Relazione per l’anno 2023 del Presidente della Corte costituzionale: la Costituzione è di tutti, non solo dei custodi (di Vincenzo Giglio e Riccardo Radi)

Il 18 marzo 2024, nel Palazzo della Consulta, Augusto Antonio Barbera, presidente della Corte costituzionale, ha relazionato (il testo è allegato alla fine del post) sull’attività di questa per l’anno 2023.

Molteplici gli spunti interessanti, non privi qua e là di qualche venatura polemica che evidenziamo qui per sintesi, con le stesse parole del relatore.

I neretti sono nostri.

Riduzione delle questioni di legittimità costituzionale in via incidentale

Vi è stato – è vero – un lieve incremento numerico delle ordinanze di rimessione nel 2023 – salgono infatti da 160 a 170 – ma esse restano largamente inferiori alla media sulla quale si erano attestate negli anni tra il 2009 e il 2013; media che ha subito una costante decrescita negli anni successivi. Ci si può chiedere: una simile flessione corrisponde ad un effettivo allentamento delle problematiche costituzionali poste all’attenzione delle magistrature?  Non è così; anzi, tali problematiche appaiono più vive che mai sotto l’effetto di molteplici spinte politiche e sociali, sulle quali non è questa la sede per soffermarsi. Piuttosto – questa mi pare la motivazione plausibile – è possibile riscontrare la formazione di orientamenti di giurisprudenza, più o meno episodici, che, attraverso una attività interpretativa orientata direttamente ai valori costituzionali (o ritenuti tali), finiscono per risolversi in una più o meno grave disapplicazione di disposizioni legislative, persino da parte di giurisdizioni superiori. Si può comprendere (ma non giustificare) che il giudice avverta l’esigenza di approntare una risposta, la più rapida ed efficace possibile, a fronte di assetti normativi reputati in contrasto con la Costituzione, e, più specificamente, di offrire una tutela ai diritti inviolabili che essa riconosce.

Si tratta, però, di una risposta incompatibile con la Costituzione stessa. Infatti – ricordo brevemente – l’Assemblea costituente, dopo avere scartato il modello nordamericano della giurisdizione “diffusa”, ha voluto seguire la via del sindacato accentrato, con effetti erga omnes delle sue decisioni; ciò anche a garanzia della “prevedibilità e certezza del diritto costituzionale”.

L’ordinamento costituzionale e il ruolo del Parlamento

La Costituzione del ’48 è, nel complesso, soprattutto per quanto riguarda i principi, tuttora robusta, perché il suo è un testo che il Costituente ha voluto “eclettico”, “inclusivo”, “a virtualità multiple”. […] Peraltro, la nostra Carta non ha smesso di esprimere la sua vitalità anche in momenti successivi al tramonto dei partiti dell’arco costituzionale che ad essa avevano dato vita e che per decenni l’hanno sostenuta. 

Tali virtualità inducono a leggere la Carta costituzionale non come testo “separato” bensì come parte irradiante di un più ampio “ordinamento costituzionale”; ordinamento alimentato dalla “base materiale” su cui il testo poggia e che è in continua evoluzione. 

Questa base è rappresentata da un ricco tessuto sociale, politico e culturale, quale interpretata dai giudici, ma anche – lo sottolineo – dalla rete delle Assemblee elettive.  In un sistema costituzionale fondato sulla separazione dei poteri, al rigoroso rispetto delle decisioni delle magistrature deve corrispondere l’altrettanto rilevante rispetto delle decisioni delle sedi parlamentari, espressioni della sovranità popolare.

Non mi riferisco alle singole deliberazioni legislative delle Camere.  […] Mi riferisco, invece, al più ampio ruolo del Parlamento nel cogliere le pulsioni evolutive della società pluralista, con le quali la Costituzione respira; pulsioni necessarie per adattarsi al continuo divenire della realtà.  È anche in questa chiave che va letto il coinvolgimento del legislatore che questa Corte sollecita nell’assunzione di scelte che necessariamente richiedono una lettura dei parametri costituzionali non strettamente testuale, “non originalista”.  Lo dico in sintesi: questa Corte è chiamata ad essere “custode della Costituzione”, ma è tenuta ad essere altrettanto attenta a non costruire, con i soli strumenti dell’interpretazione, una fragile “Costituzione dei custodi”.

