Indizi: caratteristiche, uso probatorio e sindacabilità della sua correttezza (di Vincenzo Giglio)

Nozione

Per indizio s’intende un fatto certo dal quale, per inferenza logica basata su regole di esperienza consolidate e affidabili, si perviene alla dimostrazione del fatto incerto da provare, secondo lo schema del cd. sillogismo giudiziario, ossia un elemento conoscitivo che, senza poter rappresentare in via diretta il fatto da provare, è dotato di un’autonoma capacità rappresentativa, riguardante una o più circostanze diverse, ma collegate sul piano logico con quella da dimostrare

Se dall’indizio è deducibile un’unica conseguenza, esso costituisce una prova logica compiuta ed in sé sufficiente), nel senso che presenta una correlazione obbligata tra fatto ignoto e quello noto, al quale, sulla base delle leggi scientifiche, il primo è legato in modo certo ed inevitabile. 

Solitamente l’indizio è però significativo di una pluralità di fatti non noti, presentando “un livello di gravità e precisione, che è direttamente proporzionale alla forza di necessità logica con la quale l’indizio porta verso il fatto da dimostrare, e inversamente proporzionale alla molteplicità di accadimenti che se ne possono desumere secondo le regole di esperienza”. 

I parametri necessari

Tale relativa ambiguità ed inefficienza probatoria diretta dà conto della ragione per la quale il sistema processuale impone un particolare rigore valutativo degli indizi secondo la regola dettata dall’art. 192 comma 2, cod. proc. pen., di cui pretende gravità, precisione e concordanza

La riflessione esegetica condotta dalla giurisprudenza di legittimità è ormai pervenuta ad esiti consolidati nel ravvisare la corretta applicazione del parametro legale di apprezzamento della prova indiziaria in quanto il fatto assumibile come indizio deve presentare carattere di certezza, intesa, non in senso assoluto e naturalistico, ma quale portato della verifica processualmente conducibile alla stregua delle fonti di prova acquisite. È dunque preteso che la prova critica non sia affidata ad un fatto verosimilmente accaduto, supposto o intuito sulla scorta di opinabili congetture o di elaborazioni del decidente, dovendo ricevere riscontro nelle evidenze probatorie del processo. 

Per gravità s’intende poi l’intrinseca capacità dimostrativa rispetto al “thema probandum”, ossia la probabilità di derivazione dal fatto noto di quello ignoto, mentre precisione significa specificità, univocità ed impossibilità di diversa interpretazione, altrettanto o più verosimile e concordanza, requisito proprio della pluralità di indizi, indica convergenza, concordanza e non contraddittorietà di significato in modo tale che, grazie al reciproco collegamento ed alla simultanea direzione verso lo stesso risultato, il loro insieme assume l’efficacia dimostrativa della prova. 

Considerazione unitaria e complessiva degli indizi

Il citato art. 192, comma 2, impone anche un vincolo di metodo operativo per il corretto utilizzo della prova indiziaria, nel senso che, poiché l’indizio in sé considerato può essere indicativo di una pluralità di fatti non noti, incluso quello da dimostrare, il relativo apprezzamento postula una preventiva valutazione per individuarne “la valenza qualitativa individuale e il grado di inferenza derivante dalla loro gravità e precisione” sulla base di affidabili regole di esperienza e di criteri logici e scientifici; quindi, è necessario approdare al passaggio successivo, ossia alla considerazione unitaria e complessiva, che ne evidenzi “i collegamenti e la confluenza in un medesimo, univoco e pregnante contesto dimostrativo” e chiarisca eventuali profili di ambiguità, presentati da ciascuno di essi in sé considerato, in modo da consentire l’attribuzione del fatto illecito all’imputato “al di là di ogni ragionevole dubbio” anche in assenza di una prova diretta di reità, non essendo sufficiente dal punto di vista metodologico proporne una lettura in termini di mera sommatoria, né, all’opposto, un’analisi atomistica che prescinda dal loro raffronto e dalla considerazione unitaria. 

È poi illuminante anche l’avvertenza che nel descritto percorso per l’impiego della prova critica dalla considerazione del singolo dato informativo, saggiato nella sua persuasività, ad una ricostruzione organica dei dati raccolti, il giudizio di gravità può differire per ciascuno di essi ed influenzarne la valutazione complessiva: la pluralità, che consente di ravvisarne la concordanza, e la gravità sono requisiti tra loro collegati e si completano a vicenda, nel senso che, in presenza di indizi poco significativi, può assumere rilievo l’elevato numero degli stessi, quando essi consentano una sola comune ricostruzione, mentre, all’opposto, in presenza di indizi particolarmente gravi, può essere sufficiente un loro numero ridotto per il raggiungimento della prova del fatto. 

