Sentenza in abbreviato impugnata dal PM: la riduzione di 1/6 della pena, prevista dall’art. 442 comma 2-bis c.p.p., si applica anche in caso di appello incidentale? (di Riccardo Radi)

Il quesito viene posto da un collega alle prese con il dilemma se presentare appello incidentale sulla impugnazione del PM di una sentenza di condanna a seguito di un giudizio abbreviato.

L’impugnazione della pubblica accusa verte sulla modifica del titolo di reato operata dal giudicante in sentenza.

Il procedimento vedeva una contestazione di articolo 74, comma 1, Dpr 309/90, derubricato in comma 6.

Quindi l’impugnazione del PM è ammissibile perché viene prevista dall’art. 443 comma 3 c.p.p. che indica che: “il pubblico ministero non può proporre appello contro le sentenza di condanna salvo che si tratti di sentenza che modifica il titolo del reato”.

In questo caso la difesa nel presentare l’appello incidentale potrebbe decadere dalla riduzione della pena prevista dall’articolo 442 comma 2 bis che ha previsto: “Quando né l’imputato, né il suo difensore hanno proposto impugnazione contro la sentenza di condanna, la pena inflitta è ulteriormente ridotta di un sesto dal giudice dell’esecuzione

La presentazione ex art. 595 cpp dell’appello incidentale per contrastare la richiesta di modifica del titolo di reato precluderebbe la possibilità di avere la riduzione della pena prevista dall’art. 442 comma 2 bis cpp?

Soffermiamoci sulla natura dell’appello incidentale.

L’art. 595, co. 1, c.p.p., riserva alla sola parte non impugnante la possibilità di proporre appello incidentale.

Invero, recita la disposizione: “L’imputato che non ha proposto impugnazione può proporre appello incidentale entro quindici giorni da quello in cui ha ricevuto la notificazione prevista dall’art. 584 cpp.

Al comma 4: “L’appello incidentale perde efficacia in caso di inammissibilità dell’appello principale o rinuncia allo stesso

Quindi si desume che l’appello incidentale è una facoltà sollecitata dall’iniziativa di controparte ed è indissolubilmente legata all’esito dell’impugnazione principale.

L’appello incidentale svolge la funzione di contrastare la pretesa principale avanzata dalla parte impugnante nei confronti del titolare della relativa facoltà processuale.

L’appello incidentale costituisce un tipo speciale di appello soggetto ad autonoma disciplina e non può, pertanto, assumere funzioni e scopi diversi da quelli tipici assegnatigli dalla legge.

Si è sottolineato, (Cassazione sezione 5 sentenza 2478/2020) che, se è vero – come emerge dalla stessa Relazione al progetto preliminare del codice di rito del 1988 (pag. 130) – che il legislatore, con la reintroduzione dell’appello incidentale disciplinato nell’art. 595 c.p.p., non ha risolto tutti i problemi dibattuti in dottrina e giurisprudenza sotto il vigore del precedente codice di rito, prima che la Corte costituzionale dichiarasse l’illegittimità dell’appello incidentale disciplinato dall’art. 515 c.p.p. del 1930, comma 4, come strumento di deterrenza del pubblico ministero contro gli appelli pretestuosi o puramente dilatori della formazione del giudicato (Corte cost. sent. n. 177 del 1971), è altrettanto certo che non si è mai dubitato che l’appello incidentale costituisca un’impugnazione antagonista rispetto a quella della parte processualmente avversa (cfr. Cass. Sez. 1, n. 978 del 08/11/2011, dep. 2012, Rv. 251676).

L’istituto è stato, dunque, reintrodotto dal codice di rito sia per consentire al pubblico ministero di ottenere la reformatio in peius della posizione dell’appellante, sia per favorire la parte che, pur avendo fatto acquiescenza alla sentenza, facendo scadere il termine per impugnare, intende reagire al rischio di peggioramento della propria posizione, ossia alla reformatio in peius, determinato dall’intervenuta altrui impugnazione della sentenza nei suoi confronti (Sez. 6, n. 14818 del 11/12/2013 – dep. 31/03/2014, Rv. 259443).

Si tratta, dunque, di uno strumento a disposizione del PM  o della parte civile per reagire all’impugnazione dell’imputato ovvero a disposizione dell’imputato che, pur avendo ritenuto di non agire contro la sentenza con un suo autonomo atto d’impugnazione, voglia reagire all’appello del Pubblico Ministero o della parte civile.

Va, dunque, ribadito che non è proponibile l’appello incidentale che non abbia valenza di contrapposizione all’appello principale.

Nè, al riguardo, può trovare applicazione la regola di cui all’art. 568, quinto comma cod. proc. pen., secondo la quale l’impugnazione è ammissibile indipendentemente dalla qualificazione datale dalla parte; e, invero, l’impugnazione erroneamente qualificatasi sottrae alla sanzione della inammissibilità se ed in quanto rivesta i requisiti prescritti per il tipo di impugnazione in concreto consentita: ne consegue che l’impugnazione principale, in sé inammissibile perché tardiva o per altra causa, non può assumere la veste di impugnazione incidentale della quale non abbia i requisiti prescritti.(Sez. 3, n. 8318 del 10/06/1994, Rv. 198776).

