Dovere di informazione per gli esercenti attività professionali e conseguenze penali per il suo inadempimento (di Vincenzo Giglio)

Cassazione penale, Sez. 3^, sentenza n. 51296/2023, udienza del 21 novembre 2023, ha ricordato, in adesione al costante orientamento di legittimità, che il “dovere di informazione”, attraverso l’espletamento di qualsiasi utile accertamento per conseguire la conoscenza della legislazione vigente in materia, è particolarmente rigoroso per coloro che svolgono professionalmente una determinata attività, i quali dunque rispondono dell’illecito anche in virtù di una “culpa levis” nello svolgimento dell’indagine giuridica.

Per l’affermazione della scusabilità dell’ignoranza occorre, infatti, che da un comportamento positivo degli organi amministrativi o da un complessivo pacifico orientamento giurisprudenziale, l’agente abbia tratto il convincimento della correttezza dell’interpretazione normativa e, conseguentemente, della liceità del comportamento tenuto (per tutte: S.U., n. 854 del 10/06/1994 – dep. 18/07/1994, P.G. in proc. Calzetta, Rv.197885).

Conseguentemente, grava su chi intende svolgere un’attività commerciale l’obbligo di acquisire preventivamente conoscenza della normativa applicabile in quel settore, sicché, qualora deduca la propria buona fede, non può limitarsi ad affermare l’incertezza derivante da contrastanti orientamenti giurisprudenziali nell’interpretazione e nell’applicazione della norma, la quale non abilita da sola ad invocare la condizione soggettiva d’ignoranza evitabile della legge penale. Piuttosto, il dubbio sulla liceità o meno della condotta deve indurre il soggetto ad un atteggiamento più attento fino cioè, secondo quanto affermato dalla sent. n. 364 del 1988 della Corte costituzionale, all’astensione dall’azione se, nonostante tutte le informazioni assunte, permanga incertezza sulla liceità o meno dell’azione stessa, dato che il dubbio, non essendo equiparabile allo stato d’inevitabile ed invincibile ignoranza, è inidoneo ad escludere la consapevolezza dell’illiceità (Sez. 2, n. 46669 del 13/11/11, Rv.252197).

Nella specie, va ribadito che la giurisprudenza di legittimità è ferma nel ritenere che, in caso di attività di intermediazione e raccolta diretta delle scommesse per conto di un allibratore straniero, la necessità di titolo autorizzativo va individuata direttamente in capo all’operatore italiano. Non si verte, quindi, in una situazione di ignoranza inevitabile anche perché, quand’anche fosse rimasto in capo al ricorrente qualche dubbio in ordine ai titoli necessari per lo svolgimento della propria attività, gravava comunque sullo stesso, in veste di soggetto che svolge professionalmente un’attività commerciale, l’obbligo rigoroso di informazione.