La Cassazione sezione 5 con la sentenza numero 18807 depositata il 13 maggio 2024 ha ribadito che in tema di condanna al pagamento delle spese processuali in favore della parte civile, nel caso in cui il giudizio in grado di appello si sia svolto con contraddittorio reale e non cartolare, è necessario che la parte richiedente abbia partecipato effettivamente all’udienza di discussione ovvero abbia esercitato in concreto le facoltà difensive previste dal codice, non essendo sufficiente per far maturare il diritto alla liquidazione la mera presentazione di conclusioni scritte fuori udienza.
La Suprema Corte riafferma che l’esercizio dell’azione civile nel processo penale realizza un rapporto processuale avente per oggetto una domanda privatistica, con la conseguenza che il regime delle spese va regolato secondo il criterio della soccombenza di cui all’art. 91 c.p.c., in base al quale l’onere delle spese va valutato, nell’ipotesi di alterne vicende nei diversi gradi del giudizio, con riferimento all’esito finale, nulla rilevando che una parte, risultata infine soccombente, sia stata vittoriosa in qualche fase o grado. (Sez. 5, n. 15806 del 19/03/2019, Rv. 276627 – 01).
Quanto al diritto della parte civile alla liquidazione delle spese “nel grado” la cassazione ritiene che lo stesso venga generato dalla “effettiva” partecipazione allo svolgimento della fase, in coerenza con le regole processuali che la governano; e che, dunque, lo stesso, in grado di appello, maturi solo se la parte civile partecipa all’udienza di discussione prevista dall’art. 523 c.p.p..; non si ritiene cioè estensibile al grado di appello la ratio decidendi espressa dalla giurisprudenza che – limitatamente al giudizio di Cassazione – ritiene liquidabili le spese anche se la parte civile non partecipa all’udienza di discussione, ma presenta solo conclusioni scritte.
Tale giurisprudenza, peraltro non univoca, fonda la sussistenza del diritto alla liquidazione sulla natura facoltativa della partecipazione delle parti “private” all’udienza pubblica prevista, in Cassazione, dall’art. 614 c.p.p.: partecipazione espressamente facoltativa, che distingue l’ultimo grado di giudizio da quello di appello, disciplinato dall’art. 523 c.p.p., che prevede la partecipazione obbligatoria delle parti “necessarie” all’udienza pubblica di discussione (tra le altre Sez. 2, n. 12784 del 23/01/2020, Rv. 278834; contra tra le altre Sez. 6, n. 28615 del 28/04/2022, Rv. 283608).
Va chiarito che la parte civile è “eventuale”, e “non necessaria”, sicché può scegliere di non partecipare all’udienza di discussione, non solo in Cassazione, dove tale facoltà è espressamente prevista dall’art. 614 c.p.p., ma anche in appello, senza che questo implichi la revoca della costituzione.
È incontestato, infatti, che la mancata partecipazione al giudizio di appello della parte civile, per il principio dell’immanenza della costituzione, non può essere interpretata come revoca tacita o presunta di questa (Sez. 2, Sentenza n. 24063 del 20/05/2008, Rv. 240616 – 01).
Va detto, peraltro, che anche con riguardo al giudizio di primo grado – l’assenza della parte civile all’udienza di discussione, se le conclusioni siano state in precedenza formulate in forma scritta, non determina revoca implicita della costituzione (Sez. 4, n. 3746 del 21/01/2020, Rv. 278285).
Escluso che la mancata partecipazione all’udienza di discussione in appello determini la revoca della costituzione di parte civile, deve essere valutato se la presentazione nel grado di appello di conclusioni scritte “fuori udienza“, ove il processo si svolga con le forme ordinarie (ovvero non cartolari), generi il diritto alla liquidazione delle spese.
L’art. 153 disp. att. c.p.p. prevede che “agli effetti dell’art. 541, comma 1, le spese sono liquidate dal giudice sulla base della nota che la parte civile presenta “al più tardi” insieme alle conclusioni”: il tenore letterale della norma si presta a legittimare la richiesta delle spese anche “prima dell’udienza” di discussione, ovvero a prescindere dalla partecipazione alla stessa.
Tuttavia – ed è questo il punto decisivo – la liquidazione delle spese prevede che sia stata svolta una attività processuale “effettiva” e coerente con le regole processuali che governano la fase: pertanto il fatto che la parte civile sia “eventuale”, ovvero non necessaria per la perfezione dell’udienza di discussione in appello, non è sufficiente per ritenere che la stessa maturi il diritto alla liquidazione delle spese, se non partecipa all’udienza pubblica di discussione e dunque non si avvale delle prerogative difensive previste dal codice per la fase di appello.
Il giudizio di appello prevede infatti, a differenza del giudizio di cassazione, che la discussione si svolga con la presenza obbligatoria dell’accusato, che vanta un interesse processuale antagonista rispetto a quello della parte civile: sicche’ deve ritenersi che l’esercizio “effettivo” della difesa, capace di generare il diritto alla rifusione delle spese, non possa prescindere dalla partecipazione all’udienza di discussione, dove la parte civile non solo ha la facoltà di “concludere”, ma anche di “replicare”, dopo avere ascoltato le conclusioni delle altre parti (secondo quanto prevede l’art. 523 c.p.p.).
Si ribadisce dunque che in grado di appello, quando lo stesso si sviluppi attraverso il contraddittorio reale e non cartolare, il diritto alla liquidazione delle spese della parte civile è generato solo dalla partecipazione all’udienza di discussione, ovvero dal concreto esercizio delle facoltà e prerogative difensive previste dal codice.
Nel caso in esame la parte civile presentava conclusioni scritte “fuori udienza”, non partecipando alla discussione, nonostante il processo si fosse svolto con le forme ordinarie: deve dunque ritenersi che la stessa non avesse diritto alla rifusione delle spese del grado.
La sentenza impugnata deve dunque essere annullata senza rinvio limitatamente al pagamento delle spese sostenute dalle parti civili nel grado di appello.
Ricordiamo il precedente della Cassazione sezione 2 sentenza numero 22937/2023.
