Anche la mera connivenza passiva nel reato altrui integra la colpa grave ostativa alla riparazione per ingiusta detenzione (di Vincenzo Giglio)

Cassazione penale, Sez. 4^, sentenza n. 16402/2024, udienza del 9 aprile 2024, aderisce alla giurisprudenza del tutto consolidata secondo la quale la frequentazione ambigua, da parte del ricorrente, di soggetti coinvolti in traffici illeciti si presta oggettivamente ad essere interpretata come indizio di complicità e può, dunque, integrare la colpa grave ostativa al diritto alla riparazione a condizione che emerga, quanto meno, una concausalità rispetto all’adozione, nei suoi confronti, del provvedimento applicativo della custodia cautelare e purché il giudice della riparazione fornisca adeguata motivazione della loro oggettiva idoneità ad essere interpretate come indizi di complicità, in rapporto al tipo e alla qualità dei collegamenti con tali persone, così da essere poste quanto meno nella detta relazione concausale (Sez. 4, 18/12/2014 n.8914/2015; Rv. 262436; Sez. 4, 21/11/2018, n.53361, Rv. 274498; Sez. 4, 28/9/2021, n.850/2022, RV. 282565).

In diretta conseguenza dei predetti principi deve altresì essere ricordato che – per giurisprudenza assolutamente consolidata – anche l’atteggiamento di mera connivenza (e pure se a questa sia conferita una connotazione meramente passiva) è idoneo a escludere – in quanto comunque qualificabile come gravemente colposo – che sussista un diritto al riconoscimento dell’indennizzo quando, con presupposti tra loro non cumulativi ma alternativi, il comportamento: 1) sia indice del venir meno di elementari doveri di solidarietà sociale per impedire il verificarsi di gravi danni alle persone o alle cose; 2) si concretizzi non già in un mero comportamento passivo dell’agente riguardo alla consumazione del reato ma nel tollerare che tale reato sia consumato, sempre che l’agente sia in grado di impedire la consumazione o la prosecuzione dell’attività criminosa in ragione della sua posizione di garanzia; 3) risulti aver oggettivamente rafforzato la volontà criminosa dell’agente, benché il connivente non intendesse perseguire tale effetto e vi sia la prova positiva che egli fosse a conoscenza dell’attività criminosa dell’agente (Sez. 4, sentenza n. 15745 del 19/02/2015, Rv. 263139; Sez. 3, n. 22060 del 23/01/2019, Rv. 275970 – 02; Sez. 4, n. 4113 del 13/01/2021, Rv. 280391).

Si evidenzia da ultimo, per una migliore comprensione dei riferimenti della sentenza, che la ricorrente ha subito quattro giorni di custodia cautelare carceraria e altri cinque mesi e tre giorni di arresti domiciliari in quanto indagata per concorso nel delitto previsto dagli art. 73, commi 1 e 4, e 80 DPR n. 309/1990 e poi assolta con decisione passata in giudicato per non aver commesso il fatto.