Concorso di persone nel reato: quando la presenza sul luogo del delitto è sintomatica della responsabilità (di Riccardo Radi)

La Cassazione sezione 5 con la sentenza numero 13201/2024 ha indicato i requisiti indispensabili per configurare il concorso di persone nel reato in caso di presenza sul luogo del delitto.

La Suprema Corte ha stabilito che in tema di concorso di persone nel reato, l’azione unica posta a carico di tutti i concorrenti ricorre solo se la condotta compiuta da ciascuno rientri, anche in senso lato, nell’attuazione dell’impresa concordata, sicché la sola presenza sul luogo del delitto può costituire concorso solo qualora il correo abbia la coscienza e la volontà dell’evento da altri cagionato e, in qualsiasi modo, abbia partecipato all’azione o comunque facilitato l’esecuzione della stessa (conf.: n. 6229 del 1996, Rv. 173225-01).

Nel caso esaminato, il ricorso della difesa è fondato.

Il testo della motivazione risulta monco e la parte residua non consente di comprendere l’iter logico giuridico che ha condotto alla conferma della decisione di primo grado o, comunque, appare meramente illogica ed in contrasto con l’art. 110 cod. pen.

Fatto

L’odierna ricorrente già con la memoria depositata nel corso del giudizio di primo grado aveva dedotto che non vi era alcuna prova di un suo contributo materiale o morale alla commissione del delitto e che la deposizione di B.P., la guardia giurata che aveva fermato la V. ed il suo preteso complice, era inattendibile poiché lo stesso aveva asserito che i due avevano asportato le placche antitaccheggio con l’ausilio dei denti, mentre le foto depositate in atti dimostravano che i sistemi antitaccheggio erano privi di forzature

Il Tribunale, nella motivazione della sentenza di primo grado, ha dato atto che il P. ha affermato che la V. ed il suo complice si erano resi responsabili di più episodi in giorni diversi e che egli li aveva colti sul fatto mentre rompevano i dispositivi antitaccheggio di alcuni prodotti e li aveva fermati dopo la barriera delle casse.

Il Tribunale, tuttavia, valorizzando la deposizione di M.G., appartenente alla polizia giudiziaria intervenuta sul posto, che aveva affermato che il P., nell’immediatezza del fatto, non aveva saputo riferire se le tre paia di scarpe fossero dotate di placche antitaccheggio, ha escluso la contestata aggravante della violenza sulle cose; ha invece ritenuto sussistente la responsabilità di entrambi gli imputati, fermati dopo la barriera delle casse.

Il Tribunale afferma che quanto i testi riferiscono di una condotta finalizzata alla rimozione delle placche antitaccheggio, essi si riferiscono ad episodi analoghi avvenuti nei giorni precedenti a quello del tentato furto ascritto all’imputata.

Quest’ultima, con l’atto di appello, ha sostenuto che non sarebbe provata la sua partecipazione al tentativo di furto e che le immagini estratte dall’impianto di videosorveglianza dalle quali emergeva un suo contributo sarebbero relative ad episodi diversi da quello a lei contestato.

La Corte di merito ha affermato che la imputata è stata sorpresa in compagnia del suo complice in prossimità della cassa con lo zaino ove erano occultate le tre paia di scarpe e che i testi ascoltati hanno riferito che i due imputati si muovevano insieme e che entrambi vennero ripresi mentre erano intenti ad «agire» presso scaffali diversi di merce.

Decisione

Nella motivazione viene iniziata, ma non completata, una proposizione che riguarda la rimozione delle placche antitaccheggio.

Dalla motivazione della sentenza di secondo grado non è possibile comprendere quale sia stato il contributo della odierna ricorrente al tentato furto.

Non si chiarisce se la stessa indossasse lo zaino nel quale erano state riposte le scarpe e neppure si chiarisce con quale altra condotta avrebbe agevolato o istigato il suo complice.

Si dice solo che i due si muovevano insieme all’interno dell’esercizio commerciale ed «agivano» insieme, senza specificare quale sia stata la condotta dell’uno e quella dell’altra.

Né su tale punto fornisce maggiori chiarimenti la sentenza di primo grado.

In tema di concorso di persone, la distinzione tra connivenza non punibile e concorso nel reato commesso da altro soggetto va individuata nel fatto che la prima postula che l’agente mantenga un comportamento meramente passivo, inidoneo ad apportare alcun contributo alla realizzazione del reato, mentre il secondo richiede un contributo partecipativo positivo – morale o materiale – all’altrui condotta criminosa, che si realizza anche solo assicurando all’altro concorrente Io stimolo all’azione criminosa o un maggiore senso di sicurezza, rendendo in tal modo palese una chiara adesione alla condotta delittuosa (Sez. 5, n. 2805 del 22/03/2013, dep. 2014, Rv. 258953).

In tema di concorso di persone nel reato, si può parlare di azione unica posta a carico di tutti i concorrenti solo se l’azione compiuta da ciascuno rientri anche in senso lato nell’attuazione dell’impresa concordata.

Ne consegue che la sola presenza sul luogo del delitto può costituire concorso allorché l’agente correo abbia la coscienza e la volontà dell’evento cagionato da altro o altri coimputati ed abbia in qualche modo partecipato all’azione o comunque facilitato l’esecuzione della stessa (Sez. 1, n. 6229 del 05/05/1986, Rv. 173225).

La motivazione della sentenza impugnata, non chiarendo tali aspetti, non fornisce risposta al motivo di appello, cosicché la motivazione risulta meramente apparente.

Concludendo, la sentenza impugnata deve essere annullata con rinvio per nuovo esame alla Corte di appello di Perugia.