Legittimazione del procuratore generale presso la Corte di appello ad impugnare la sentenza di primo grado (di Vincenzo Giglio)

Cassazione penale, Sez. 2^, sentenza n. 50001/2023, udienza del 29 novembre 2023, si è pronunciata sulla legittimazione del procuratore generale presso la Corte di appello ad impugnare la sentenza di primo grado ai sensi dell’art. 593-bis, comma 2, cod. proc. pen.

Ha ricordato che al riguardo si sono di recente pronunciate le Sezioni unite penali (n. 21716 del 23/2/2023, P., Rv. 284490 – 01), affermando – all’esito di un articolato percorso logico argomentativo – che, in tema di appello della parte pubblica, la legittimazione del procuratore generale a proporre appello ex art. 593-bis cod. proc. pen. avverso le sentenze di primo grado, derivante dall’acquiescenza del procuratore della Repubblica, consegue alle intese o alle altre forme di coordinamento richieste dall’art. 166-bis disp. att. cod. proc. pen., che impongono al procuratore generale di acquisire tempestiva notizia in ordine alle determinazioni dello stesso procuratore della Repubblica in merito all’impugnazione della sentenza.

In particolare, le Sezioni unite hanno preso atto che l’art. 593-bis cod. proc. pen. – inserito dall’art. 3, comma 1, d.lgs. 6 febbraio 2018, n. 11, al dichiarato scopo di ridurre il carico di lavoro dei giudici di secondo grado, evitando che gli stessi possano essere chiamati ad esaminare atti di impugnazione, magari neppure coordinati nel loro contenuto, presentati da uffici diversi del pubblico ministero – ha significativamente modificato il rapporto paritario, disegnato nella disciplina codicistica previgente, tra la legittimazione ad impugnare del pubblico ministero di primo grado e quella del pubblico ministero di secondo grado.

In particolare, la norma in discorso, con specifico riferimento all’impugnazione delle sentenze di primo grado, ha introdotto una deroga al principio generale fissato dall’art. 570, comma 1, cod. proc. pen. – che, ai fini dell’esercizio del potere di impugnazione, stabilisce il principio della tendenziale uguale posizione per il procuratore della Repubblica presso il Tribunale e il procuratore generale presso la Corte di appello, in quanto titolari di concorrenti legittimazioni tra loro indipendenti – prevedendo un rapporto differenziato tra tali diversi uffici requirenti.

Solo per l’appello, alla legittimazione “prioritaria” del procuratore della Repubblica presso il Tribunale è affiancata una legittimazione del procuratore generale presso la Corte di appello “secondaria” o, come efficacemente asserito dalla dottrina, “sussidiaria” ovvero “condizionata”. Dunque, pur lasciando inalterata la doppia titolarità del potere di impugnazione dei due rappresentanti dell’ufficio del pubblico ministero (quello presso il Tribunale e quello presso la Corte di appello), l’art. 593-bis cod. proc. pen. ne ha condizionato ovvero ne ha limitato l’esercizio con riferimento alla figura del procuratore generale.

Tale principio, peraltro, era stato già espresso da Sezioni unite, n. 47502 del 29/9/2022, Galdini (non massimata sul punto).

Dunque, l’attuale disciplina ed in particolare la deroga di cui al comma 2 dell’art. 593-bis cod. proc. pen. prevede che «il procuratore generale presso la corte d’appello può appellare soltanto nei casi di avocazione o qualora il procuratore della Repubblica abbia prestato acquiescenza al provvedimento». Orbene, con riferimento alle ipotesi di avocazione non si sono posti problemi interpretativi, atteso che in tali casi le funzioni che nella fase delle indagini e nei procedimenti di primo grado spettano ai magistrati della procura della Repubblica presso il Tribunale sono esercitate dai magistrati della procura generale presso la Corte di appello, per cui la legittimazione del procuratore generale non è “secondaria” o “sussidiaria” rispetto a quella del procuratore della Repubblica, bensì prioritaria ed esclusiva.

In relazione alle ipotesi di acquiescenza da parte del procuratore della Repubblica presso il Tribunale si sono poste questioni esegetiche, che le Sezioni unite hanno risolto collegando il sintagma “acquiescenza del procuratore della Repubblica” al dettato dell’art. 166-bis disp. att. cod. proc. pen., significativamente introdotto dall’art. 8 dello stesso d.lgs. n. 11 del 2018, secondo cui «Al fine di acquisire tempestiva notizia in ordine alle determinazioni relative all’impugnazione delle sentenze di primo grado, il procuratore generale presso la corte d’appello promuove intese o altre forme di coordinamento con i procuratori della Repubblica del distretto».

In tal modo è stato affidato al procuratore generale il potere-dovere di verificare con riferimento ad ogni singola sentenza di primo grado emessa da un giudice del distretto quali siano le intenzioni del procuratore della Repubblica competente, titolare della legittimazione “principale” ad appellare e conseguentemente valutare se vi siano le condizioni per proporre impugnazione in alternativa, sulla base della legittimazione “sussidiaria”.

Il tenore letterale dell’art. 166-bis disp. att. cod. proc. pen. consente di poter affermare che, da un lato, non è richiesta una formalizzazione processuale di una manifestazione di volontà del procuratore della Repubblica, assimilabile ad una sorta di rinuncia ad impugnare, dall’altro, nemmeno è richiesta l’allegazione di qualsivoglia documento all’appello proposto dal procuratore generale che dia atto della intervenuta acquiescenza del procuratore della Repubblica, per cui non c’è necessità di una certificazione formale nell’atto di appello in relazione a tale espletata verifica.

Dunque, il «procuratore generale che propone un appello contro una sentenza di primo grado riconosce, assumendosi la relativa responsabilità ordinamentale, di avere esercitato il potere-dovere di coordinamento e di preliminare verifica assegnatogli dall’art. 166-bis disp. att. c.p.p., e indica così il proprio ufficio come legittimato ad impugnare ai sensi dell’art. 593-bis, comma 2, c.p.p.

Non vi è alcuna previsione normativa che autorizzi a sostenere che il giudice dell’impugnazione possa successivamente sindacare il contenuto della intesa raggiunta dal procuratore della Repubblica con il procuratore generale, confermata dalla presentazione da parte di quest’ultimo dell’unico atto di appello.

Soluzione, questa, che non comporta alcuna ingiustificata limitazione o altro incongruo sacrificio per le ragioni difensive dell’imputato o delle altre parti private, in quanto tale innovativo “meccanismo” processuale richiede esclusivamente che contro la sentenza di primo grado sia presentato un solo atto di appello della parte pubblica.

L’applicazione “fisiologica” delle norme in esame dovrebbe escludere in radice la possibilità che, a fronte della proposizione dell’appello da parte del procuratore generale, risulti presentato avverso la medesima sentenza anche un atto di appello del procuratore della Repubblica.

Laddove un concorso di atti di impugnazione dovesse in concreto verificarsi, tale evento “patologico”, conseguenza della mancata osservanza delle regole interne di natura ordinamentale a carattere organizzativo, è l’indice della mancata acquiescenza e della non operatività delle intese: in questo caso l’impugnazione del procuratore generale presso la Corte di appello è inammissibile» (Sezioni unite, n. 21716/2023 cit.).