Il 1° marzo prossimo inizierà il procedimento di revisione avanti la Corte di appello di Brescia per il caso giudiziario indicato come la strage di “Erba” che vede Olindo Romano e Rosa Bazzi condannati all’ergastolo.
Segnaliamo ai lettori che la richiesta di revisione potrebbe essere dichiarata inammissibile anche all’esito della fase cosiddetta “rescissoria” e quindi dopo l’esame di eventuali testimoni e l’acquisizione di documenti.
La revisione è un mezzo d’impugnazione straordinario che tende a rimuovere il giudicato, vale a dire a revocare una sentenza irrevocabile emessa all’esito di un percorso giudiziario già concluso (nel caso in esame, tre gradi di giudizio, compreso quello di legittimità.
Deve essere, quindi, anzitutto espletata una fase rescindente, tesa a valutare l’ammissibilità in astratto dell’istanza di revisione, e poi, qualora tale vaglio si concluda con esito positivo, si perviene alla fase rescissoria, vale a dire quella durante la quale, tenuto conto delle prove già raccolte nel procedimento penale genetico, vengono raccolte le nuove prove (qualora ve ne siano) e comunque si procede al dibattimento, seguito dalla discussione.
Ciò non comporta automaticamente l’accoglimento dell’istanza di revisione, che consolidata giurisprudenza della Suprema Corte ritiene potersi dichiarare inammissibile anche all’esito della fase rescissoria, ed anche se in quest’ultima si sia proceduto a sentire testimoni ed acquisire documenti (cfr., ex pluribus, Cass. pen. n. 23625 del 2016).
Ricordiamo la recente cassazione sezione 2 numero 24306/2023 che ha ribadito la legittimità della dichiarazione di inammissibilità dell’istanza di revisione intervenuta, dopo l’emissione del decreto di citazione a giudizio, ma prima dell’avvio del dibattimento.
Sul punto si registra una autorevole decisione delle Sezioni Unite secondo cui l’inammissibilità della richiesta di revisione può essere dichiarata, oltre che con l’ordinanza prevista dall’art. 634 cod. proc. pen., anche con sentenza, successivamente all’instaurazione del giudizio di revisione ai sensi dell’art. 636 cod. proc. pen..
Segnatamente, si è affermato che sebbene il processo di revisione si sviluppi di regola in due fasi, l’una rescindente – nel corso della quale si valuta de plano l’ammissibilità dell’istanza -, e l’altra rescissoria – che prevede lo sviluppo del processo di revisione -, tuttavia, anche dopo la notifica del decreto di citazione a giudizio, è consentito alla Corte d’appello “rivalutare” le condizioni di ammissibilità dell’istanza e, dunque, respingerla senza dare corso al giudizio sul merito (Sez. U. n. 18 del 10/12/1997, dep. 2018, Pisco, Rv. 210040)
Le Sezioni unite hanno chiarito che l’emissione del decreto di citazione non è necessaria quando ricorra una ipotesi di inammissibilità, il che peraltro, non sta a significare che ogni qualvolta sia stato emesso il decreto di citazione l’inammissibilità non possa essere dichiarata.
Infatti, ancorché siano tra loro diverse, le cause di inammissibilità della revisione – articolo 634 cod. proc. pen. – e le cause di inammissibilità dell’appello – articolo 601 cod. proc. pen., che rinvia all’articolo 591 dello stesso codice -, si, deve convenire che, essendo identico, nel suo insieme, il modello procedimentale prescelto per entrambi i mezzi di impugnazione, anche in tema di revisione si rende applicabile – mutatis mutandis – il disposto dell’articolo 591, comma 4, in base al quale, quando non è stata rilevata d’ufficio, prima dell’emissione del decreto di citazione a giudizio, l’inammissibilità può essere dichiarata in ogni stato e grado del procedimento” (cfr. anche Sez. 1, 19 novembre 1991; Sez. V, 17 maggio 1993, n. 7727)».
Quanto alla possibile dichiarazione della inammissibilità con “sentenza”, piuttosto che con “ordinanza”, si è poi affermato che non esiste «alcuna norma in base alla quale possa affermarsi che la pronuncia di inammissibilità di una impugnazione debba assumere necessariamente la forma dell’ordinanza e non quella della sentenza, dovendosi al contrario ritenere […] che sia da adottarsi l’una o l’altra di dette formule a seconda dello stato processuale in cui la decisione è assunta”» (Sez. U, n. 18 del 10/12/1997, cit.).
Si tratta di un percorso ermeneutico che ha trovato successive conferme nella giurisprudenza di legittimità (Sez. 2, n. 34773 del 17/05/2018, T., Rv. 273452; Sez. 3, n. 43573 del 30/09/2014, G, Rv. 260989) e che è stata autorevolmente ribadita anche dalle Sezioni unite, che hanno affermato che la norma di cui all’art.634 cod. proc. pen., secondo la quale la Corte di appello dichiara d’ufficio, con ordinanza, l’inammissibilità della relativa richiesta, qualora sia stata proposta fuori delle ipotesi previste dagli artt.629 e 630 cod. proc. pen. o senza l’osservanza delle disposizioni contenute negli artt.631, 632, 633 e 641 stesso codice, ovvero risulti manifestamente infondata, non preclude l’adozione della declaratoria, per i medesimi motivi, con la sentenza conclusiva del giudizio, una volta che questo sia stato disposto (Sez. U, n. 624 del 26/09/2001, dep.2002, Pisano, Rv. 220441 – 01)
Pertanto è pacifico che quando è emesso il decreto di citazione a giudizio in seguito ad una istanza di revisione, è consentito alla Corte di appello valutare, anche dopo l’emissione del decreto di citazione a giudizio, la sussistenza delle condizioni di ammissibilità della istanza.
L’inammissibilità dell’istanza di revisione può dunque essere dichiarata anche con le forme della “sentenza”.
