Cassazione penale, Sez. 4^, sentenza n. 3389/2024, udienza del 28 novembre 2023, ha accolto il ricorso di un imputato che lamentava di essere stato ritenuto responsabile di omissione di soccorso sulla base di videoriprese senza che i giudici di merito avessero preso in considerazione, anche solo per confutarle, le dichiarazioni acquisite in sede di indagini difensive da una persona informata sui fatti.
Vicenda giudiziaria
La Corte territoriale ha confermato la sentenza di primo grado, emessa a seguito di giudizio abbreviato, con cui CW era stato condannato alla pena complessiva di anni uno e mesi quattro di reclusione, coi benefici di legge, in relazione ai reati di cui agli artt. 589-bis, comma primo, cod. pen. (capo A) e 189, commi 6 e 7, C.d.S., perché, dopo essersi fermato ed essersi reso conto delle ferite cagionate al ciclista FS, a bordo dell’autoarticolato da lui condotto, proseguiva la marcia non ottemperando all’obbligo di fermarsi e di prestare l’assistenza occorrente alla persona ferita che giaceva sul suolo stradale in stato di incoscienza.
Il tribunale aveva ravvisato nella condotta dell’imputato successiva al sinistro gli estremi della contravvenzione prevista dall’art. 189 cit.
Le immagini raccolte dalle telecamere di sorveglianza presenti sui luoghi rappresentavano questa violazione, ritraendo CW che, dopo essersi avveduto dell’incidente provocato, arrestava la marcia del proprio veicolo e raggiungeva a piedi la vittima senza, tuttavia, prestarle soccorso, allontanandosi immediatamente dopo dal luogo dell’incidente e rimettendosi alla guida della propria auto. L’identificazione dell’imputato, allontanatosi prima dell’arrivo dei soccorsi si era resa possibile solo alle 17.00 dello stesso giorno, quando il medesimo era rientrato presso l’impresa ove prestava servizio.
Il tribunale riteneva configurabile anche il dolo generico, avendo CW constatato personalmente l’avvenuto ferimento di FS, da ricondurre all’incidente appena occorso.
Con l’atto di appello la difesa lamentava che il tribunale non aveva valutato la consulenza di parte e le dichiarazioni del teste AB assunto in sede di indagini difensive.
Nella sentenza impugnata si è precisato che, ai fini della punibilità, è necessario che ogni componente del fatto tipico (segnatamente il danno alle persone e l’esservi persone ferite, necessitanti di assistenza) sia conosciuta e voluta dall’agente e che tale condizione ricorreva nella fattispecie in esame. L’imputato, sebbene si fosse reso conto dello stato di incoscienza della vittima, si era comunque allontanato senza neppure allertare i soccorsi.
In questa prospettiva la Corte di merito ha ritenuto irrilevante la decisione di CW di allontanarsi per liberare la strada occupata dal proprio auto-rimorchio; anzi, egli non aveva considerato che tale veicolo, potenzialmente coinvolto nel sinistro, rappresentava a tutti gli effetti un mezzo di accertamento del fatto, in ipotesi anche in senso favorevole all’imputato, e che poteva essere rimosso solo a seguito dei rilievi; al riguardo, l’organo giudicante ha spiegato che la priorità non consisteva nel favorire il deflusso della circolazione di una strada – peraltro non trafficata – ma nel soccorso del ferito.
Ricorso per cassazione
CW, a mezzo del proprio difensore, ricorre per cassazione avverso la sentenza della Corte di appello per vizio di motivazione per suo contrasto con atto processuale costituito dal verbale di sommarie informazioni testimoniali, contenente la deposizione resa in sede di indagini difensive da AB.
Deduce che entrambi i giudici di merito hanno ricostruito in modo non corretto la condotta contestata, con motivazione contrastante con il verbale delle dichiarazioni rese da AB ex artt. 391-bis e 391-ter cod. proc. pen.
Nella ricostruzione delle fasi immediatamente successive al sinistro, il tribunale aveva ritenuto di utilizzare esclusivamente le videoriprese delle telecamere di sorveglianza presenti nel luogo del sinistro, al fine di motivare la condotta di omessa assistenza; al contrario, non accennava alle dichiarazioni di AB e alla conciliabilità tra il loro contenuto e il significato attribuito alle videoriprese. Tale testimonianza era decisiva, in quanto proveniva dalla prima persona ad aver soccorso la vittima; dalle stesse, infatti, emergeva che l’imputato, immediatamente dopo il sinistro, aveva raggiunto di corsa la vittima per prestare i primi soccorsi, la stessa non si trovava da sola, ma era già assistita quantomeno dallo stesso AB. Si trattava di informazione non ricavabile dalla sola visione del filmato. Il tribunale aveva il potere di selezionare tra tali due prove e di ritenere sufficiente il video ed ininfluenti le sommarie informazioni testimoniali; ma, in tal caso, avrebbe avuto uno specifico onere di motivare in ordine alla irrilevanza, in favor rei, delle circostanze emergenti dal verbale di sommarie informazioni. La rilevanza penale del fatto doveva essere esclusa, perché il temporaneo allontanamento era avvenuto in una fase in cui un’altra persona aveva già prestato i primi soccorsi unitamente al ricorrente e, al ritorno di questi, stava ancora continuando a fornire assistenza.
