Cassazione penale, Sez. 3^, sentenza n. 11316/2022, udienza del 22 dicembre 2021, si è soffermata sui requisiti indispensabili per la revoca, ai sensi dell’art. 434 cod. proc. pen., della sentenza di non luogo a procedere.
Due sono i requisiti essenziali che, tra gli altri, consentono la revoca della sentenza di non luogo a procedere, qualora il PM intenda chiedere, come accaduto nel caso in esame, il rinvio a giudizio.
È, cioè, necessario che le nuove fonti di prova – le quali, da sole o unitamente a quelle già acquisite, possono determinare il rinvio a giudizio – siano dotate di un valore persuasivo diverso, anche sotto il profilo della completezza, rispetto a quelle già acquisite.
Inoltre, è necessario che la prova non sia stata valutata dal giudice che ha emesso la sentenza di non luogo a procedere, altrimenti sorgendo in capo al PM l’onere di impugnare la sentenza di proscioglimento resa ai sensi dell’articolo 425 del codice di procedura penale.
Ulteriore valore persuasivo delle nuove prove
Quanto al primo requisito, ossia che le nuove prove debbano essere dotate di un valore persuasivo diverso, anche sotto il profilo della completezza, rispetto a quelle già acquisite, la giurisprudenza di legittimità ha affermato che, ai fini della revoca della sentenza di non luogo a procedere, le nuove prove poste a sostegno della richiesta devono essere oggetto, nel merito, d’una valutazione di idoneità, la quale può concludersi positivamente quando il giudice ritenga che, se fossero state conosciute nel momento conclusivo della udienza preliminare, in luogo della sentenza sarebbe stato deliberato il rinvio a giudizio dell’imputato (Sez. 5, n. 30869 del 11/04/2003, Rv. 228324 – 01).
Da ciò si ricava l’argomento in forza del quale i nuovi elementi di prova devono assumere un carattere di decisività e, per questa ragione, richiedono che il giudice per le indagini preliminari compia un esame nel merito quanto all’attitudine di detti elementi a determinare nel caso concreto il rinvio a giudizio, senza che, tuttavia, gli sia consentito sconfinare da una mera valutazione prognostica fino a fondare un giudizio di probabile colpevolezza.
Logico corollario di tale impostazione è però che la novità delle fonti di prova non deve essere apprezzata sulla base di un requisito di tipo “formale” o cronologico, valorizzando cioè il solo fatto che le stesse siano state acquisite successivamente alla pronuncia della sentenza di non luogo a procedere, ma devono necessariamente rispettare un requisito di tipo “sostanziale”, nel senso, cioè, che il quid novi deve essere concretamente capace di modificare il precedente
convincimento del giudice, senza assumere conformazioni equivalenti agli elementi già valutati, essendo questa, e non altra, la regola di giudizio che informa i criteri che disciplinano la revoca della sentenza di non luogo a procedere e che può ritenersi in linea con i principi fissati nella direttiva n. 56 della legge delega per l’emanazione del codice di procedura penale (legge 16 febbraio 1987, n. 81) diretta a limitare, al fine di assicurare “idonee garanzie per l’imputato”, le possibilità di un nuovo esercizio dell’azione penale dopo la pronuncia di una sentenza di non luogo a procedere.
A questo proposito, ossia quanto al carattere di autentica novità che la fonte di prova deve possedere, la più avvertita dottrina e la stessa giurisprudenza di legittimità hanno posto bene in evidenza come l’art. 434 cod. proc. pen., abbia ripreso la classificazione – già presente nella procedura abrogata in merito alla riapertura dell’istruzione formale – tra fonti di prova noviter repertae e noviter productae, attribuendo carattere di novità sia alle prime, ossia a quelle la cui disponibilità sia sopravvenuta solo dopo la pronuncia della sentenza di non luogo a procedere, perché prima non esistenti, che alle seconde, ossia a quelle preesistenti ma non acquisite agli atti nel corso delle indagini preliminari o nell’udienza preliminare e dunque mai portate a conoscenza del giudice (Sez. 3, n. 3734 del 06/11/1996, Rv. 206815 – 01).
Tant’è che, argomentando in “controluce” rispetto al precedente approdo, è stato affermato come non possa considerarsi nuova fonte di prova, ai fini della revoca della sentenza di non luogo a procedere, quella della cui esistenza, pur mancando gli atti relativi nel fascicolo del procedimento definito con la sentenza, il giudice risulti essere stato informato al momento della decisione (Sez. 5, n. 30869 del 11/04/2003, cit., Rv. 228323 – 01).
