Affidamento in prova al servizio sociale: lo stato dell’arte giurisprudenziale sui presupposti (di Vincenzo Giglio)

Cassazione penale, Sez. 1, sentenza n. 24523/2024, udienza del 13 febbraio 2024, ha compiuto un’utile ricognizione dei presupposti applicativi della misura alternativa dell’affidamento in prova al servizio sociale.

L’art. 47, comma 2, Ord. Pen., consente l’applicazione dell’affidamento in prova al servizio sociale ove si possa ritenere che la misura, «anche attraverso le prescrizioni di cui al comma 5, contribuisca alla rieducazione del reo e assicuri la prevenzione del pericolo che egli commetta altri reati».

Attraverso la misura alternativa dell’affidamento in prova al servizio sociale, l’ordinamento ha inteso attuare una forma dell’esecuzione della pena esterna al carcere nei confronti di condannati per i quali, alla luce dell’osservazione della personalità e di altre acquisizioni ed elementi di conoscenza, sia possibile formulare una ragionevole prognosi di completo reinserimento sociale all’esito della misura alternativa (Corte cost., 5 dicembre 1997, n. 377). A proposito della peculiare finalità dell’affidamento, la giurisprudenza di legittimità è uniformemente orientata nel senso che, ai fini della concessione della misura, non possono, di per sé soli, assumere decisivo rilievo, in senso negativo, elementi quali la gravità del reato per cui è intervenuta condanna e i precedenti penali, né può richiedersi, in positivo, la prova che il soggetto abbia compiuto una completa revisione critica del proprio passato, essendo sufficiente che dai risultati dell’osservazione della personalità emerga che un siffatto processo critico sia stato almeno avviato (da ultimo, Sez. 1, n. 1410 del 30/10/2019, Rv. 277924).

In particolare, è stato chiarito che, per il giudizio prognostico favorevole, la natura e la gravità dei reati per i quali è stata irrogata la pena in espiazione deve costituire, unitamente ai precedenti (Sez. 1, n. 1812 del 4/3/1999, Rv. 213062), alle pendenze e alle informazioni di P.S. (Sez. 1, n. 1970 dell’11/3/1997, Rv. 207998), il punto di partenza dell’analisi della personalità del soggetto, la cui compiuta ed esauriente valutazione non può mai prescindere, tuttavia, dalla condotta tenuta successivamente dal condannato e dai suoi comportamenti attuali, risultando questi essenziali ai fini della ponderazione dell’esistenza di un effettivo processo di recupero sociale e della prevenzione del pericolo di recidiva (su questo specifico aspetto cfr. Sez. 1, n. 31420 del 5/5/2015, Rv. 264602).  

Si è inoltre precisato che, fra gli indicatori utilmente apprezzabili in tale ottica, possono essere annoverati l’assenza di nuove denunzie, il ripudio delle pregresse condotte devianti, l’adesione a valori socialmente condivisi, la condotta di vita attuale, la congruità della condanna, l’attaccamento al contesto familiare e l’eventuale buona prospettiva di risocializzazione (Sez. 1, n. 44992 del 17/9/2018, Rv. 273985).

In ogni caso non può richiedersi, in positivo, la prova che il soggetto abbia compiuto una completa revisione critica del proprio passato, essendo sufficiente che, dai risultati dell’osservazione della personalità, emerga che un siffatto processo critico sia stato almeno avviato (Sez. 1, n. 773 del 3.12.2013, dep. 10/1/2014, Rv. 258402).

Neppure è superfluo ricordare che, muovendo dai risultati delle attività di carattere istruttorio che il tribunale di sorveglianza ha il potere-dovere di compiere ai sensi dell’art. 47 Ord. pen., in relazione all’art. 96 d.P.R. 30 giugno 2000, n. 230, nella sintesi conclusiva che è chiamato a compiere – pur non prescindendo dalla natura e dalla gravità dei reati per cui è stata irrogata la pena in espiazione (quale punto di partenza dell’analisi della personalità del soggetto) e sempre valutando in via primaria la condotta successivamente serbata dal condannato attraverso l’indispensabile esame anche dei comportamenti attuali del medesimo, onde assolvere all’esigenza di accertare l’assenza di indicazioni negative ed anche l’evenienza di elementi positivi tali da consentire il giudizio prognostico di buon esito della prova e di prevenzione del pericolo di recidiva (su questo specifico aspetto cfr. Sez. 1, n. 31420 del 5/5/2015, Rv. 264602) – può fare ragionata applicazione del principio di gradualità nell’iter finalizzato alla concessione, al contempo, puntuale e proficua delle misure alternative alla detenzione. In tal senso si deve ribadire (nell’alveo di una consolidata elaborazione, su cui cfr. Sez. 1, n. 27264 del 14/1/2015, Rv. 264037; Sez. 1, n. 15064 del 6/3/2003, Rv. 224029) che, prima di ammettere il condannato a misure alternative alla detenzione, il tribunale di sorveglianza, anche quando rilevi l’emersione di elementi positivi nel comportamento del detenuto, può legittimamente ritenere necessario un ulteriore periodo di osservazione e lo svolgimento di altri esperimenti premiali onde verificare la concreta attitudine del medesimo ad adeguarsi alle prescrizioni da imporre, poi, con la concessione delle misure stesse.

Ciò è tanto più giustificato quanto più i reati commessi siano sintomatici di una non irrilevante capacità a delinquere e/o della verosimile contiguità con ambienti delinquenziali di elevato livello.