Tre quarti di secolo fa, era il 9 maggio 1950, Robert Schuman, ministro degli Esteri francese, rilasciò, con la preziosa collaborazione di Jean Monnet, una dichiarazione che da lui prese il nome.
Propose la messa in comune della produzione di carbone e acciaio tra i Paesi dell’Europa occidentale così che diventassero tra loro impossibili conflitti bellici come quelli che avevano squassato il nostro continente nella prima metà del XX secolo.
Nacque così la Comunità europea del carbone e dell’acciaio (CECA), di cui furono fondatori Francia, Germania occidentale, Italia, Paesi Bassi, Belgio e Lussemburgo, che costituì il primo nucleo di quella che oggi chiamiamo Unione europea.
Schuman era ben consapevole delle difficoltà che il percorso di integrazione appena iniziato avrebbe incontrato e degli ostacoli che sarebbero stati frapposti in nome delle sovranità nazionali e degli interessi particolari dei Paesi parte dell’accordo e degli altri che si sarebbero aggiunti più tardi.
Non se ne fece frenare, tuttavia: era fresco in lui, come nei suoi contemporanei, il ricordo degli orrori delle Seconda guerra mondiale e gli era chiaro che il miglior antidoto era mettere a tacere le ragioni storiche dei dissidi tra Stati e unire, un passo dopo l’altro, popoli in passato divisi.
Questa fu dunque l’idea da cui germinò l’Unione europea: prima la fusione di interessi economici e poi la creazione di un organismo unitario che permettesse a francesi, tedeschi, italiani, belgi, olandesi e lussemburghesi e agli altri che sarebbero arrivati di sentirsi anche cittadini europei.
L’unione come acquisizione di una nuova e sentita identità e come impulso ad una pace duratura.
A distanza di 35 anni dalla dichiarazione Schuman, i Capi di Stato e di governo della Comunità europea scelsero la data del 9 maggio come Giornata dell’Europa.
Molti decenni sono passati e i fermenti ideali e gli obiettivi concreti del tempo di Schuman sembrano aver perso buona parte del loro significato e della loro capacità di presa sui cittadini europei.
Molti di essi guardano alle istituzioni eurounitarie non come una casa comune ma come luoghi dove imperano tecnocrati la cui principale funzione è regolamentare in modo esasperato e incomprensibile le loro vite e uniformarle in modo così soffocante da fare svanire le identità nazionali.
Gli interessi dei singoli Stati prevalgono nettamente su quelli comuni europei e prosperano le formazioni politiche che propongono programmi all’insegna del sovranismo e del nazionalismo.
Sembrano relegate in un angolo le solenni dichiarazioni del Preambolo alla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea:
“I popoli d’Europa, nel creare tra loro un’unione sempre più stretta, hanno deciso di condividere un futuro di pace fondato su valori comuni.
Consapevole del suo patrimonio spirituale e morale, l’Unione si fonda sui valori indivisibili e universali della dignità umana, della libertà, dell’uguaglianza e della solidarietà; essa si basa sul principio della democrazia e sul principio dello Stato di diritto. Pone la persona al centro della sua azione istituendo la cittadinanza dell’Unione e creando uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia.“.
L’umanesimo è dunque inteso come parte integrante dell’Occidente europeo e del suo patrimonio spirituale ma la sua declinazione concreta tende sempre più a differenziarsi secondo sensibilità nazionali e si arriva a predicare nuove forme di democrazia non più connesse allo Stato di diritto.
Eppure, c’è ancora bisogno d’Europa.
Nessuna delle sfide epocali del nostro tempo può essere vinta dai singoli Stati: così per le conseguenze della globalizzazione dei mercati, per la gestione degli imponenti movimenti migratori di esseri umani che provano a sfuggire alle impossibili condizioni di vita dei Paesi d’origine, per fronteggiare i cambiamenti climatici, per prendere il meglio della rivoluzione già in atto conseguente all’immissione di intelligenza artificiale nelle nostre vite ed evitare i connessi rischi, per adottare politiche comuni rispetto ai focolai di guerra in territorio europeo e così via.
Chi si occupa di diritto è poi ben consapevole dell’importanza speciale che le fonti europee hanno nel nostro ordinamento, sia conformandolo precettivamente sia orientandone l’applicazione concreta attraverso consolidati indirizzi giurisprudenziali.
Viviamo dunque in un tempo di mezzo: l’Europa è ormai entrata in profondità nelle nostre vite ma fatichiamo ad accettarla come una compagna di viaggio.
Oggi però è la sua festa e almeno per questo giorno dovremmo provare a pensare cosa sarebbe di noi se questa compagna ci abbandonasse al nostro destino.
