La Cassazione sezione 6 con la sentenza numero 13341 depositata il 2 aprile 2024 ha stabilito che è configurabile l’esercizio abusivo della professione per chi svolge attività stragiudiziale senza essere regolarmente iscritto all’albo ed è del tutto irrilevante che faccia parte del team di uno studio legale.
La Suprema Corte premette che l’art. 348, punisce il reato di abusivo esercizio di una professione, ha natura di norma penale in bianco, in quanto presuppone l’esistenza di altre disposizioni, integrative del precetto penale, che definiscono l’area oltre la quale non è consentito l’esercizio di determinate professioni: l’errore su tali norme, costituendo errore parificabile a quello ricadente sulla norma penale, non ha valore scriminante in base all’art. 47 (Sez. 6, 6129/2019).
Esercizio abusivo della professione: la norma
L’articolo 348 Codice penale rubricato “esercizio abusivo della professione” prevede che “Chiunque abusivamente esercita una professione, per la quale è richiesta una speciale abilitazione dello Stato, è punito con la reclusione fino a sei mesi o con la multa da euro 103 a euro 516”.
Nel caso esaminato dalla Suprema Corte, sez. VI, n. 13341/2024, la persona ha avuto numerosi contatti non solo telefonici o epistolari con controparti e colleghi in tema di recupero crediti ed ha coadiuvato la redazione di ricorsi per decreto ingiuntivo.
La Corte di appello di Venezia confermava la sentenza di condanna per l’art. 348 c.p.
La difesa ricorreva in cassazione e contestava la erronea applicazione della legge penale (artt. 348 cod. pen. e 2, commi 5 e 6, della legge n. 247 del 2012), poiché l’imputato non ha posto in essere alcun atto tipico della professione forense e non ha esercitato attività professionale tipica in un contesto di continuità, sistematicità e organizzazione.
In merito alla condotta ascritta la Suprema Corte richiama il precedente sentenza n. 1931/2021: “il ricorrente, dunque, ha compiuto un atto tipico ed esclusivo riservato alla professione forense, per nulla riconducibile ad un’attività di consulenza legale, che – in base anche alle disposizioni della legge n. 247 del 2012 – esula dagli atti tipici della professione se non svolta in modo continuativo”.
In proposito si enuncia il principio espresso dalla Cassazione in una fattispecie analoga a quella di cui si tratta, secondo il quale costituisce esercizio abusivo della professione legale lo svolgimento dell’attività riservata al professionista iscritto nell’albo degli avvocati, anche nel caso in cui l’agente, abbia fatto firmare l’atto tipico, da lui predisposto, da un legale abilitato: diversamente opinando, risulterebbe vanificato “il principio della generale riserva riferita alla professione in quanto tale, con correlativo tradimento dell’affidamento dei terzi, laddove fosse ritenuto sufficiente un siffatto banale escamotage per consentire ad un soggetto non abilitato di operare in un settore attribuito in via esclusiva a una determinata professione” (così Sez. 6, n. 52888 del 07/10/2016, Rv. 268581; da ultimo, nello stesso senso, v. Sez. 7, n. 29492 del 09/09/2020).
Allo stesso tempo, prosegue la cassazione: “i giudici di merito hanno correttamente ritenuto la rilevanza penale di quel solo atto, in quanto, secondo il diritto vivente, il delitto previsto dall’art. 348 cod. pen., avendo natura istantanea, non esige un’attività continuativa od organizzata, ma si perfeziona con il compimento anche di un solo atto tipico o proprio della professione abusivamente esercitata”.
Principio confermato dalle seguenti pronunce (Sez. 2, n. 26113 del 07/05/2019, Rv. 276657; Sez. 5, n. 24283 del 26/02/2015; Rv. 263905; Sez. 6, n. 11493 del 21/10/2013, dep. 2014, Rv. 259490; Sez. 6, n. 30068 del 02/07/2012, Rv. 253272; Sez. 2, n. 43328 del 15/11/2011, Rv. 251376).