Le nuove prove non devono essere già state valutate dal giudice
Il secondo requisito, ossia che la prova, in quanto sostanzialmente nuova, non debba essere stata valutata dal giudice che ha emesso la sentenza di non luogo a procedere, altrimenti sorgendo in capo al PM l’onere di impugnare la sentenza di proscioglimento resa ai sensi dell’articolo 425 del codice di procedura penale, costituisce il riflesso dell’effetto limitatamente preclusivo della sentenza di non luogo a procedere e la sua portata si riverbera, essendo il principio preclusivo in sé ovvio, sull’attività che il PM può compiere per il reperimento delle nuove fonti di prova.
La questione è stata risolta da un arresto delle Sezioni unite che, nella sentenza Romeo, della quale ha dato atto l’ordinanza impugnata, hanno affermato, nell’ottica della prospettiva garantistica privilegiata dal legislatore e rafforzata dai principi affermati nella sentenza n. 27 del 1995 della Corte costituzionale, che le “nuove fonti di prova”, idonee sotto il profilo teleologico anche per capacità dimostrativa propria a determinare, con la revoca del non luogo a procedere, l’immediato rinvio a giudizio dell’imputato prosciolto, di qualsiasi natura e tipologia esse siano (preesistenti o sopravvenute – noviter repertae o noviter productae, purché non acquisite agli atti e già sottoposte alla valutazione del giudice) debbono provenire da un’attività estranea ad ogni iniziativa investigativa nell’ambito del procedimento chiuso con la sentenza di non luogo a procedere, con la conseguenza che possono essere utilizzabili soltanto quegli elementi di prova provenienti da altri procedimenti o raccolti incidentalmente nel corso di indagini diverse, ovvero reperiti in modo casuale o spontaneamente offerti, che non siano frutto di un’attività investigativa proseguita “ad hoc” dall’organo dell’accusa – fuori altresì dal quadro processuale di riferimento ormai chiuso con il non luogo a procedere – allo specifico scopo di predisporre il rinvio a giudizio del prosciolto, né siano il risultato di indagini, pure asseritamente indifferibili o urgenti, finalizzate alla verifica e all’approfondimento degli elementi emersi, soccorrendo in tal caso l’opzione alternativa della riapertura delle indagini (Sez. U, n. 8 del 23/02/2000, Romeo, Rv. 215412 – 01).
La soluzione ermeneutica proposta dalle Sezioni unite esclude, quindi, che la revoca, finalizzata ad ottenere immediatamente la vocatio in ius dell’imputato, possa essere intesa come un escamotage per riassestare indagini preliminari incomplete, che consentirebbero all’inquirente un aggiramento dei termini prescritti per l’espletamento delle indagini preliminari, in violazione dei principi garantistici commessi al legislatore delegato dalla surrichiamata direttiva n. 56 della legge delega, e così travalicando i limiti, previsti in via tassativa dall’art. 434 cod. proc. pen., entro i quali è possibile rimuovere l’effetto preclusivo connesso alla pronuncia di una sentenza di non luogo a procedere.
Inutilizzabilità degli atti di indagine compiuti dal PM in assenza di un’espressa autorizzazione del giudice
La conseguenza è che, qualora gli eventuali atti d’indagine del PM debordino dai principi in precedenza espressi, la mancanza di un’espressa autorizzazione del giudice al loro espletamento comporta che essi siano compiuti in violazione di un divieto, per quanto implicito, previsto dalla legge e debbano perciò ritenersi inutilizzabili ex art. 191 cod. proc. pen.
Ne deriva che, nella prospettiva della revoca, il PM si può servire di nuovi elementi di prova a condizione che essi siano stati acquisiti “aliunde” nel corso di indagini estranee al procedimento già definito o siano provenienti da altri procedimenti, ovvero reperiti in modo casuale o spontaneamente offerti, e comunque non siano il risultato di indagini finalizzate alla verifica ed all’approfondimento degli elementi emersi (Sez. U, n. 8 del 23/02/2000, cit., Rv. 215412 – 01).
La valutazione circa la natura delle nuove fonti di prova acquisite dal PM successivamente alla pronuncia della sentenza di non luogo a procedere, che possono essere o meno utilizzati ai fini della revoca della sentenza ex art. 425 cod. proc. pen. nei confronti dell’imputato prosciolto, si risolve, di regola, in un accertamento di fatto che, qualora il giudice di merito compia attraverso una motivazione adeguata e priva di vizi di manifesta illogicità, è insuscettibile di essere sindacata in sede di giudizio di legittimità.
