Offese rivolte tramite piattaforme social: il discrimine tra ingiurie e diffamazione (di Vincenzo Giglio)

Cassazione penale, Sez. 5^, sentenza n. 44662/2021, udienza del 26 ottobre 2021, ha offerto utili chiarimenti sul discrimine tra ingiurie e diffamazione nel caso in cui taluno indirizzi offese tramite piattaforme social.

Vicenda giudiziaria

IP è stato ritenuto responsabile in entrambi i gradi di merito del reato di diffamazione in danno di NM.

La condotta — secondo le sentenze di merito — è consistita nel pubblicare, su una chat intrattenuta con l’esponente politico NM e con altri sulla bacheca Facebook del [segue denominazione del movimento politico titolare della bacheca], dei commenti su NM del seguente tenore: «N. sei un vero pezzo di merda, un pezzo di merda come pochi … questo per farvi capire di che pezzo di merda stiamo parlando…da qui il mio definirti pezzo di merda».

Il difensore di IP ha ricorso per cassazione muovendo plurime censure.

Decisione della Corte di cassazione

La sentenza di questa sezione n. 13252 del 04/03/2021, Viviano, Rv. 280814, che, nell’interrogarsi sulla natura ingiuriosa o diffamatoria dell’invio di e-mail a più destinatari tra cui anche l’offeso, ha operato una schematizzazione delle situazioni concrete in rapporto ai vari strumenti di comunicazione che possono dare luogo ora all’addebito ex art. 594 cod. pen., ora a quello ex art. 595 cod. pen. Sostiene il precedente evocato che:

– l’offesa diretta a una persona presente costituisce sempre ingiuria, anche se sono presenti altre persone; l’offesa diretta a una persona “distante” costituisce ingiuria solo quando la – comunicazione offensiva avviene, esclusivamente, tra autore e destinatario;

– se la comunicazione “a distanza” è indirizzata ad altre persone oltre all’offeso, si configura il reato di diffamazione;

– l’offesa riguardante un assente comunicata ad almeno due persone (presenti o distanti), integra sempre la diffamazione.

La decisione in discorso ha, poi, approfondito il concetto di “presenza” rispetto ai moderni sistemi di comunicazione, ritenendo che, accanto alla presenza fisica, in unità di tempo e di luogo, di offeso, autore del fatto e spettatori, vi siano, poi, situazioni ad essa sostanzialmente equiparabili, realizzate con l’ausilio dei moderni sistemi tecnologici (call conference, audio conferenza o videoconferenza). Argomenta, ancora, la sentenza Viviano, che «I numerosi applicativi attualmente in uso per la comunicazione tra persone fisicamente distanti non modificano, nella sostanza, la linea di discrimine tra le due figure come sopra tracciata, dovendo porsi solo una particolare attenzione alle caratteristiche specifiche del programma e alle funzioni utilizzate nel caso concreto. Molti programmi mettono a disposizione degli utenti una gamma di servizi: messaggistica istantanea (scritta o vocale), videochiamata, chiamate cd. “VolP” (conversazione telefonica effettuate sfruttando la connessione internet). Sono state sviluppate diverse piattaforme per convocare riunioni a distanza tra un numero, anche rilevante, di persone presenti virtualmente. Le medesime piattaforme permettono di scrivere, durante la riunione, messaggi diretti a tutti í partecipanti, ovvero a uno o ad alcuni di essi. Per tale ragione il mero riferimento a una definizione generica (chat, cali) o alla denominazione commerciale del programma è, di per sé, privo di significato e foriero di equivoci, laddove non accompagnato dalla indicazione delle caratteristiche precise dello strumento di comunicazione impiegato nel caso specifico».

Prosegue, quindi, la Corte osservando che, per distinguere tra i reati di cui agli artt. 594 e 595 cod. pen., resta fermo il criterio discretivo della “presenza”, anche se “virtuale”, dell’offeso.

Occorrerà, dunque, valutare caso per caso.

Se l’offesa viene profferita nel corso di una riunione “a distanza” (o “da remoto”), tra più persone contestualmente collegate, alla quale partecipa anche l’offeso, ricorrerà l’ipotesi della ingiuria commessa alla presenza di più persone (fatto depenalizzato) (come deciso da Sez. 5, n. 10905 del 25/02/2020, Rv. 278742).

Di contro, laddove vengano in rilievo comunicazioni (scritte o vocali), indirizzate all’offeso e ad altre persone non contestualmente “presenti” (in accezione estesa alla presenza “virtuale” o “da remoto”), ricorreranno i presupposti della diffamazione, come la giurisprudenza di legittimità ha più volte affermato quanto, per esempio, all’invio di e-mail (oltre alla sentenza Viviano, cfr. Sez. 5, n. 29221 del 06/04/2011, Rv. 250459; Sez. 5, n. 44980 del 16/10/2012, Rv. 254044; Sez. 5 n. 12603 del 02/02/2017, non massimata sul punto; Sez. 5, n. 34484 del 06/07/2018, non massimata; Sez. 5., n. 311 del 20/09/2017, dep. 2018, non massimata; Sez. 5, n. 14852 del 06/03/2017, non massimata). Ebbene, è questa la griglia argomentativa che manca nella sentenza impugnata e nella quale dovrà muoversi il giudice di rinvio, – – sia stabilendo in concreto quale fosse il funzionamento della chat di Facebook (se, cioè, consentisse solo comunicazioni in tempo reale ovvero anche il deposito di messaggi nella casella del partecipante, suscettibili di essere letti se e quando questi si fosse collegato); sia dando conto, in concreto, se il dialogo a distanza tra imputato e persona offesa si sia svolto in tempo reale (accertamento possibile sulla scorta degli orari dei messaggi) e se, quindi, può dirsi che, nell’occasione dello scambio delle proposizioni “incriminate”, NM fosse virtualmente presente.

Alla luce di queste riflessioni, quindi, la Corte territoriale dovrà procedere alla riconduzione del fatto all’ipotesi di ingiuria o a quella di diffamazione.