Qualsiasi avvocato che operi come difensore d’ufficio impara da subito a confrontarsi con le difficoltà di questo ruolo.
Non solo quelle fisiologiche di un’attività assunta in assenza di un mandato fiduciario dell’assistito, e talvolta addirittura contro la sua volontà, ma anche quelle patologiche connesse alla considerazione giudiziaria della difesa d’ufficio, trattata in più di un caso come fosse un’ospite tollerata e sostanzialmente inutile nel giudizio.
Gli effetti di questa tendenza alla sottovalutazione possono manifestarsi in vari ambiti: quello proprio del giudizio tutte le volte in cui il giudice esprime noncuranza per le prerogative del difensore o addirittura, come pure è capitato, avoca a sé la tutela del difeso d’ufficio; quello della valorizzazione economica del lavoro professionale.
Propongo adesso ai lettori di Terzultima Fermata una mia personale esperienza in questo secondo ambito, ritenendola di interesse generale.
Alla fine del post sono allegati tutti gli atti che l’hanno scandita, in forma debitamente anonimizzata.
Il 7 novembre 2022 ho depositato un’istanza di liquidazione del compenso professionale di difesa di ufficio di insolvibile in fase di indagini preliminari, chiedendo oltre al compenso professionale penale, anche il compenso professionale civile e le spese vive relative all’attività di recupero del credito ex art. 116 TU spese di Giustizia, oltre ad accessori di legge. Con decreto del 27 dicembre 2022 il giudice penale competente mi ha liquidato solo il compenso professionale penale e l’ulteriore compenso relativo alla procedura monitoria. Ha invece omesso sia il rimborso delle spese vive anticipate e documentate, sia la liquidazione del compenso professionale relativo al precetto ed al tentativo di pignoramento mobiliare (allegato n. 1).
Ho proposto, pertanto, opposizione con atto del 28 dicembre 2022 chiedendo, in riforma del decreto di pagamento reclamato, gli ulteriori emolumenti pretermessi dal giudice penale, con vittoria di spese del giudizio (allegato n. 2)
L’opposizione è stata totalmente accolta, con vittoria di spese, dal giudice civile con ordinanza decisoria ex art. 702-ter, c.p.c., del 19 ottobre 2023, che ho notificato in pari data al Ministero soccombente (allegato n. 3).
Il 18 dicembre 2023, ultimo giorno utile, il Ministero della Giustizia ha fatto ricorso per cassazione avverso il citato provvedimento decisorio, dolendosi della mancata decurtazione di 1/3, ai sensi dell’art. 106-bis, DPR 115/2002, da parte del giudice dell’opposizione (allegato n. 4)
Mi sono costituito con controricorso il 27 dicembre 2023, chiedendo in via principale il rigetto del gravame siccome infondato, non reputando (pur in mancanza di giurisprudenza specifica a supporto) applicarsi la norma de qua all’onorario civile, avente natura di rimborso per il difensore di ufficio, concernente il vano e non pretestuoso tentativo di recupero del credito, ma solo all’onorario penale, avente natura retributiva per l’attività professionale espletata in favore dell’assistito risultato insolvibile; in mero subordine (nella non creduta ipotesi di accoglimento del ricorso), chiedo in ogni caso la compensazione delle spese del grado, avendo la difesa erariale richiesto la decurtazione anche delle spese vive documentate, nonché la vittoria di spese di lite con riferimento al primo grado di giudizio, ove era rimasta contumace (allegato n. 5).
Cassazione civile, Sez. 2^, ordinanza n. 3606/2024 dell’8 febbraio 2024, accoglie il ricorso interposto da un difensore di ufficio di un insolvibile sulla base delle stesse argomentazioni che avevo speso nel mio controricorso, ossia che l’art. 106-bis, TU Spese di Giustizia non è applicabile al compenso professionale civile del difensore di ufficio relativo al tentativo di recupero del credito, avente natura di rimborso, tanto è vero che la predetta attività potrebbe ben essere delegata ad altro difensore (allegato n. 6).
Il 26 aprile 2024 perviene dalla cancelleria della seconda sezione civile della Suprema Corte una proposta di definizione ex art, 380-bis, c.p.c., per essere il ricorso del Ministero della Giustizia manifestamente infondato, per le ragioni indicate dalla menzionata ordinanza n. 3036/2024 opportunamente riportata dal consigliere delegato, con la conseguenza che il Dicastero potrà rimanere silente per 40 giorni e far così dichiarare l’improcedibilità del ricorso per rinuncia, ovvero chiedere la decisione, ma rischiare in ipotesi della decisione della Corte in conformità alla proposta del Consigliere delegato, una condanna ai sensi dell’art. 96, commi 3 e 4, c.p.c. (allegato n. 7).
Questa è la mia storia.
Ritengo sia utile diffonderla non solo in aiuto ai difensori di ufficio, essendo invalsa in molte corti di merito l’errata convinzione che la decurtazione di 1/3 si applichi anche all’onorario civile relativo al tentativo di recupero del credito professionale, ma anche per riflettere sulla necessità di una riforma nella materia in questione (come sostengo da molti anni) tesa ad equiparare la procedura di liquidazione del difensore di ufficio del maggiorenne a quella del minorenne di cui all’art. 118, DPR 115/2002, salvo poi il regresso dell’Erario nei confronti dell’assistito, qualora non in possesso dei requisiti ai fini dell’ammissione al patrocinio a spese dello stato.
In effetti, a seguito del tentativo di recupero del credito di cui all’art. 116, TU Spese di giustizia, in ipotesi di mancata opposizione, lo Stato deve corrispondere il doppio od il triplo di ciò che pagherebbe per la mera difesa penale; in ipotesi di opposizione vittoriosa si arriva anche al quadruplo od al quintuplo; in ipotesi di ricorso per cassazione che vede soccombente il Ministero della Giustizia si può addirittura arrivare alla conseguenza che l’Erario debba pagare il decuplo rispetto alla mera difesa penale. Senza peraltro dimenticare che l’erronea prassi liquidatoria cagiona un proliferare di contenzioso che aggrava la situazione delle Corti caratterizzata da carichi notevoli a fronte di carenze di personale.
