro dell’apprezzamento della verifica del danno si attesta sull’ammissibilità di modalità sommarie di accertamento e di valutazioni probabilistiche.

In riferimento poi alla doglianza relativa alla condanna alla provvisionale è sufficiente richiamare il consolidato orientamento di legittimità per il quale “non è impugnabile con ricorso per cassazione la statuizione pronunciata in sede penale e relativa alla concessione e quantificazione di una provvisionale, trattandosi di decisione di natura discrezionale, meramente delibativa e non necessariamente motivata, per sua natura insuscettibile di passare in giudicato e destinata ad essere travolta dall’effettiva liquidazione dell’integrale risarcimento” (Sez. 2, n. 44859 del 17/10/2019, Rv. 277773).

Il fatto poi dell’asserita irragionevolezza della mancata condanna al pagamento della provvisionale dell’imputato FT, “in considerazione del ruolo svolto dall’imputato nella consumazione del falso” che impedirebbe di ritenere provata, anche solo parzialmente, l’entità del danno, non giova certo a far superare le ragioni che impediscono di delibare in merito alla condanna disposta nei confronti dell’imputato medesimo.