Misure cautelari nei confronti dell’indagato scarcerato: legittime sia per la permanenza delle originarie esigenze cautelari che per la sopravvenienza di nuove (di Vincenzo Giglio)

Cassazione penale, Sez. 5^, sentenza n. 4848/2024, udienza del 12 gennaio 2024, ha ribadito che, in tema di applicazione di altre misure cautelari nei confronti dell’indagato scarcerato per decorrenza dei termini, l’inciso contenuto nell’art. 307, comma 1, cod. proc. pen., che consente l’adozione di misure sostitutive “solo se sussistono le ragioni che avevano determinato la custodia cautelare”, va interpretato nel senso di ricomprendere tanto l’ipotesi della permanenza, in tutto o in parte, delle originarie esigenze cautelari, quanto quella della sopravvenienza di nuove esigenze, intervenute alla stessa data della scarcerazione o anche in epoca successiva (Cass. sez. 3, n. 16053 del 26/02/2019, Rv. 275398; sez. 6, n. 26458 del 12/03/2014, Rv. 259975; sez.6, n. 20897 del 10/04/2002, Rv. 222034).

L’art. 307 comma 1 c.p.p., prima delle modifiche apportate con il D. L. n. 341 del 2000, convertito nelle Legge n. 4 del 2001, faceva riferimento alla “permanenza” delle ragioni giustificative della custodia cautelare, ma la diversa formulazione, sostituendo il concetto di “permanenza” con quello più ampio di “sussistenza”, deve essere interpretata in ottica estensiva, ovvero riferita alla cristallizzazione di una situazione di fatto che in ogni caso imponga, al pari di quella iniziale, una tutela cautelare, sia pure ex lege suscettibile di essere garantita, stante la scadenza del termine della custodia, con misure attenuate, e tanto nel caso della persistenza, all’atto della scarcerazione, delle esigenze originarie, quanto nel caso in cui siano sopraggiunte esigenze ulteriori, intervenute coevamente o successivamente (sez. 3, n. 42359 del 11/07/2013, Rv. 256853).

Il provvedimento impugnato, con argomentazioni congrue, rispettose dei consolidati canoni interpretativi della giurisprudenza ed immuni da consentite critiche in sede di giudizio di Cassazione (cfr., per il principio generale espresso sui limiti del controllo di legittimità sui provvedimenti de libertate, Sez. 6, sent. n. 2146 del 25.05.1995, Rv. 201840), ha richiamato, in primo luogo, la ricorrenza delle esigenze cautelari sottese all’emanazione dell’ordinanza custodiale genetica in virtù del principio di “doppia presunzione”, di cui una, “assoluta”, in relazione al parametro dell’adeguatezza dell’adozione della misura inframuraria per i soggetti gravemente indiziati del delitto di cui all’art. 416 bis cod. pen., che non può essere di per sé intaccato dalla sentenza di annullamento con rinvio pronunziata dalla Corte di Cassazione nel giudizio principale (nel caso di specie per vizio di motivazione), ai sensi del disposto combinato degli artt. 624 bis, 626 e 303 comma 2 cod. proc. pen. (cfr. sez. 2, n. 13953 del 21/02/2020, Rv. 279146, secondo cui “all’annullamento da parte della

Cassazione della sentenza di appello non consegue automaticamente la cessazione della misura cautelare in atto, dovendosi interpretare l’art. 624-bis cod. proc. pen. nel senso che detta cessazione va ordinata dalla Corte solo nei confronti delle misure cautelari emesse nel corso del giudizio di appello e nell’ipotesi che l’annullamento della sentenza di appello venga disposto senza rinvio”); e affrontato, in secondo luogo, il profilo più direttamente riguardante l’oggetto dell’impugnazione, puntualizzando che il regime coercitivo personale attualmente imposto al prevenuto è il prodotto della rilevata scadenza dei termini massimi di custodia cautelare di cui all’art. 307 commi 1 e 1 bis cod. proc. pen. ed esprime, pertanto, il risultato della valutazione di persistenza del quadro delle esigenze cautelari.

Il motivo di ricorso, pertanto, è manifestamente infondato.