Cassazione penale, Sez. 4^, sentenza n. 13819/2024, udienza del 13 marzo 2024, ha ribadito che, ove al difensore sia stato ingiustificatamente impedito il diritto di accesso alle registrazioni poste a base della richiesta del PM, tanto non determina la nullità del genetico provvedimento impositivo, legittimamente fondato sugli atti a suo tempo prodotti dal PM a sostegno della sua richiesta, né comporta la inutilizzabilità degli esiti delle captazioni effettuate, perché questa scaturisce solo nelle ipotesi indicate dall’art. 271, comma 1, cod. proc. pen.; non comporta la perdita di efficacia della misura, giacché la revoca e la perdita di efficacia della misura cautelare conseguono solo nelle ipotesi espressamente previste dalla legge.
Com’è noto, la Corte costituzionale, con sentenza dell’8-10 ottobre 2008, n. 336, ha dichiarato la illegittimità costituzionale dell’art. 268 cod. proc. pen., nella parte in cui non prevede che, dopo la notificazione o l’esecuzione dell’ordinanza che dispone una misura cautelare personale, il difensore possa ottenere la trasposizione su nastro magnetico delle registrazioni di conversazioni o comunicazioni intercettate, utilizzate ai fini dell’adozione del provvedimento cautelare, anche se non depositate.
Il Giudice delle leggi ha ricordato che, alla stregua del diritto vivente, in tal senso essendo orientata la costante e uniforme giurisprudenza di legittimità, «in caso di incidente cautelare, se il PM presenta al GIP richiesta di misura restrittiva della libertà personale, può depositare, a supporto della richiesta stessa, solo i brogliacci e non le registrazioni delle comunicazioni intercettate»; e che «la trascrizione (anche quella peritale) non costituisce la prova diretta di una conversazione, ma va considerata solo come un’operazione rappresentativa in forma grafica del contenuto di prove acquisite mediante la registrazione fonica».
Ha, quindi, considerato come «l’ascolto diretto delle conversazioni o comunicazioni intercettate non può essere surrogato dalle trascrizioni effettuate, senza contraddittorio, dalla polizia giudiziaria», condensate in appunti o in sintesi di esse e come risultino «spesso rilevanti le intonazioni della voce, le pause, che, a parità di trascrizione dei fonemi, possono mutare in tutto o in parte il senso di una conversazione» (Sez. 6, n.45984 del 10/10/2011, Rv. 25127401), riconoscendo il diritto della difesa di accedere alla prova diretta.
Ha, inoltre, sottolineato che «l’interesse costituzionalmente protetto della difesa è quello di conoscere le registrazioni poste alla base del provvedimento eseguito, allo scopo di esperire efficacemente tutti i rimedi previsti dalle norme processuali»; e il diritto all’accesso implica, come naturale conseguenza, quello di ottenere la trasposizione su nastro magnetico delle registrazioni medesime, come affermato dalla Consulta, ovvero quello di essere messi in grado di ascoltare le registrazioni.
Considerato che l’ordinanza impugnata ha evidenziato come la difesa avesse avuto immediato accesso sia al supporto informatico che ai tabulati in forma integrale dopo averne fatto richiesta alla segreteria del PM, il tema della «tempestività» del provvedimento autorizzativo, necessaria quale cartina al tornasole di un ingiustificato ritardo addebitabile al PM, è correlato alla tempestività della richiesta rispetto alle cadenze temporali indicate dalle norme processuali, segnatamente, per quanto nella specie rileva, dall’art. 309, comma 9, cod. proc. pen.
Richiamando, per tale profilo, i principi espressi in proposito dalle Sezioni unite, ove al difensore sia stato ingiustificatamente impedito il diritto di accesso alle registrazioni poste a base della richiesta del PM, tanto non determina la nullità del genetico provvedimento impositivo, legittimamente fondato sugli atti a suo tempo prodotti dal PM a sostegno della sua richiesta, né comporta la inutilizzabilità degli esiti delle captazioni effettuate, perché questa scaturisce solo nelle ipotesi indicate dall’art. 271, comma 1, cod. proc. pen.; non comporta la perdita di efficacia della misura, giacché la revoca e la perdita di efficacia della misura cautelare conseguono solo nelle ipotesi espressamente previste dalla legge (artt. 299, 300, 301, 302, 303, 309, comma 10, cod. proc. pen.).
Determina, invece, un vizio nel procedimento di acquisizione della prova per la illegittima compressione del diritto di difesa e non inficia l’attività di ricerca della stessa ed il risultato probatorio, in sé considerati.
Esso comporta, quindi, una nullità di ordine generale a regime intermedio, ai sensi dell’art. 178, lett. c), cod. proc. pen., soggetta al regime, alla deducibilità ed alle sanatorie di cui agli artt. 180, 182 e 183 cod. proc. pen.
Nel caso concreto, è la stessa difesa che, nel ricorso, ammette di non aver eccepito la nullità né chiesto il rinvio dell’udienza.
