Cassazione penale, Sez. 4^, sentenza n. 14718/2024, udienza del 27 marzo 2024, ha dichiarato inammissibile per genericità un ricorso che censurava un provvedimento di diniego della rimessione di una serie di giudizi a causa di una campagna di stampa avversa asseritamente in grado di influenzare il loro esito in senso negativo per il ricorrente.
Il collegio di legittimità ha ricordato che lo spostamento del processo ad altra sede costituisce presidio di garanzia della terzietà del giudice (sotto il profilo della imparzialità del suo giudizio), della libertà di determinazione delle persone che partecipano al processo (pubblico ministero, difensore, imputato, testi, periti e simili, secondo Cass. Sez. 1, n. 5723 del 1994) e della inviolabilità del diritto di difesa (Cass. Sez. 1, n. 926 del 1990; Cass. Sez. 1, n. 3402 del 1994; Corte cost., sent. n. 168 del 2006) quando possano essere pregiudicate da motivi che non riguardano il giudice come persona fisica (provvedendo in tal senso l’istituto dell’incompatibilità e i rimedi dell’astensione e della ricusazione) ma l’intero ufficio giudiziario al quale appartiene (Cass. Sez. 1, n. 5682 del 1997).
È strumento processuale che tutela l’imparzialità e la serenità del giudizio sul piano oggettivo, preservandolo dal rischio concreto, effettivo, non opinabile e di incontrovertibile attualità di essere inquinato da fattori esterni all’ufficio giudiziario chiamato a svolgere la sua funzione giurisdizionale (Cass. Sez. 1, n. 52976 del 2014); la sua applicazione è saldamente ancorata ai presupposti di fatto che possono menomare tale serenità, la cui espressa previsione esclude ogni possibile applicazione discrezionale. Per questa ragione, questa Corte ha sin da subito dichiarato manifestamente infondata, in relazione all’art. 25, comma primo, Cost., la questione di legittimità costituzionale dell’art. 45 cod. proc. pen., come modificato dall’art. 1 della legge 7 novembre 2002 n. 248, in tema di rimessione per legittimo sospetto, in quanto la rilevanza di quest’ultimo ai fini della “translatio iudicii” è subordinata alla sua derivazione, come effetto, da gravi situazioni locali idonee a pregiudicare oggettivamente e concretamente l’imparzialità del giudice, circostanza, quest’ultima, che esclude la possibilità di uno spostamento della competenza per territorio affidato alla mera discrezionalità della Corte di cassazione (Cass. Sez. U, n. 13687 del 2003).
Come ha ben spiegato la Corte costituzionale, «siffatto eccezionale presidio – a garanzia della serenità ed imparzialità del giudizio e, quindi, in ultima analisi, dello stesso valore del “giusto processo” – è, da sempre, previsto soltanto per il processo penale, giacché a garantire le parti dai rischi della non imparzialità e terzietà del giudice soccorrono, nelle altre sedi giurisdizionali, i diversi istituti della astensione e della ricusazione. Questa indubbia peculiarità si fonda sulla constatazione che soltanto il processo penale è, per sua natura, idoneo a suscitare gravi emozioni e perturbamenti, specie nel luogo in cui esso si celebra. Tali turbamenti – sia che rilevino sul piano dell’ordine pubblico processuale, sia che attengano al diverso profilo della serenità del giudizio – sono comunque riconducibili all’intervento di “elementi esterni”. Questi ultimi – come ha più volte sottolineato la giurisprudenza di legittimità – più che incidere direttamente sul valore della imparzialità e terzietà del giudice investito della cognizione della regiudicanda (il “sospetto” di condizionamento non riguarda, infatti, il singolo giudice, ma l’intero ufficio giudiziario), finiscono per coinvolgere la stessa possibilità di celebrare un “giusto processo”. Le gravi situazioni locali che turbano lo svolgimento del processo, di cui è menzione nell’art. 45 cod. proc. pen., non possono, pertanto, che fondarsi e riflettersi su quello che è il naturale oggetto del processo penale: vale a dire, una specifica accusa mossa nei confronti di un determinato imputato; quindi, un contesto ambientale che genera una turbativa a favore o contro l’accusa o, reciprocamente, a favore o contro l’imputato (…) È ben vero, infatti – come la giurisprudenza di questa Corte ha in più occasioni sottolineato – che la locuzione “giudice naturale” «non ha nell’art. 25 [Cost.] un significato proprio e distinto, e deriva per forza di tradizione da norme analoghe di precedenti Costituzioni, nulla in realtà aggiungendo al concetto di “giudice precostituito per legge”» (v., ad es., sentenza n. 88 del 1962 e ordinanza n. 100 del 1984); ma deve riconoscersi che il predicato della “naturalità” assume nel processo penale un carattere del tutto particolare, in ragione della “fisiologica” allocazione di quel processo nel locus commissi delicti. Qualsiasi istituto processuale, quindi, che producesse – come la rimessione – l’effetto di “distrarre” il processo dalla sua sede, inciderebbe su un valore di elevato e specifico risalto per il processo penale; giacché la celebrazione di quel processo in “quel” luogo, risponde ad esigenze di indubbio rilievo, fra le quali, non ultima, va annoverata anche quella – più che tradizionale – per la quale il diritto e la giustizia devono riaffermarsi proprio nel luogo in cui sono stati violati» (Corte costituzionale, sentenza n. 106/2006).
L’istituto ha dunque carattere eccezionale poiché implica una deroga al principio costituzionale del giudice naturale precostituito per legge e, come tale, comporta la necessità di un’interpretazione restrittiva delle disposizioni che lo regolano, in esse comprese quelle che stabiliscono i presupposti per la “translatio iudicii“. Pertanto, ai fini della rimessione del processo, i provvedimenti e i comportamenti del giudice possono assumere rilevanza a condizione che siano l’effetto di una grave situazione locale e che, per le loro caratteristiche oggettive, siano sicuramente sintomatici della mancanza di imparzialità dell’ufficio giudiziario della sede in cui si svolge il processo medesimo, così come anche gli atti e i comportamenti del pubblico ministero, quando censurabili, possono costituire presupposto per la rimessione del processo a norma degli artt. 45 e segg. cod. proc. pen., purché abbiano pregiudicato la libera determinazione delle persone che vi partecipano ovvero abbiano dato causa a motivi di legittimo sospetto sull’imparzialità dell’ufficio giudiziario della sede in cui si svolge il processo medesimo (Cass. Sez. U, n. 13687 del 2003; di qui la già citata declaratoria di manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 45 cod. proc. pen.).
