Aziende e imprese: indagini interne e decorrenza del termine per presentare querela (di Riccardo Radi)

La Cassazione sezione 2 con la sentenza numero 10934/2024 ha stabilito che in tema di indagini interne in ambito aziendale la decorrenza del termine per proporre querela decorre non dall’inizio dell’attività ispettiva ma dalla loro conclusione.

Nell’ambito dell’attività ispettiva all’interno delle imprese e delle aziende, che spesso si concretizza con l’ausilio di investigatori privati, l’iniziale sospetto verso un dipendente non è rilevante ai fini del decorso del tempo per presentare querela.

In quanto sono inapplicabili alle indagini interne le garanzie di cui all’art. 220 disp. att. c.p.p., secondo cui “quando nel corso di attività ispettive o di vigilanza previste da leggi o decreti emergono indizi di reato, gli atti necessari per assicurare le fonti di prova e raccogliere quant’altro possa servire per l’applicazione della legge penale sono compiuti con l’osservanza delle disposizioni del codice”.

La Suprema Corte ha ribadito che, ai fini della decorrenza del termine per la querela, occorre che l’offeso abbia avuto conoscenza precisa, certa e diretta del fatto delittuoso, così da possedere tutti gli elementi di valutazione onde determinarsi.

Qualora vengano svolti accertamenti indispensabili a tali fini, il termine decorre non dal momento in cui si viene a conoscenza del fatto oggettivo del reato né da quello in cui, sulla base di semplici sospetti, si indirizzano le indagini verso una determinata persona, ma dall’esito di tali indagini (il che comporta che sulla persona offesa grava un onere di accertamento in ordine ai termini concreti della vicenda, che va soddisfatto in vista di un tempestivo esercizio del diritto di querela).

Alla luce di tali principi, la cassazione ha definito “manifestamente infondata” la linea difensiva basata sulla tardiva contestazione dell’attività di indagine interna e sulla anteriore conoscibilità (nell’intranet aziendale) della vicenda: a parte il fatto che mai viene detto a quando risale la conoscenza effettiva (limitandosi a sostenerne l’anteriorità), è corretta la valutazione del giudice che ha ritenuto la contestazione parte (ultima) del processo di accertamento, in quanto diretto a ricevere la versione della persona offesa prima di procedere (eventualmente) alla denuncia.

Infine, la Suprema Corte ha ribadito la tesi della inapplicabilità, alle indagini interne condotte nell’ambito di attività ispettive, dell’art. 220 disp. att. c.p.p.

Affinché si applichino tali cautele, è necessaria non solo la previsione legislativa o regolamentare dei relativi poteri di indagine ma anche, e soprattutto, la natura pubblicistica del rapporto tra dichiarante ed esercente la funzione (o comunque la natura non esclusivamente privatistica dell’esercizio della funzione).

È indiscusso che il rapporto tra l’imputata e la parte civile si esaurisse in ambito privatistico e che gli accertamenti interni non avessero alcun rilievo che andasse al di là della verifica di circostanze specifiche di natura contabile.

In altre parole, gli accertamenti non costituivano oggetto di una indagine penale né amministrativa (ossia esercitata da una pubblica autorità amministrativa) ma solamente preludevano alle scelte inerenti alla (eventuale) presentazione di querela nonché alla prosecuzione del rapporto di lavoro.