Mendacio e frequentazioni ambigue: quando non sono ostative al riconoscimento dell’ingiusta detenzione (di Riccardo Radi)

La Cassazione sezione 4 con la sentenza numero 11578/2024 è tornata ad occuparsi di ingiusta detenzione e del diritto dell’indagato di rendere dichiarazioni menzognere in sede di interrogatorio senza che l’esercizio di questo diritto sia ostativo al riconoscimento dell’indennizzo per la carcerazione ingiustamente subita. 

Fatto

La Corte di appello di Roma con ordinanza del 19 maggio – 13 giugno 2023 ha rigettato la richiesta di riparazione per ingiusta detenzione avanzata nell’interesse di M.T., che è stato ristretto in custodia cautelare in carcere dal 18 luglio 2019 al 25 settembre 2020, in esecuzione di ordinanza del G.i.p. del Tribunale di Roma dell’8 luglio 2019, in relazione alle accuse di concorso nei reati di lesioni volontarie in danno di V.L., cui è stato procurato con un coltello uno sfregio permanente al viso, e di incendio volontario alla casa di V.L..

Condannato il 5 dicembre 2019 in primo grado, all’esito del giudizio abbreviato, alla pena di cinque anni di reclusione, è stato invece assolto dalla Corte di appello di Roma, per non avere commesso il fatto, con sentenza del 25 settembre 2020, divenuta irrevocabile.

Ricorre per la cassazione dell’ordinanza M.T., tramite Difensore di fiducia, affidandosi ad un unico, complessivo, motivo con il quale, riassunti gli antefatti, denunzia promiscuamente violazione di legge e vizio di motivazione.

In primo luogo, rammenta avere l’imputato risposto all’interrogatorio il 22 luglio 2019, proclamandosi estraneo ai fatti e fornendo una dettagliata ricostruzione dei propri spostamenti il giorno dei fatti.

Richiama, poi, la motivazione reiettiva, che è incentrata su di un duplice argomento: da un lato, si valorizza un comportamento ritenuto ambiguo, avere cioè T. assiduamente frequentato il pregiudicato A.F. e dall’altro, si sottolinea il mendacio, avendo – si ritiene – T. mentito in sede di interrogatorio.

Decisione

La Suprema Corte premette che l’ordinanza impugnata è fondata su un duplice ordine di ragioni: la – ritenuta – menzogna e le frequentazioni ambigue dell’imputato.

Quanto al primo tema, la critica svolta al riguardo coglie nel segno.

In effetti, la Corte territoriale non chiarisce se il mendacio sia già stato ritenuto tale dai Giudici della cautela o della cognizione ovvero se si tratti di una valutazione propria del Giudice della riparazione.

Si tratta di aspetto necessariamente da puntualizzare.

In ogni caso, premesso che, in linea di principio, “In tema di riparazione per l’ingiusta detenzione, il mendacio dell’indagato in sede di interrogatorio, ove causalmente rilevante sulla determinazione cautelare, incide sull’accertamento dell’eventuale colpa grave ostativa al riconoscimento del diritto alla riparazione anche a seguito della modifica dell’art. 314 cod. proc. pen. ad opera dell’art. 4, comma 4, lett. b), d.lgs. 8 novembre 2021, n. 188, posto che la falsa prospettazione di situazioni, fatti o comportamenti non è condotta assimilabile al silenzio serbato nell’esercizio della facoltà difensiva prevista dall’art. 64, comma 3, lett. b) cod. proc. pen.”, nondimeno nel caso di specie la motivazione dell’ordinanza non spiega l’esistenza di un nesso di causalità tra il – ritenuto – mendacio, ove esistente, ed il protrarsi della misura cautelare, non potendo evidentemente avere causato l’emissione della misura (eseguita il 18 luglio 2019, p. 2 del provvedimento impugnato) dichiarazioni rese dopo l’arresto (l’interrogatorio è avvenuto il 22 luglio 2019.

