L’avvocato ha il dovere di comportarsi, in ogni situazione (quindi anche nella dimensione privata e non propriamente nell’espletamento dell’attività forense), con la dignità e con il decoro imposti dalla funzione che l’avvocatura svolge nella giurisdizione (art. 5 9 cdf) e deve in ogni caso astenersi dal pronunciare espressioni sconvenienti od offensive (art. 52 cdf), la cui rilevanza deontologica non è peraltro esclusa dalla provocazione altrui, né dalla reciprocità delle offese, né dallo stato d’ira o d’agitazione che da questa dovesse derivare, non trovando applicazione in tale sede l’esimente prevista dall’art. 599 c.p.
Nel caso di specie, l’avvocato si era rivolto alla propria ex moglie con numerosi appellativi offensivi, tra cui “peripatetica”, a dir il vero anche con qualcosa di più.
In applicazione del principio di cui in massima, il CNF ha rigettato il ricorso dell’incolpato avverso la sanzione disciplinare irrogatagli dal CDD.
Consiglio Nazionale Forense (pres. f.f. Napoli, rel. Palma), sentenza n. 107 del 27 marzo 2024
Alla medesima conclusione si era giunti con la decisione del Consiglio Nazionale Forense, sentenza del 28 dicembre 2013, n. 213 in una fattispecie analoga a quella in esame.
Anche in questo caso, l’avvocato si era rivolto alla propria ex moglie con appellativi indecorosi, del tutto analoghi a quelli utilizzati nella decisione in commento e il suo successivo “pentimento” e presa di coscienza di aver esagerato non aveva influito sulla decisione disciplinare.
