CTU che ritarda il deposito della consulenza: quando è configurabile l’omissione di atti d’ufficio (di Riccardo Radi)

Consulenti che ritardano il deposito dell’elaborato per mesi, se non per anni, ma il ritardo di per sé non fa scattare in automatico il reato di omissione di atti d’ufficio.

La Cassazione sezione 6 con la sentenza numero 15642 depositata il 16 aprile 2024 ha stabilito che il ritardo, anche prolungato, nel deposito della relazione da parte del consulente d’ufficio non integra di per sé solo, il reato di rifiuto di atti d’ufficio per ragioni di giustizia ex art. 328, comma primo, Cp, se non sussista una indifferibilità dell’atto omesso, la quale non può essere desunta dall’esigenza di regolare andamento dell’attività giudiziaria, ma presuppone che il ritardo determini un pericolo concreto di pregiudizio per le parti interessate, derivante dalla mancata definizione dell’assetto regolativo degli interessi coinvolti nel procedimento.

In tema ricordiamo il precedente della medesima sezione n.28615/2022 che ha stabilito che integra il reato di rifiuto di atti di ufficio di cui all’art. 328, comma primo, cod. pen. l’omesso deposito della relazione da parte del consulente d’ufficio incaricato di un accertamento tecnico preventivo, che si protragga nonostante le ripetute sollecitazioni formali rivolte dal giudice civile e dalle parti, trattandosi di un atto che trova il suo presupposto in una situazione di urgenza oggettiva, da compiere senza ritardo al fine di non pregiudicare il diritto all’effettività della tutela giurisdizionale della parte che ha promosso l’istruzione preventiva.

Nel caso sopra richiamato rileva la cassazione che la Corte di merito ha, correttamente ascritto questa condotta all’ambito applicativo dell’art. 328 c.p., comma 1, quale rifiuto di atto dell’ufficio che per ragioni di giustizia doveva essere compiuto senza ritardo.

La giurisprudenza di legittimità ritiene, del resto, che la persistente inerzia omissiva del pubblico ufficiale si risolva in un rifiuto implicito (Sez. 6, n. 16483 del 15/03/2022, Rv. 283151 – 01; Sez. 6, n. 1657 del 12/11/2019, dep. 2020, Rv. 277587 – 01), in quanto il rifiuto non deve essere espresso in modo solenne o formale, ma può concretizzarsi anche in una inerzia silente, protratta senza giustificazione (Sez. 6, n. 7766 del 9/12/2022, dep. 2003, Rv. 223955 – 01).

La Suprema Corte ha, peraltro, rilevato che è configurabile il reato di rifiuto di atti d’ufficio nel caso di omesso deposito della relazione da parte di un consulente tecnico nominato in una causa civile, nonostante ripetute sollecitazioni formali, per oltre quattro anni dall’affidamento dell’incarico di eseguire un supplemento di perizia (Sez. 6, n. 47531 del 20/11/2012, Rv. 254039-01; conf. Sez. 6, n. 10051 del 20/11/2012, dep. 2013, Rv. 255717 – 01, fattispecie relativa al curatore di un fallimento).

In ordine alla qualificazione di urgenza dell’atto che il pubblico ufficiale ha rifiutato.

La cassazione ha rilevato che l’indifferibilità dell’atto da compiere va riferita non al generico dovere di diligenza del pubblico ufficiale, ma piuttosto alla connotazione oggettiva dell’atto medesimo in funzione dell’interesse perseguito dalla p. a. intesa in senso lato.

L’indifferibilità dell’atto va, dunque, accertata in base all’ordinamento (al cui interno sono individuabili – al di là di una eventuale previsione esplicita – le condizioni di non rinviabilità dell’atto stesso) con riferimento all’entità del danno che il ritardo potrebbe potenzialmente provocare: il che significa che l’atto deve essere compiuto senza ritardo quando, per espressa previsione ovvero per emergenze oggettive insite nella sua natura strutturale, non può essere differito, proprio per garantire il perseguimento dello scopo cui è preordinato e gli effetti ad esso concretamente ricollegabili (ex plurimis: Sez. 6, n. 47531 del 20/11/2012, Rv. 254039-01).

La Corte di appello ha, dunque, correttamente applicato la legge penale, ritenendo nel caso di specie che la consulenza tecnica di ufficio nella disciplina dell’istruzione preventiva costituisse un atto indifferibile, in quanto l’urgenza assurge a presupposto per consentire al giudice di disporre l’accertamento tecnico preventivo e ne informa l’intera disciplina.

L’art. 696 c.p.c., comma 1, espressamente accorda tale strumento a “chi ha urgenza di far verificare, prima del giudizio, lo stato di luoghi o la qualità o la condizione di cose” e il comma 2 della medesima disposizione aggiunge che “l’accertamento tecnico e l’ispezione giudiziale, se ne ricorre l’urgenza, possono essere disposti anche sulla persona dell’istante e, se questa vi consente, sulla persona nei cui confronti l’istanza è proposta”.

L’accertamento tecnico preventivo, come ricordato anche dalla sentenza n. 388 del 1999 della Corte costituzionale, è, del resto, giustificato dalla finalità “di evitare che la modifica delle situazioni o gli eventi che si possono verificare impediscano, poi, la formazione e l’acquisizione della prova nel giudizio di merito”.

Nella sentenza n. 144 del 2008, la Corte costituzionale ha, inoltre, rilevato che la disciplina della istruzione preventiva condivide la ratio ispiratrice della tutela cautelare, che è quella di evitare che la durata del processo si risolva in un pregiudizio della parte che dovrebbe veder riconosciute le proprie ragioni.

Nella valutazione non certo illogica dei giudici di merito, il deposito della consulenza tecnica di ufficio costituiva atto indifferibile ai sensi dell’art. 328 c.p., comma 1 e il rifiuto dell’imputato di assolvere il proprio incarico di consulente tecnico di ufficio nel termine assegnato e nonostante i reiterati solleciti, ha pregiudicato il diritto all’effettiva tutela giurisdizionale della parte che ha fatto ricorso all’accertamento tecnico preventivo, risolvendosi in una forma di denegata giustizia.