Sentenza della Corte di cassazione
Con l’unico motivo di appello CW deduceva che il tribunale non aveva valutato il contenuto delle dichiarazioni rese in sede di indagini difensive da AB.
Venendo alla fattispecie in esame, nell’ambito delle dichiarazioni rese in sede di indagini difensive (allegate al ricorso ai fini dell’autosufficienza del medesimo), AB riferiva che, il giorno del sinistro, mentre si trovava a bordo di un autocarro, aveva notato sul lato sinistro della strada un uomo in bicicletta, dopodiché aveva visto passare nello stesso senso di marcia del ciclista un camion con un rimorchio identico al suo, e dopo qualche istante aveva osservato il ciclista riverso con il viso a terra, per cui si era immediatamente fermato a prestare soccorso. Evidenziava che l’autista dell’altro camion, quello che viaggiava nella stessa direzione del ciclista, si era anche lui fermato di lì a poco ed era sceso correndo per raggiungere il signore ferito, per rimanere sul posto per cinque minuti, salvo poi allontanarsi per recarsi a spostare il camion rimasto in mezzo alla strada, dovendolo riconsegnare alla vicina ditta. Era quindi ritornato sul luogo del sinistro dopo dieci minuti circa, e vi rimaneva finché gli operatori del 118 non avevano caricato il ferito sull’ambulanza.
Secondo la tesi difensiva, tale ricostruzione dei fatti escludeva la configurabilità del reato di cui all’art. 189, comma 7, C.d.S., emergendo che terze persone (quanto meno AB) avessero già provveduto a fornire assistenza al ferito.
Peraltro, la descrizione delle vicende operata da AB non risultava incompatibile con le risultanze delle immagini delle videoriprese, assunte dalla Corte di appello ad elemento di rilievo decisivo per affermare la responsabilità di CW. La compresenza di tali elementi probatori avrebbe imposto una loro disamina congiunta, comprensiva della ricostruzione di tempi e luoghi delle modalità di svolgimento dei fatti e dell’analisi della credibilità e dell’attendibilità di AB.
A fronte di un possibile radicale e netto diverso sviluppo della vicenda criminosa emergente dalle dichiarazioni del soggetto sentito a sommarie informazioni, la Corte territoriale si è limitata a ribadire, in modo lapidario, che la priorità di CW era costituita dal soccorso alla vittima del reato e non dallo spostamento del veicolo da lui guidato, senza considerare la tesi difensiva emergente dalla prova pretermessa (superfluità dell’assistenza dell’imputato stante la presenza di altri soccorritori).
La Corte di appello non ha trattato l’argomento difensivo, non esplicitando le ragioni della sua confutazione; né tali ragioni sono ricavabili dalla lettura della sentenza impugnata che, per tale ragione, incorre nel dedotto vizio di mancanza o comunque carenza di motivazione come costantemente definito dalla Suprema Corte, secondo cui la nozione di mancanza di motivazione di cui all’art. 606 lett. e), cod. proc. pen. non si riferisce alla carenza sotto il profilo grafico, disciplinato dall’art. 125 stesso codice, ma all’assenza dei necessari passaggi e delle argomentazioni indispensabili al fine di rendere l’intero iter logico comprensibile, verificabile da parte del giudice sovraordinato e completo — sotto l’aspetto minimo — anche in ordine alle risposte da dare alle istanze rilevanti e pertinenti avanzate dall’interessato (Sez. 4, n. 10456 del 15/11/1996, dep. 1997, Rv. 206322, relativa a fattispecie in cui la Corte d’appello non aveva fatto il benché minimo accenno ad una testimonianza cui l’appellante aveva attribuito rilevante valore probatorio, per cui la Corte di cassazione aveva ritenuto il vizio di mancanza di motivazione essendo mancata del tutto la presa in considerazione del punto sottoposto all’analisi del giudice, di tal che la motivazione adottata non rispondeva ai requisiti minimi di esistenza, completezza e logicità del discorso argomentativo su cui la decisione era fondata, né conteneva gli specifici elementi esplicativi delle ragioni che potevano aver indotto a disattendere le critiche pertinenti dedotte dalle parti; Sez. 1, n. 4787 del 10/11/1993, dep. 1994, Rv. 196361; Sez. 3, n. 1448 del 09/04/1990, Rv. 184266).
Per tali ragioni la sentenza impugnata va annullata limitatamente al reato di cui al capo B) con rinvio sul punto ad altra sezione della Corte di appello per un nuovo giudizio da condurre alla luce dei principi giurisprudenziali e dei vizi motivazionali sopra illustrati.