Infatti, occorre valutare se il mendacio sia risultato in concreto sinergico o meno all’emissione del provvedimento di cautela ovvero al suo mantenimento (cfr. Sez. 4, n. 27533 del 27/05/2008, Rv. 240891; Sez. 4, n. 24374 del 27/04/2006, Rv. 234574). Nesso di causalità che non risulta adeguatamente illustrato nemmeno quanto al secondo aspetto messo in rilievo dalla Corte territoriale ossia quello delle frequentazioni ambigue.

Infatti, è necessario, ad avviso della Suprema Corte, dare continuità al principio di diritto secondo il quale “In tema di riparazione per ingiusta detenzione, le “frequentazioni ambigue” con soggetti condannati nel medesimo o in diverso procedimento sono ostative al risarcimento, quale comportamento gravemente colposo del richiedente ai sensi dell’art. 314 cod. proc. pen., a condizione che emerga, quanto meno, una concausalità rispetto all’adozione, nei suoi confronti, del provvedimento applicativo della custodia cautelare”.

Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto immune da censure la decisione che aveva escluso la ravvisabilità della colpa grave in una telefonata intercorsa tra il richiedente e un soggetto imputato del medesimo reato in un diverso procedimento, in quanto relativa ad attività criminale diversa da quella per cui il primo era stato assolto)» (Sez. 4, n. 850 del 28/09/2021, dep. 2022, Rv. 282565) e “In tema di riparazione per l’ingiusta detenzione, la condizione ostativa al riconoscimento del diritto all’indennizzo, rappresentata dall’avere il richiedente dato causa all’ingiusta carcerazione, può essere integrata anche da comportamenti quali le frequentazioni ambigue con i soggetti condannati nel medesimo procedimento, purché il giudice della riparazione fornisca adeguata motivazione della loro oggettiva idoneità ad essere interpretate come indizi di complicità, in rapporto al tipo e alla qualità dei collegamenti con tali persone, così da essere poste quanto meno in una relazione di concausalità con il provvedimento restrittivo adottato”.

Fattispecie in tema di rapina, in cui la Suprema Corte ha annullato con rinvio l’impugnata ordinanza che aveva omesso di esplicitare le ragioni per le quali le frequentazioni del ricorrente con alcuni dei rapinatori avessero concorso nel determinare la detenzione (Sez. 4, n. 53361 del 21/11/2018, Rv. 2374498).

Ricordiamo che la medesima sezione della cassazione con la sentenza numero 6321/2024 ha evidenziato che in tema di riparazione per l’ingiusta detenzione, a seguito della modifica dell’art. 314 cod. proc. pen. ad opera dell’art. 4, comma 1, lett. b), d.lgs. 8 novembre 2021, n. 188, non integra ipotesi di dichiarazione mendace o menzognera dell’indagato, ostativa al riconoscimento del beneficio perché sintomatica di colpa grave, la mera negazione, in sede di interrogatorio, della veridicità degli elementi di accusa o l’affermazione di estraneità agli addebiti, costituendo esse espressione del legittimo esercizio del diritto di difesa.

Il confine sembra labile perché la Suprema Corte in altra sentenza ha affermato che (cassazione penale sezione IV con la sentenza n. 10023/2022), alla luce della recente novità normativa (d.lgs. n. 188 dell’8/11/2021, in vigore dal 14 dicembre 2021), in sede di interrogatorio di garanzia il silenzio serbato dall’indagato/imputato non incide sul diritto all’indennizzo ma non è così nel caso di dichiarazioni mendaci.

Dal silenzio alla “dichiarazione mendace” c’è un mare che a nostro modesto avviso non sposta il punto cruciale della questione ben sottolineata dall’ultima sentenza in commento, la carcerazione è stata determinata dalle indagini errate o valutate frettolosamente o dalle dichiarazioni successive (anche mendaci) in sede di interrogatorio di garanzia?

Le dichiarazioni mendaci hanno avuto incidenza sul protrarsi della misura cautelare?

Il punto nodale è solo questo ma molti non intendono comprenderlo ed allora sotto con distinguo e capziosi ragionamenti per negare l’indennizzo.