Cassazione penale, Sez. 5^, sentenza n. 5137/2024, udienza del 7 dicembre 2023, ha sottolineato che l’inimicizia grave come motivo di ricusazione deve sempre trovare riscontro in rapporti personali estranei al processo ed ancorati a circostanze oggettive, mentre, invece, la condotta endoprocessuale può assumere rilievo solo quando presenti aspetti talmente anomali e settari da costituire sintomatico momento dimostrativo di una inimicizia maturata all’esterno.
In applicazione di tale principio, Sez. 5, n. 5602 del 21/11/2013 – dep. 04/02/2014, Rv. 25886701, ha precisato che le decisioni prodromiche a quelle sulla colpevolezza o sull’innocenza – quali quelle in materia di ammissione o revoca delle prove, ovvero di rigetto di richieste di definizione anticipata del giudizio ex artt. 129 cod. proc. pen., ovvero, ancora, di ammissione delle parti civili, di rigetto di richieste di rinvio o di fissazione di udienza straordinarie – esulano dal concetto di inimicizia grave, così come da quello di anticipazione indebita del proprio convincimento da parte del giudice).
La natura eccezionale del rimedio comporta che i casi di ricusazione siano tassativi, in quanto limitativi dell’esercizio del potere giurisdizionale e della normale capacità processuale del soggetto titolare dell’ufficio giurisdizionale, non solo nel senso che non possano essere applicati in via analogica, ma anche nel senso che la stessa interpretazione debba essere soltanto letterale, con esclusione di quella estensiva.
Le disposizioni che prevedono le cause di ricusazione hanno carattere eccezionale e, come tali, sono di stretta interpretazione, sia perché determinano limiti all’esercizio del potere giurisdizionale ed alla capacità del giudice, sia perché consentono un’ingerenza delle parti nella materia dell’ordinamento giudiziario, che attiene al rapporto di diritto pubblico fra Stato e giudice (Sez. 5, n. 11980 del 07/12/2017, dep. 2018, Rv. 272845).
Si aggiunge per completezza che è stata dichiarata manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 37 cod. proc. pen., in relazione agli artt. 3, 24 e 111 Cost., nella parte in cui non prevede la possibilità di ricusare il giudice in presenza delle “gravi ragioni di convenienza” previste quale mera causa di astensione dall’art. 36, comma primo, lett. h), cod. proc. pen., essendo tale differenziazione finalizzata ad attuare una tutela ad incisività crescente del principio di precostituzione, ricollegando la ricusazione ai soli casi di un oggettivo deficit di imparzialità del giudice e relegando invece le “gravi ragioni personali” – aventi connotati di indeterminatezza – alla sola astensione, in tal modo consentendo al giudice di dar rilievo anche a motivi personali, in concreto idonei ad incidere sulla percezione della propria imparzialità da parte dello stesso giudicante (Sez. 6, sentenza n. 44436 del 04/10/2022, Rv. 284151 – 02).
In particolare, è necessario che il sentimento di grave inimicizia, per risultare pregiudizievole, sia reciproco e tragga origine da rapporti di carattere privato, estranei al processo, non potendosi desumere dal mero trattamento riservato in tale sede alla parte, anche se da questa ritenuto frutto di mancanza di serenità (cfr. tra le tante, Sez. 6, n. 22540 del 13/03/2018, RV. 273270).
In definitiva, in linea generale, gli aspetti anomali e settari non possono pertanto consistere in alcune seppur discutibili “scelte operate dal giudice nella gestione del procedimento, le quali riguardano aspetti interni al processo e che possono essere risolti con il ricorso ai rimedi apprestati dall’ordinamento processuale e non già con l’istituto della ricusazione” (cfr. per tutte, Sez. 5, n. 3756 del 16.12.2004, rv. 231399, in applicazione di tale principio la Suprema Corte ha ritenuto corretto il rigetto dell’istanza di ricusazione fondata sulla mera condotta endoprocessuale del giudice e ravvisata nella mancata considerazione del materiale difensivo, nell’eliminazione di documenti dal fascicolo dibattimentale senza l’intervento della difesa ed infine nella negazione del diritto dell’imputato all’autodifesa).
