Un po’ di “detersivo” contro la noia della professione forense: la vita pericolosa del difensore che chiede un rinvio (di Vincenzo Giglio)

Anni fa sentii dire a qualcuno che ogni tanto ci vuole un po’ di “detersivo” perché è brutto e noioso fare sempre le stesse cose.

Aveva ragione, ci vuole.

Ecco perché per una volta, piuttosto che partire dalla decisione di turno della Corte di cassazione, ribalto la prospettiva e racconto la storia dal punto di vista dei suoi sfortunati protagonisti (un imputato e il suo difensore) e chi ha la pazienza di leggere fino alla fine troverà il “detersivo”, eccome se lo troverà.

Il primo – lo chiamerò Tizio – è stato ritenuto responsabile in entrambi i gradi di merito di tentato furto aggravato e condannato ad una certa pena.

Il secondo – ovviamente Caio – è il suo difensore.

Il 28 febbraio del 2023 era prevista l’udienza in appello e Caio aveva presentato previamente un’istanza di rinvio per legittimo impedimento professionale perché unico difensore di Tizio e perché impegnato altrove in difesa di imputati detenuti.

L’aveva spedita a mezzo PEC alla cancelleria della Corte d’appello ed era stata aperta, scaricata, stampata in versione cartacea e mostrata ai giudici d’appello alle ore 12.15.

Disgraziatamente, tuttavia, l’udienza era iniziata alle 10.25 e finita alle 10.45.

Quei 20 minuti erano bastati a trattare l’appello nell’interesse di Tizio ed emettere la sentenza di conferma sostanziale della decisione di primo grado.

Nel verbale di udienza non era menzionata l’istanza di rinvio perché il collegio ne avrebbe avuto conoscenza, come detto, ad udienza finita.

Se ne parlava invece nella motivazione, definendola intempestiva.

Caio ricorre per cassazione lamentando la violazione del diritto di difesa.

Entrano quindi in scena la Suprema Corte e la sua decisione, precisamente Cassazione penale, Sez. 4^, sentenza n. 8284/2024, udienza del 21 novembre 2023.

Ecco la risposta dei giudici di legittimità: “Occorre al riguardo rammentare che, ferma ormai la possibilità di impiego della posta elettronica per la comunicazione di un impedimento da parte del Difensore [segue la citazione di precedenti], ove la richiesta di rinvio non venga depositata in cancelleria ai sensi dell’art. 121 cod. proc. pen., ricade sul difensore l’onere di sincerarsi che la comunicazione sia giunta nella sfera del giudice, come ha già affermato la giurisprudenza di legittimità [segue un altro precedente]. Non essendo stata effettuata siffatta verifica, deve escludersi che nel caso di specie l’esistenza dell’impedimento fosse nota al Tribunale nel momento in cui ha dichiarato aperto il dibattimento e ammesso le prove richieste dalle parti. Con la conseguenza che nessuna nullità può essere ipotizzata in proposito, mancando la comunicazione dell’impedimento, circostanza che impedisce al giudice di procedere ex art. 420 cod. proc. pen. [seguono altri precedenti].

Segue un ulteriore periodo che l’estensore usa per spiegare che l’istanza, quand’anche fosse stata portata tempestivamente all’attenzione del collegio d’udienza, non sarebbe stata comunque accoglibile per tutte le altre ragioni ben chiarite nella giurisprudenza di legittimità.

Seguono, ovviamente, “la reiezione del ricorso” e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Come tutte le storie, anche questa deve avere la sua morale.

Metto da parte l’erroneo riferimento al Tribunale in fase di apertura del dibattimento e di ammissione delle prove, sicuramente dovuto a qualche piccola sbavatura nel copia e incolla.

Tralascio – credo legittimamente – le altre ragioni per cui l’istanza avrebbe potuto o dovuto essere rigettata sul presupposto che ogni argomento fa storia a sé e diventa massima e giurisprudenza a sé stanti.

Mi concentro quindi sul passaggio motivo citato sopra in corsivo e provo a tradurlo in linguaggio corrente.

Anche questa mio tentativo di traduzione lo evidenzio in corsivo.

D’accordo, ti abbiamo concesso la possibilità di parlare al giudice via PEC. Però non è proprio la stessa cosa del vecchio caro deposito fisico. Se vinci la pigrizia, muovi le “ciapet” (vernacolo settentrionale) e vai di persona in cancelleria, allora sei a posto. Se invece abbandoni la strada vecchia per la nuova, allora affronti tutti i rischi della novità e devi seguire passo passo il cammino prima digitale e poi fisico della tua PEC. In parola ancora più povere: passa la notte sveglio davanti al PC in attesa di qualsiasi segnale di allarme, la mattina presto ti precipiti in cancelleria, meglio se con qualche aiutante per seguire i movimenti di tutti i cancellieri potenzialmente incaricati di trasformare il digitale in carta, segui poi a distanza ravvicinatissima, quasi da corteggiamento, tutta questa gente in movimento, individui il corriere giusto, ti concentri su di lui, lo prendi a braccetto e insieme fate i pochi o molti passi per arrivare nella stanza del presidente del collegio; lì ti fermi rispettosamente fuori dalla porta ma è tuo onere origliare per comprendere se la carta sia arrivata nella sfera del destinatario, e se vuoi sapere cosa significa sfera, non sono certo io che te lo devo spiegare, io sono la Cassazione e non ho tempo da perdere“.

E questa è la storia con tutta la sua morale e anche il “detersivo”.