Stranieri irregolari: patrocinio gratuito negato per non avere indicato il loro (inesistente) luogo di domicilio all’estero. Piove sempre sul bagnato (di Riccardo Lottini)

Nello spazio di pochi giorni due diversi uffici giudiziari hanno negato l’ammissione al c.d. gratuito patrocinio perché gli istanti, due stranieri irregolari presenti sul territorio nazionale, privi di codice fiscale, non hanno indicato il luogo del loro domicilio all’estero, limitandosi a riportare luogo e data di nascita.

Entrambi i provvedimenti di diniego (allegati alla fine del post) citano i passaggi di un’ordinanza della Corte costituzionale (n. 144 del 2004) la quale, nell’affrontare la questione di legittimità delle norme sul patrocino a spese dello Stato nella parte in cui pretenderebbero a pena di ammissibilità il codice fiscale anche dal soggetto straniero che non lo possiede, ha concluso per la sua infondatezza, poiché l’art. 6 del d.P.R. n. 603 del 1973 dispone che «L’obbligo di indicazione del numero di codice fiscale dei soggetti non residenti nel territorio dello Stato, cui tale codice non risulti già attribuito, si intende adempiuto con la sola indicazione dei dati di cui all’articolo 4, con l’eccezione del domicilio fiscale, in luogo del quale va indicato il domicilio o sede legale all’estero».  Ben può lo straniero – prosegue l’ordinanza in parola – indicare i dati richiesti dall’art. 4 per la determinazione del codice fiscale (il cognome e il nome, il luogo e la data di nascita, il sesso) ma non il domicilio fiscale, che non ha, in luogo del quale occorre fornire il domicilio estero, come richiesto dall’art. 6 citato.

Nei due provvedimenti, sulla base di questa premessa interpretativa, si afferma che è sicuramente possibile ottenere l’ammissione al gratuito patrocinio anche per gli stranieri privi del codice fiscale, ma costoro, obbligatoriamente, devono indicare il loro domicilio all’estero, in mancanza del quale – come avvenuto nei casi in esame – la loro richiesta è inammissibile.

Queste conclusioni non sembrano decisive.

Agli argomenti che le hanno legittimate si può obiettare che la disposizione citata dalla Corte costituzionale, concepita negli anni ’70 in cui il fenomeno migratorio come lo intendiamo oggi non esisteva, si riferisce expressis verbis agli stranieri residenti all’estero, che hanno un domicilio nel loro Stato di residenza, i quali si trovano a compiere uno degli atti indicati dall’art. 6 per i quali è obbligatoria l’indicazione del codice fiscale e che non si adatta ai casi che ci occupano. In questi ultimi, infatti, l’istanza di ammissione al gratuito patrocinio proviene da stranieri clandestini, da anni non più residenti nel loro Paese, dove non hanno alcun domicilio che, ai sensi dell’art. 43 comma 1 c.c., deve considerarsi il luogo in cui una persona ha stabilito la sede principale dei propri interessi e affari.

Giova, peraltro, sottolineare che l’indicazione del domicilio estero, anche a prescindere dalla sua inesistenza di fatto, non avrebbe aggiunto alcunché alla richiesta. L’indicazione del codice fiscale è infatti funzionale a consentire all’Agenzia delle Entrate, cui la richiesta di ammissione viene inviata, di effettuare i controlli per verificare la veridicità dei dati di reddito riportati nella medesima. Quand’anche sia indicata una città estera (ad es. Rabat, Casablanca, Tunisi, ecc.) cosa potrebbe cambiare, visto che le nostre autorità non sono in grado di poter effettuare accertamenti fiscali in quei luoghi?

Non è un caso che agli stranieri venga richiesta la (quasi impossibile da ottenere) certificazione consolare. Senza ulteriormente considerare che, se i due istanti avessero avuto il codice fiscale, da questo si sarebbe potuto ricavare solo lo Stato di nascita: ai sensi del d.m. 345 del 1976, che definisce i criteri di determinazione del codice, per gli stranieri il codice fiscale riporta quattro cifre che identificano unicamente lo stato, non invece la città di nascita, come avviene per chi è nato in Italia ed è cittadino.

La circostanza, inoltre, che l’art. 6 sia stato indicato dalla Corte costituzionale non vincola l’interprete. Si tratta di un’ordinanza che dichiara manifestamente infondata una questione di legittimità costituzionale (provvedimento privo di valore erga omnes), la cui ratio decidendi deve essere individuata nell’assenza di necessità dell’indicazione del codice fiscale da parte di chi non lo possiede, rispetto alla quale il riferimento agli artt. 4 e 6 del d.P.R. n. 603 del 1973 appare avere un valore esemplificativo.

C’è ancora una considerazione da fare. La sequenza in cui i due dinieghi sono arrivati (un giorno dietro l’altro), a fronte di numerosissime istanze di tenore analogo che sono sempre state accolte, l’utilizzo di argomenti simili, se non identici, in due provvedimenti di due uffici giudiziari diversi, induce a pensare che si trattasse di una questione dibattuta di recente in seno alla Magistratura.

La preoccupazione non è rispetto ai due casi di diniego.

Poco male, si ripresenterà l’istanza con l’indicazione di un qualche domicilio (l’ultimo effettivo, il luogo di nascita, quello dei genitori, di qualche parente, ecc. non saprei) oppure si specificherà che lo straniero che vive da anni in Italia ormai non ha più residenza e domicilio all’estero.

La sensazione però è che si cerchi di limitare il più possibile il ricorso al gratuito patrocinio. Lo si fa per un’esigenza comprensibile, quella di contenere in qualche modo la spesa pubblica. Ma il timore è che oggi manchi l’indicazione di un domicilio, domani un qualche altro requisito di forma altrettanto irrilevante. In un crescendo di ostacoli formali che gli avvocati sono oramai costretti a superare per tutelare i propri assistiti (si pensi all’elezione di domicilio per l’appello oppure il deposito degli atti mediante portale). Ostacoli che rendono ancora più difficile l’accesso ad un effettivo diritto di difesa che è sacralmente sancito da quella Costituzione che la Magistratura, ogni giorno, si impegna a far rispettare. A tutto svantaggio di sacche di popolazione che, come nei due casi citati, si trovano ai margini della società. Composte da persone deboli e maggiormente bisognose di protezione. Una situazione rispetto alla quale viene da pensare che… piove sempre sul bagnato.