Le iniziative investigative a seguito di informazioni ricevute da fonte confidenziale (di Riccardo Radi)

Quando una fonte anonima o confidenziale “stimola” l’attività di indagine che poi entrerà a pieno diritto nel processo.

La Cassazione sezione 2 con la sentenza numero 17637/2024 ha ricordato che la polizia giudiziaria è legittimata a compiere, sulla base di notizie confidenzialmente apprese, perquisizioni di iniziativa nel caso di sospetto di illecita detenzione di armi, in forza del disposto dell’art. 41 del r.d. 18 giugno 1931, n. 773 (Sez. 1, n. 38605 del 15/07/2021, Rv. 282070) come pure in materia di stupefacenti ex art 103 del d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, non riferendosi il divieto di utilizzazione delle denunce anonime di cui all’art. 333, comma 3, cod. proc. pen., alle iniziative investigative della polizia giudiziaria volte all’acquisizione della notizia di reato (Sez. 4, n. 2849 del 05/11/2019, dep. 2020, Rv. 278030).

Si tratta di approdi ermeneutici che, pur giustificati dalla specifica natura delle norme richiamate, appaiono coerenti con il dictum di Sez. U, n. 25932 del 29/05/2008, Ivanov, Rv. 239695 alla cui stregua una denuncia anonima, pur essendo di per sé inutilizzabile ai fini processuali, è tuttavia idonea a stimolare l’attività del pubblico ministero o della polizia giudiziaria al fine dell’assunzione di dati conoscitivi atti a verificare se da essa possano ricavarsi indicazioni utili per l’enucleazione di una “notitia criminis” suscettibile di essere approfondita con gli ordinari strumenti legali (in termini, Sez. 2, n. 46536 del 6/10/2022, non mass.; Sez. U, n. 25933 del 29/05/2008, Malgioglio, non massimata sul punto).

Né, sul tema, risulta pertinente l’orientamento di legittimità citato dal ricorrente (Sez. 3, n. 649 del 9/10/2020, dep. 2021), il quale non esclude affatto il rilievo probatorio di quanto l’ufficiale di p.g. abbia constatato a seguito dell’attività di indagine svolta in conseguenza della fonte confidenziale, ma ne circoscrive correttamente l’ambito alla fase investigativa, escludendone l’ingresso come prova dei fatti del narrato della fonte nell’ambito del giudizio.

Quanto, poi, all’esito della perquisizione, costituito dal sequestro del corpo del reato (sulla persona dell’imputato fu rinvenuta la fede nunziale in oro giallo di provenienza delittuosa), va precisato che l’atto di p.g. non fu la diretta derivazione di quanto appreso dalla fonte confidenziale, bensì la conseguenza dell’attività di indagine svolta – anche de visu – dalla p.g., che arricchì la platea informativa inizialmente appresa, ricavandosi dalla lettura delle sentenze di merito che l’imputato alla vista degli agenti – che in quel luogo si portarono al fine di verificare se era in corso un’illecita attività di vendita di beni di provenienza furtiva – si nascose dietro alcune macchine nel tentativo di sfuggire ai controlli e che l’oggetto di valore era occultato all’interno del portafoglio, notato a causa di un sospetto rigonfiamento nella parte posteriore dei pantaloni ove era stato riposto unitamente ad altro oggetto prezioso. Peraltro, la giurisprudenza di legittimità ha affermato che l’eventuale illegittimità dell’atto di perquisizione compiuto ad opera della polizia giudiziaria non comporta effetti invalidanti sul successivo sequestro del corpo del reato o delle cose pertinenti al reato, che costituisce un atto dovuto a norma dell’art. 253, comma 1, cod. proc. pen. Sez. 7, ord. n. 15323 del 4/03/2022, non mass.; Sez. 3, n. 19365 del 17/02/2016, Rv. 266580 – 01; ex multis Sez. 3, ordinanza n. 3879 del 14/11/1997 dep. 1998.