Cassazione penale, Sez. 1^, sentenza n. 24117/2024, udienza del 19 aprile 2024, ha affermato l’inutilizzabilità delle prove non acquisite in contraddittorio tra le parti e fondate sulla cosiddetta scienza privata del giudice.
Il collegio di legittimità ha rilevato che la sentenza impugnata ha utilizzato materiale proveniente da internet (previsioni meteorologiche) che non risulta acquisito agli atti, in violazione dei principi costantemente affermati dalla giurisprudenza di legittimità.
È stato, infatti, chiarito che «Non sono utilizzabili ai fini della deliberazione informazioni tratte in camera di consiglio dal sito internet Google Maps, in quanto trattasi di acquisizione unilaterale di elementi conoscitivi che determina l’impiego a fini decisori di prove diverse da quelle legittimamente acquisite in dibattimento nel contraddittorio tra le parti» (Sez. 1, n. 36315 del 20/05/2016, Rv. 268262).
Tale principio va convintamente riaffermato, essendo stato ribadito anche nel campo delle valutazioni scientifiche di risultanze tecniche.
Si cita a tal fine Sez. 1, n. 19822 del 23/03/2021, Rv. 281223, la quale ha chiarito che «Il giudice, quando sia necessario svolgere indagini od acquisire dati o valutazioni che richiedono specifiche competenze tecniche, non può prescindere dall’apporto della perizia per avvalersi direttamente di proprie, personali, competenze scientifiche e tecniche, perché l’impiego della scienza privata costituisce una violazione del principio del contraddittorio nell’iter di acquisizione della prova e del diritto delle parti di vedere applicato un metodo scientifico e di interloquire sulla validità dello stesso».
Va, quindi, affermato il seguente principio di diritto: «Non sono utilizzabili ai fini della deliberazione informazioni tratte in camera di consiglio da siti internet di meteorologia o climatologia, in quanto trattasi di acquisizione unilaterale di elementi conoscitivi che determina l’impiego a fini decisori di prove diverse da quelle legittimamente acquisite in dibattimento nel contraddittorio tra le parti».
Si tratta, quindi, di documentazione illegittimamente impiegata per la decisione cui, oltre tutto, è stata attribuita valenza decisiva per scardinare il ragionamento del primo giudice, in contrasto con quanto affermato dalla giurisprudenza di legittimità: «in tema di prova, le c.d. “fonti aperte”, reperibili anche tramite la rete Internet”, possono costituire solo un parametro con cui valutare l’impiego di massime di esperienza o profili attinenti a fatti notori non oggetto di contestazione e, comunque, non riguardanti l’imputazione» (Sez. 4, n. 21310 del 26/04/2022, Rv. 283314).
È, del pari, certo che il documento acquisito dalla Corte nel segreto della camera di consiglio non è dotato di alcuna attendibilità perché non è stato rilasciato dalle competenti autorità pubbliche di certificazione delle condizioni climatiche e meteorologiche.
Deve, infatti, essere rimarcato che il giudice può porre a fondamento della propria decisione unicamente materiale probatorio, acquisito in contraddittorio, del quale sia accertata la provenienza e che, quando contiene dati scientifici o elementi tecnici, promani da fonti autorevoli, certificate e comunque sottoposte al necessario vaglio di affidabilità che si ottiene mediante il metodo dialettico processuale del contraddittorio che deve trovare puntuale riscontro nei passaggi logici della motivazione del provvedimento giudiziario.
È, in effetti, indispensabile che il giudice di merito proceda alla verifica critica in ordine all’affidabilità delle informazioni utilizzate ai fini della spiegazione del fatto, pena il venire meno della correttezza metodologica dell’approccio del giudice di merito al dato tecnico o al sapere scientifico utilizzato, che sfocia nella illegittimità della decisione sindacabile in sede di legittimità (Sez. 1, n. 58465 del 10/10/2018, Rv. 276151).
Oltre al denunciato vulnus processuale, sussiste pure un vizio motivazionale, anche sotto il profilo della motivazione rafforzata, circa le effettive condizioni climatiche e meteorologiche della zona per come riferite da numerosi testimoni (vari operatori di polizia giudiziaria) e ritratte nelle fotografie acquisite agli atti.
La Corte di secondo grado, omettendo di valutare la prova già acquisita e valorizzata dal primo giudice, si è limitato a disconoscerla e a tacerne l’esistenza, così stendendo una motivazione basata sul travisamento e inidonea a superare la valutazione compiuta dal primo giudice.
Analogo vizio riguarda la tabella di conversione delle taglie delle calzature che non risulta essere quella versata dal RIS negli atti acquisiti nel contraddittorio, unico documento di tale contenuto che è stato acquisito al dibattimento. La Corte ha, anche in questo caso, impiegato un elemento di prova, senza neppure indicarne la provenienza, che è estraneo al processo, sicché inutilizzabile alla stregua dei principi prima affermati.
Peraltro, la tabella utilizzata evidenzia palesi errori di conversione che, dunque, hanno comunque inficiato il ragionamento del giudice di secondo grado.
In ultimo, va sottolineato che, su tale illegittima acquisizione, la Corte di appello ha incentrato un’erronea motivazione con riferimento alle calzature dell’imputato e, in particolare, sulla circostanza che questi fosse solito calzare il n. 38, del tutto diverso rispetto a quello della scarpa rinvenuta nella discarica (taglia n. 40,5-41).
In particolare, gli elementi di prova posti a base di tale radicale asserzione del giudice di appello, risultano travisati dalla Corte dì secondo grado che, facendo riferimento alla propria erronea conclusione basata sul ridetto errato documento acquisito extra processualmente, ha omesso di considerare le dichiarazioni testimoniali e le acquisizioni processuali (sequestri), dalle quali invece emerge, come aveva concluso il giudice di primo grado, che l’imputato calza il n. 41, non risultando, per contro, che nella sua abitazione siano state rinvenute calzature di taglia n. 38 allo stesso riferibili.
Anche sotto questo profilo, dunque, la sentenza impugnata presenta vizi di violazione della legge processuale e vizi della motivazione, anche per travisamento, mancando, in ogni caso, una motivazione rafforzata a sostegno del ribaltamento del giudizio.