Ragionamento probatorio e valorizzazione delle regole di esperienza

Nell’impiego della prova indiziaria è dunque richiesta al giudice la conduzione di un ragionamento probatorio che attraverso l’utilizzo di regole di esperienza, – tratte dalla osservazione ripetuta del normale svolgimento delle vicende naturali e di quelle umane in presenza di determinate condizioni e dalla logica, che orienta i percorsi mentali della razionalità umana, oppure di leggi scientifiche di valenza universale o di ricorrenza statistica – deve procedere, fornendone adeguata giustificazione, alla verifica, dapprima della validità delle regole o delle leggi utilizzate, quindi della correttezza e consequenzialità logica del risultato ottenuto per proporre una ricostruzione del fatto di reato in termini di certezza tali da escludere la prospettabilità di ogni altra ragionevole soluzione, ma non anche di escludere la più astratta e remota delle possibilità che, in contrasto con ogni e qualsivoglia verosimiglianza ed in conseguenza di un ipotetico, inusitato combinarsi di imprevisti e imprevedibili fattori, la realtà delle cose sia stata diversa da quella ricostruita in base agli indizi disponibili. 

Incidenza della regola dell'”al di là di oltre ogni ragionevole dubbio”

Tale operazione deve essere guidata dalla regola, ora positivizzata dall’art. 533, comma 1, cod. proc. pen., che impone di pronunciare sentenza di condanna solo se la colpevolezza dell’imputato emerga al di là di ogni ragionevole dubbio, criterio generale per il riscontro della consistenza logica e della valenza dimostrativa del discorso probatorio esposto nella sentenza impugnata. 

Tale canone orientativo, pur non autorizzando il recepimento di spiegazioni alternative del medesimo fatto segnalate dalla difesa, impone che tale duplicità abbia costituito oggetto di puntuale e attenta disamina da parte del giudice d’appello e che l’esistenza di una ragionevole perplessità sulla ricostruzione alternativa, riguardante tanto la causale, che gli autori dell’azione criminosa, sia stata esclusa all’esito di un percorso delibativo, condotto mediante un serrato confronto dialettico con le emergenze processuali; per convalidare sul piano logico il giudizio di colpevolezza, è dunque necessario che i dati probatori acquisiti siano tali da lasciare fuori solo eventualità remote, la cui effettiva realizzazione nella fattispecie concreta sia priva del benché minimo riscontro nelle risultanze processuali. 

Limiti della sindacabilità della correttezza del procedimento indiziario

Va completato il quadro degli orientamenti giurisprudenziali sulla prova indiziaria, richiamando la natura del sindacato conducibile da parte della Suprema Corte sulla correttezza del procedimento indiziario, che, senza potersi occupare della gravità, della precisione e della concordanza in sé degli indizi, la cui verifica diretta comporterebbe sconfinamenti indebiti nella ricostruzione del fatto di reato, compito esclusivo del giudice di merito, deve riguardare l’articolazione logica e giuridica della motivazione della relativa sentenza per poterne verificare la corretta applicazione dei criteri legali dettati dall’art. 192, comma 2, delle regole della logica e del principio di non contraddizione, nonché la compiutezza e coerenza argomentativa nella considerazione della valenza dimostrativa dei risultati probatori.  Pur nel rispetto del principio che vuole la Corte di cassazione giudice deputato a verificare “la ritualità del procedimento probatorio e non del suo risultato” ed afferma che “il controllo della Corte di cassazione sui vizi di motivazione della sentenza di merito, sotto il profilo della manifesta illogicità, non può estendersi al sindacato sulla scelta delle massime di esperienza delle quali il giudice abbia fatto uso nella ricostruzione del fatto”, ciò nonostante, la doglianza di illogicità può essere accolta quando il ragionamento, che esplicita il libero convincimento del giudice, non si fondi realmente su una massima di esperienza. Quando esso non si basi su un giudizio ipotetico a contenuto generale, indipendente dal caso concreto, ricavato da ripetute esperienze, autonomo da esse e valevole per altri casi, quindi già verificato empiricamente, ma su una congettura o sull’intuizione, intesa quale possibilità astratta, non fondata sull’id quod plerumque accidit, priva di riscontro nella realtà e di plausibilità, oggetto di personale elaborazione del giudicante, allora vi è spazio per ammettere il sindacato sulla logicità motivazionale.