Del resto importanti innovazioni nella storia della Repubblica – si pensi alla disciplina dell’interruzione della gravidanza o a quella delle unioni civili – sono state il frutto del concorso di rilevanti pronunce della Corte costituzionale (rispettivamente sentenze n. 27 del 1975 e n. 170 del 2014), a cui hanno fatto seguito non meno significative decisioni legislative, che hanno visto ampiamente coinvolta la rappresentanza popolare (rispettivamente la legge n. 194 del 1978 e la legge n. 76 del 2016). Tale convergenza si è resa virtuosa proprio perché in questi ambiti la lettera della Costituzione non indicava una soluzione univoca. In assenza, però, di tale convergenza e a fronte di una eventuale persistente inerzia legislativa, la Corte, in collaborazione con i giudici comuni nel senso precisato, non può tuttavia rinunciare al proprio ruolo di garanzia, che include anche il compito di accertare e dichiarare i diritti fondamentali reclamati da una “coscienza sociale” in costante evoluzione.

La tipologia delle decisioni

Solo per sintetizzare: dai moniti si è passati alle sentenze additive di principio; dalle pronunce di inammissibilità per discrezionalità legislativa si è passati all’incostituzionalità prospettata, ma non dichiarata, o, in modo ancora più penetrante, alle decisioni a incostituzionalità differita.  Queste ultime, accertato il vulnus costituzionale e paralizzata l’applicazione giudiziale della disposizione che ne è colpita, rinviano la trattazione della causa a data certa, proprio nel rispetto della sfera dell’intervento riparatore delle Camere (ordinanza n. 207 del 2018, resa nel cosiddetto caso Cappato; poi, ordinanze n. 97 del 2021 e n. 132 del 2020) […]

Alla luce di ciò, non si può non manifestare un certo rammarico per il fatto che nei casi più significativi il legislatore non sia intervenuto, rinunciando ad una prerogativa che ad esso compete, obbligando questa Corte a procedere con una propria e autonoma soluzione, inevitabile in forza dell’imperativo di osservare la Costituzione. È con questo spirito che auspico sia un intervento del legislatore che dia seguito alla sentenza n. 242 del 2019 (il cosiddetto caso Cappato), sul fine vita, sia un intervento che tenga conto del monito relativo alla condizione anagrafica dei figli di coppie dello stesso sesso (come già auspicato nelle due sentenze n. 32 e n. 33 del 2021). In entrambi i casi il silenzio del legislatore sta portando, nel primo, a numerose supplenze delle assemblee regionali; nel secondo, al disordinato e contraddittorio intervento dei Sindaci preposti ai registri dell’anagrafe.

Sulla composizione della Corte

Passo ad un ultimo punto. La scelta del Costituente in ordine ai criteri di composizione della Corte si è rivelata particolarmente felice, garantendo l’apporto di competenze ed esperienze tutte ugualmente fruttuose. Le previsioni costituzionali assicurano efficacemente accanto al pluralismo, l’indipendenza della Corte. Quest’ultima non rischia di essere minata da contingenti vicende politiche, sia in ragione della diversificazione dei canali di accesso, sia alla luce dell’ampia maggioranza richiesta per l’elezione dei giudici di estrazione parlamentare, sia per il divieto di rielezione. E ciò a differenza di quanto previsto per la composizione di altre Corti europee, talvolta – tengo a sottolinearlo – impropriamente accostate a quella italiana. In questo quadro mi sia consentito rivolgere un invito alle Camere, affinché, ormai esaurite le prime due votazioni, provvedano nel più breve tempo a questo adempimento. A tale proposito, non è superfluo ricordare che l’apporto di ciascun giudice è essenziale per il buon esito del giudizio costituzionale, fondato sulla piena collegialità.  Divenuto Giudice costituzionale, sono rimasto colpito dalla intensità con la quale la collegialità permea la vita della Corte, al punto che non vi è aspetto di una decisione (ivi comprese le più minute espressioni grammaticali e lessicali!) che non sia stato oggetto di confronto meditato tra ciascuno di noi.  La stesura di una pronuncia costituzionale, e le sue successive lettura e approvazione, rifuggono da ogni logica pregiudiziale: le maggioranze nel Collegio si formano e si scompongono di volta in volta, al di là delle provenienze, al di là delle rispettive culture politiche.

Il nostro commento

La relazione del Presidente Barbera è una rivendicazione orgogliosa dell’autonomia della Consulta e della sua centralità nella vita democratica del Paese.

La riteniamo particolarmente apprezzabile nei suoi richiami, distribuiti equamente tra gli altri due protagonisti della funzione latamente normativa (potere legislativo e potere giudiziario), alla valorizzazione della Carta costituzionale, alla cooperazione perché se ne realizzino compiutamente i principi, alla ripulsa di indebiti protagonismi da un lato e di inerzie dall’altro.