Ai fini dell’esame di tale profilo, qui rilevante, occorre prendere le mosse dall’orientamento della giurisprudenza prevalente della cassazione, come premesso, orientata nel senso che lo “scopo” dell’appello incidentale, per quanto sul punto taccia l’art.595 c.p.p. che lo disciplina, è individuabile in una funzione antagonista rispetto all’appello principale, (Sez. 5, n. 7340 del 21/01/2015, Rv. 262442), e la sua ratio nell’esigenza di realizzare un sostanziale contraddittorio delle parti sul thema decidendum devoluto al giudice della impugnazione principale.

Con la conseguenza che solo sui capi ed i punti della sentenza attaccati dall’appello principale deve realizzarsi un completo confronto paritario tra le parti processuali.

In relazione alla tradizionale regola “tantum devolutum quantum appellatur” il giudizio di appello, come ogni altro giudizio di impugnazione, trae, infatti, origine dall’impulso e dalla disponibilità di parte, connessi alle questioni che si intendono devolvere al giudice superiore.

Tale regola, consistente nella preclusione processuale di cui all’art.597 comma 1 c.p.p. per i punti della sentenza non impugnati, definisce l’area attaccata dalla impugnazione e il perimetro del potere di cognizione del giudice di appello: “la norma contiene le linee portanti dei poteri cognitivi e decisori del giudice di secondo grado” (Sez. U, 27.9.2005, William Morales), e, conseguentemente, si è affermato che l’appello incidentale può essere proposto soltanto in relazione ai punti della decisione oggetto dell’appello principale nonché a quelli che hanno connessione essenziale con essi. (Sez. U, 17.10.2006, n.10251, Michaeler, Rv. 235699).

In conclusione, l’appello incidentale della difesa è indicato con una funzione “antagonista” rispetto all’iniziativa del PM.

Questa particolare caratterizzazione come può essere declinata in relazione alla  ratio dell’intervento riformatore (Cartabia) che si profila individuabile nel perseguimento dello scopo di ridurre la durata del procedimento penale, favorendo la definizione della causa dopo l’emissione della sentenza di primo grado, così da evitare l’ingresso del procedimento stesso nella fase delle impugnazioni, quali che l’ordinamento in concreto consenta nel singolo caso, allorquando – trattandosi di sentenza di condanna, emessa all’esito di giudizio assoggettato al rito abbreviato – l’imputato e il difensore valutino come non sorretta da un apprezzabile interesse la prospettiva di sottoporre a nuova verifica la decisione emessa dal primo giudice e considerino, proprio in virtù della nuova opportunità offerta dalla norma, più conveniente rinunciarvi al fine di assicurare all’imputato stesso la riduzione – ulteriore rispetto a quella determinata dalla scelta del rito – pari alla frazione di un sesto della pena irrogata.

La lettera della norma sembrerebbe indicare la radicale mancanza dell’impugnazione – e soltanto essa – che, determinando l’effetto deflattivo perseguito, integra il presupposto necessario per fruire della riduzione ulteriore della pena contemplata dal comma 2-bis dell’articolo 442-bis c.p.p.

Conferma tale approdo la scelta che la norma ha operato per individuare il giudice competente a sancire la riduzione e, conseguentemente, il procedimento occorrente per la relativa determinazione: a provvedere deve essere il giudice dell’esecuzione; e ciò esige l’instaurazione del procedimento esecutivo, secondo le forme proprie che, in questa sede, non è necessario approfondire.

Certo è che, avendo previsto l’esclusiva competenza del giudice dell’esecuzione per l’applicazione della riduzione, la norma corrobora l’approdo ermeneutico secondo cui soltanto la mancanza dell’impugnazione avverso la sentenza di primo grado integra la condizione legittimante la riduzione stessa.

Se il legislatore avesse inteso applicare questa riduzione premiale alla diversa fattispecie della rinuncia all’impugnazione già proposta, non avrebbe incontrato ostacolo ad individuare il giudice competente per l’applicazione di essa nello stesso giudice della cognizione che vi avrebbe provveduto nel medesimo contesto provvedimentale dichiarativo dell’inammissibilità sopravvenuta dell’impugnazione.

In tale ottica la Cassazione sezione 1 con la sentenza numero 51180/2023 ha stabilito che la riduzione di 1/6 della pena consegue solo alla mancata impugnazione e non anche alla rinuncia di quella già presentata definitiva, alla mancata impugnazione non può equipararsi la rinuncia all’impugnazione già proposta, poiché essa – non determinando l’effetto pienamente deflattivo perseguito dal riformatore – non è stata ritenuta condizione adeguata ad assicurare all’imputato rinunciante il conseguimento del beneficio in esame.

Ma tutto ciò non sembra poter inficiare la possibilità di ottenere la riduzione della pena da parte di chi non ha “proposto impugnazione contro la sentenza di condanna” ma si limita a contrastare l’iniziativa del PM in ordine alla modifica del titolo di reato operato in sentenza di primo grado.

In via astratta l’appello incidentale è solo una reazione difensiva ad una iniziativa subita e non voluta e non produce direttamente “un aggravio dell’appello” che c’è stato solo ed esclusivamente per iniziativa del Pm.

In caso contrario ci sarebbe una disparità di trattamento con gli altri che non subiscono l’appello altrui e si potrebbe al limite sollevare questione di legittimità costituzionale dell’art. 442 comma 2-bis c.p.p. nella parte in cui non estende lo sconto anche a questa eventualità.

La questione non è stata ancora esaminata dalla giurisprudenza e attendiamo di essere smentiti.