La Cassazione sezione 2 con la sentenza numero 3742/2024 ha stabilito che in tema di possesso ingiustificato di chiavi alterate o di grimaldelli, non sussiste un limite temporale entro cui l’imputato, per andare esente da penale responsabilità, deve fornire la prova che gli oggetti rinvenuti nella sua disponibilità sono destinati ad uso legittimo, non essendogli preclusa un’utile deduzione difensiva successiva al momento della sorpresa in flagranza, fermo restando, in tal caso, l’obbligo del giudice di verificare la giustificazione tardiva, in quanto essa deve ritenersi inidonea ove non concretamente verificabile.
L’art. 707 cod. pen. prevede che “chiunque, essendo stato condannato per delitti determinati da motivi di lucro, o per contravvenzioni concernenti la prevenzione di delitti contro il patrimonio, è colto in possesso di chiavi alterate o contraffatte, ovvero di chiavi genuine o di strumenti atti ad aprire o a sforzare serrature, dei quali non giustifichi l’attuale destinazione, è punito con l’arresto da sei mesi a due anni”.
Dal testo di tale disposizione si ricava perciò che, in presenza del dato soggettivo costituito dalle menzionate qualità personali dell’agente (l’essere stato condannato in via definitiva per delitti determinati da motivi di lucro o per contravvenzioni concernenti la prevenzione di delitti contro il patrimonio) e del dato oggettivo costituito dal possesso dei menzionati oggetti (chiavi alterate o contraffatte, ovvero chiavi genuine o strumenti atti ad aprire o a sforzare serrature), la prova della giustificazione attuale e lecita degli stessi deve essere fornita dall’imputato, essendo la pubblica accusa esente dall’onere di dare la prova della destinazione illecita dei medesimi.
Dalla stessa disposizione si desume altresì che, per pervenire a una pronuncia assolutoria, è necessaria la prova piena che l’agente, nel momento in cui venne sorpreso in possesso degli oggetti in considerazione, aveva la necessità o, comunque, un giusto motivo di portarli con sé per servirsene, o per essersene poco prima servito, per un uso legittimo.
In proposito, la cassazione ha affermato il principio secondo cui, in tema di possesso ingiustificato di arnesi atti allo scasso, previsto dall’art. 707 cod. pen., è sufficiente, ai fini della configurabilità del reato, il suddetto possesso o la loro immediata disponibilità, incombendo all’imputato l’obbligo di dare una seria giustificazione della destinazione attuale e lecita degli strumenti rinvenuti presso di lui (Sez. 2, n. 52523 del 03/11/2016, Rv. 268410-01; Sez. 5, n. 1304 del 14/11/1985, dep. 1986, Rv. 171854-01; Sez. 5, n. 8315 del 06/06/1984, Rv. 166010-01; Sez. 6, n. 478 del 01/12/1971, Rv. 119942-01).
Ciò posto, la questione che viene qui in rilievo attiene alle modalità di assolvimento di tale onere probatorio dell’imputato, con particolare riguardo al momento in cui egli deve fornire la giustificazione che è prevista dalla norma incriminatrice ai fini dell’esclusione della rilevanza penale del fatto.
Si tratta, in specie, di stabilire se tale giustificazione possa essere fornita solo immediatamente, cioè al momento della sorpresa “in flagranza” da parte dei verbalizzanti (quando l’agente «è colto in possesso»), o possa essere fornita anche in un momento successivo.
Con riguardo a tale questione, la Corte territoriale ha fatto propria la tesi secondo cui la giustificazione de qua «deve essere res[a] nell’immediatezza del controllo e contestualmente verificabile dagli operanti».
Tale tesi si pone peraltro in contrasto con l’opposto orientamento della Corte di cassazione secondo cui la disposizione di cui all’art. 707 cod. pen. pone a carico del detentore – per le sue qualità personali – l’onere di dare la prova che gli oggetti rinvenuti in suo possesso sono destinati ad un uso legittimo, ma non fissa alcun limite temporale entro il quale tale giustificazione deve essere fornita né tantomeno richiede che ciò possa legittimamente avvenire solo al momento della sorpresa in flagranza, come se fosse preclusa qualsiasi possibilità di successiva utile deduzione difensiva; è sempre compito del giudice di merito, infatti, valutare se la prova della legittimità della detenzione degli oggetti predetti, comunque fornita, sia stata o meno raggiunta e, specialmente nelle ipotesi di tardiva discolpa, motivare adeguatamente le ragioni del suo convincimento (Sez. 2, n. 6929 del 14/06/1996, Rv. 205411-01.
Nello stesso senso, successivamente: Sez. 2, n. 4436 del 24/11/2021, dep. 2022, non massimata).
Tuttavia, con riguardo a tale orientamento, la cassazione nella sentenza in commento ha precisato che, affinché possa valere a integrare la necessaria prova piena di cui si è detto, la giustificazione “tardiva” (rispetto al momento della sorpresa “in flagranza“) – pur possibile e legittima, nell’esercizio del diritto di difesa dell’imputato – debba essere resa dallo stesso imputato in un momento in cui ne sia ancora possibile la verifica, nel senso della possibilità di verificare che, in quel momento in cui l’agente fu colto in possesso dell’arnese da scasso, esso fosse effettivamente destinato, o fosse stato poco prima effettivamente destinato, a un uso legittimo.
Tale possibilità di verifica è infatti necessaria, tenuto conto del fatto che l’imputato, diversamente dal testimone, non ha l’obbligo di dire la verità, ma ha anzi il diritto, oltre che di tacere, anche di mentire nel processo, senza che da ciò possano derivargli conseguenze negative.
Si deve pertanto ritenere che una spiegazione “tardiva“, se resa dall’imputato in un momento in cui essa non è più verificabile, nei termini che si sono detti, non è in sé idonea a integrare la giustificazione richiesta dall’art. 707 cod. pen. al fine di escludere la rilevanza penale del possesso degli oggetti (idonei ad aprire o a sforzare serrature) che sono indicati nello stesso articolo.
La Cassazione ha ritenuto di sottolineare che, poiché, come si è ricordato, la giustificazione del possesso di tali strumenti deve essere relativa alla loro “attuale destinazione”, all’imputato è richiesto di spiegare a cosa gli servissero quegli strumenti nel momento in cui fu fermato e non di dare una spiegazione (quand’anche plausibile) sull’utilizzo che, in genere, veniva fatto degli stessi strumenti, con la conseguenza che il semplice fatto di svolgere un’attività lavorativa che, in astratto, può giustificare l’uso di un determinato strumento non ne rende lecito il porto al di fuori dei casi di immediata utilizzazione dello stesso in detta attività (Sez. 2, n. 52523 del 03/11/2016, cit.).
