Interesse ad impugnare: la definizione della Corte di cassazione (di Riccardo Radi)

La Cassazione sezione 2 con la sentenza numero 16377/2024 ha definito il concetto di interesse ad impugnare stabilendo che esso non è costituito dalla mera aspirazione della parte all’esattezza tecnico-giuridica della motivazione del provvedimento, ma dall’interesse a conseguire – dalla riforma o dall’annullamento del provvedimento impugnato- un vantaggio concreto.

La Suprema Corte evidenzia che l’interesse a impugnare, così come richiamato dall’art. 568, comma 4, cod. proc. pen. quale condizione di ammissibilità di qualsiasi impugnazione, deve essere correlato agli effetti primari e diretti del provvedimento da impugnare e sussiste solo se l’impugnazione sia idonea a costituire, attraverso l’eliminazione di un provvedimento pregiudizievole, una situazione pratica più vantaggiosa per l’impugnante rispetto a quella esistente; id est sussiste un interesse concreto solo ove dalla denunciata violazione sia derivata una lesione dei diritti che si intendono tutelare e nel nuovo giudizio possa ipoteticamente raggiungersi un risultato non solo teoricamente corretto, ma anche praticamente favorevole (cfr. Sez. U, sentenza n. 42 del 13/12/1995, Timpani, Rv. 203093 – 01 seguita da moltissime conformi, fino alla più recente Sez. 3 -, Sentenza n. 30547 del 06/03/2019, Rv. 276274-01).

In altre parole, l’interesse ad impugnare non è costituito dalla mera aspirazione della parte all’esattezza tecnico-giuridica della motivazione del provvedimento, ma dall’interesse a conseguire – dalla riforma o dall’annullamento del provvedimento impugnato- un vantaggio concreto.

L’interesse a ricorrere, si identifica con l’interesse al risultato del giudizio sull’impugnazione; ne consegue che, nella valutazione della sussistenza o meno dell’interesse della parte ad impugnare, è necessario prendere in esame i due aspetti di tale interesse e cioè quello processuale e quello sostanziale.

Quest’ultimo deve risolversi in un “vantaggio”, in una “utilità” in senso obiettivo, per la parte impugnante.

Se dunque, l’impugnazione proposta non può portare ad una modificazione degli effetti del provvedimento impugnato, non vi è interesse (cfr. Sez. 6, n. 1473 del 02/04/1997 Rv. 207488 – 01).

Le Sezioni unite hanno ribadito questo concetto, laddove hanno rappresentato che l’interesse richiesto dall’art. 568, comma 4, cod. proc. pen., quale condizione di ammissibilità di qualsiasi impugnazione, deve essere correlato agli effetti primari e diretti del provvedimento da impugnare e sussiste solo se il mezzo di impugnazione proposto sia idoneo a costituire, attraverso l’eliminazione di un provvedimento pregiudizievole, una situazione pratica più vantaggiosa per l’impugnante rispetto a quella esistente (Sez. U, n. 29529 del 25/06/2009 Rv. 244110 – 01 De Marino; in tal senso, da ultimo, Sez. 6, n. 17686 del 07/04/2016 Rv. 267172 – 01).

Si è ulteriormente precisato che l’interesse ad impugnare deve essere colto nella finalità, perseguita dal soggetto legittimato, di rimuovere lo svantaggio processuale e, quindi, il pregiudizio derivante da una decisione giudiziale ovvero deve essere individuato, il che non muta il risultato, facendo leva sul concetto positivo di utilità che la parte mira a conseguire, attraverso l’esercizio del diritto di impugnazione e in coerenza logicamente con il sistema legislativo.

Sono questi gli elementi qualificanti dell’interesse ad impugnare, e il criterio di misurazione dello stesso, visto sia in negativo (rimozione di un pregiudizio) che in positivo (conseguimento di una utilità), è un criterio comparativo tra dati processuali concretamente individuabili: il provvedimento impugnato e quello che il giudice ad quem potrebbe emanare in accoglimento dell’impugnazione (cfr. Sez. U, n. 6624 del 27/10/2011 (dep. 17/02/2012) Rv. 251693 – 01 Marinaj).

Sulla base di tali principi, la Suprema Corte ha precisato, con riferimento al ricorso proposto dal PM, che non è sufficiente ai fini dell’interesse ad impugnare, la mera pretesa teorica preordinata all’astratta osservanza della legge e alla correttezza giuridica della decisione, essendo invece necessario che sia comunque dedotto un pregiudizio concreto e suscettibile di essere eliminato dalla riforma o dall’annullamento della decisione impugnata (cfr. Sez. 5, n. 35785 del 04/05/2018 Rv. 273630 – 01; Sez. U, n. 29529 del 25/06/2009 Rv. 244110 – 01).

Costituiscono il portato dei predetti principi le pronunzie con cui la giurisprudenza di legittimità, in materia cautelare, seppur con riguardo alle misure di tipo personale, ha stabilito che, quando il giudice ha fondato la misura su più di una delle esigenze previste dall’art. 274 cod. proc. pen., i motivi di gravame che investono una sola di esse, nell’accertata sussistenza di un’altra, sono inammissibili per mancanza di interesse, in quanto l’eventuale apprezzamento favorevole della doglianza non condurrebbe comunque ad un effetto liberatorio (cfr. Sez. 6, n. 7200 del 08/02/2013 Rv. 254506 – 01).

Dal dibattito giurisprudenziale emerge altresì l’impossibilità di valorizzare – ai fini del rilievo della sussistenza dell’interesse all’impugnazione – la diversità di effetti tra il provvedimento impugnato e quello che potrebbe essere adottato in ragione dell’accoglimento del ricorso, sulla base della possibile configurazione di mere ed eventuali situazioni future.

Evidenziandosi in tal modo la necessità che l’interesse in esame sia connotato dell’ineludibile requisito dell’attualità.

Si è così osservato, in particolare, che è inammissibile, per difetto di attualità  dell’interesse all’impugnazione, il ricorso per cassazione del pubblico ministero avverso l’ordinanza del tribunale del riesame che abbia escluso la sussistenza di una circostanza aggravante ad effetto speciale, in quanto l’incidenza della contestazione cautelare della circostanza, sui termini di durata massima della custodia cautelare, costituisce oggetto solo di situazioni future (cfr. Sez. 6, n. 3326 del 28/11/2014 (dep. 23/01/2015) Rv. 262080 – 01).