Diffamazione tramite trasmissioni televisive e nozione di “telespettatore medio” (di Riccardo Radi)

La Cassazione sezione 5 con la sentenza numero 13017/2024 ha stabilito che il riferimento al “lettore medio” e alla sua capacità percettiva possa trovare applicazione anche con riferimento alle trasmissioni televisive ed ha indicato la figura del “telespettatore medio

La Suprema Corte ha indicato che in tema di diffamazione, il carattere offensivo delle notizie diffuse con il mezzo televisivo deve escludersi quando esse siano incapaci di ledere o mettere in pericolo l’altrui reputazione per la percezione che ne possa avere il “telespettatore medio“, ossia colui che non si fermi ad ascoltare solo il titolo del programma televisivo o una parte del discorso, per poi cambiare canale (“telespettatore frettoloso”), ma che, senza un particolare sforzo di attenzione, ascolti l’intervento nella sua interezza e valuti il contesto in cui esso si inserisce.

Fattispecie in cui la Cassazione ha escluso il carattere diffamatorio dell’intervento televisivo di un giornalista che, riferendosi al sindaco di una grande città, pur contestando l’opportunità di ricevere da un costruttore un cospicuo finanziamento in campagna elettorale, precisava che si era trattato di un finanziamento lecito, nell’ambito di una trasmissione televisiva in cui non si discuteva esclusivamente di corruzione, ma anche di etica e di opportunità politica delle condotte di vari amministratori locali.

La Suprema Corte ha sottolineato che non sussiste, invero, alcuna ragione per differenziare significativamente la posizione del giornalista che scrive l’articolo sul giornale da quello che partecipa a un programma televisivo di approfondimento.

Con riferimento alla diffamazione a mezzo stampa, ammette che il reato possa configurarsi anche quando il contesto della pubblicazione sia tale da determinare il mutamento del significato di una o più frasi altrimenti non diffamatorie (Sez. 5, n. 9839 del 26 marzo 1998, RV. 211527).

Nel valutare il possibile mutamento di significato, però, bisogna far riferimento al “lettore medio”, ossia a colui che non si fermi alla mera lettura del titolo e ad uno sguardo alle foto (lettore cd. “frettoloso”), ma esamini, senza particolare sforzo o arguzia, il testo dell’articolo e tutti gli altri elementi che concorrono a delineare il contesto della pubblicazione (Sez. 5, n. 10967 del 14/11/2019, Rv. 278790; Sez. 5, n. 503 del 13/10/2022, n.m.).

Il reato, dunque, può ritenersi integrato solo quando l’oggettivo significato non diffamatorio della frase, per il contesto nel quale viene inserita, possa sfuggire alla perspicacia e alla capacità del “lettore medio”.

L’esposto orientamento giurisprudenziale possa trovare applicazione anche con riferimento alle trasmissioni televisive, ancor più nei casi, come quello in esame, in cui si tratti di programmi di approfondimento, realizzati attraverso l’intervento di giornalisti.

Non sussiste, invero, alcuna ragione per differenziare significativamente la posizione del giornalista che scrive l’articolo sul giornale da quello che partecipa a un programma televisivo di approfondimento.

Come nel valutare il possibile “mutamento” di significato di frasi pubblicate sulla stampa bisogna far riferimento al “lettore medio”, così, nell’effettuare l’analoga valutazione con riferimento alle frasi che il giornalista pronuncia nel corso di un programma televisivo, bisogna far riferimento alla perspicacia e alla capacità del “telespettatore medio“.

Il Procuratore generale, nella sua requisitoria, ha sostenuto che andrebbe valutata diversamente la posizione del telespettatore, che, per le particolarità del mezzo di comunicazione, potrebbe essere indotto a cambiare velocemente il canale e ascoltare solo una parte della trasmissione.

Nel caso del telespettatore, pertanto, andrebbe escluso il riferimento a parametri medi.

Tale esclusione non appare giustificata.

Invero, come il telespettatore può cambiare velocemente il canale e ascoltare solo una parte della trasmissione, così il lettore può girare velocemente la pagina, limitandosi a leggere solo il titolo o il sottotitolo dell’articolo, senza approfondirne il testo.

E la diversa attenzione che si può prestare all’uno o all’altro mezzo di informazione potrebbe, al massimo, giustificare solo una diversa delineatura dei parametri medi di riferimento.

In realtà, le ragioni poste a fondamento dell’orientamento giurisprudenziale formatosi con riferimento alla diffamazione a mezzo stampa sussistono anche per la diffamazione realizzata attraverso il mezzo televisivo.