Istanza di revoca o sostituzione della misura cautelare presentata in udienza in assenza delle persone offese per i delitti con violenza alla persona: oneri dell’istante e profili di inammissibilità (di Riccardo Radi)

La questione affrontata recentemente dal tribunale di Roma sezione 7 collegiale e dal Gup del Tribunale di Roma ci permette di soffermarci sui profili di inammissibilità dell’istanza di revoca o sostituzione della misura cautelare avanzata dalla difesa all’esito dell’udienza in caso di assenza nel giudizio delle persone offese che seppur ritualmente citate per l’udienza, non siano comparse e non si siano costituite parte civile.

Il tema è ricorrente nella prassi quotidiana, la possibilità di avanzare istanza di sostituzione o revoca della misura cautelare all’esito dell’udienza dibattimentale o preliminare per i reati indicati dall’articolo 299 comma 2 bis cpp e la necessità di avvisare le persone offese, ex articolo 299 comma 4-bis, non presenti all’udienza.

In entrambi i casi di merito citati i pubblici ministeri hanno preliminarmente sollevato l’inammissibilità dell’istanza de libertate perché non accompagnata dalla prova dell’avviso alle persone offese assenti in udienza.

L’onere dell’avviso condiziona l’istanza de libertate e quindi – in concreto – l’esercizio del diritto di difesa da parte dell’indagato o dell’imputato, oltre al loro interesse a non vedere ingiustificatamente negato o sospeso l’esame delle richieste in una materia così delicata quale quella della libertà personale, con la conseguente necessità di un “contemperamento di due diversi ordini di beni tutelati e costituzionalmente rilevanti”, e specificamente dei diritti di libertà e difesa delle persone indagate o imputate e dei diritti di tutela della vita privata, dell’incolumità personale e dell’esercizio delle proprie facoltà da parte delle persone offese.

Fatta la premessa esaminiamo la questione presentatasi in concreto: la mancata comparizione della persona offesa all’udienza equivale a una tacita rinuncia a interloquire sulla domanda cautelare?

All’interrogativo posto la cassazione ha fornito, come al solito delle risposte contrastanti, la prima portata ad esempio dai pubblici ministeri è la seguente: L’imputato non può ritenersi dispensato dall’onere di notifica alla parte offesa stabilito dall’art. 299, comma 4-bis, in ragione del fatto che questa, seppur ritualmente citata per l’udienza preliminare, non sia comparsa e non si sia costituita parte civile, trattandosi di mero fatto processuale al quale non può ricondursi il significato di “abdicare” ad interloquire sulla cognizione della domanda cautelare, non essendo una tale conseguenza contemplata dall’ordinamento ed essendo principio generale che gli oneri processuali a delle parti devono avere una fonte legale, così come le conseguenze che al loro mancato esercizio vogliono ricondursi.

La Suprema Corte sottolinea che propendere per la soluzione interpretativa del ricorrente significherebbe anche svuotare di contenuto la disposizione censurata, alla quale, invece, deve riconoscersi natura precettiva e di sistema, in quanto volta proprio a costituire un effettivo contraddittorio sulle specifiche ragioni sottese alla domanda cautelare ad opera di colui che risulta titolare di quel bene – interesse leso dalla condotta criminosa” (Cassazione, sezione 2, 38497/2018).

Nonostante il precedente indicato sia il Tribunale di Roma sezione 7 collegiale e sia il Gup di Roma hanno ritenuto ammissibile l’istanza avanzata dalla difesa anche se sulla base di ragionamenti diversi.

In entrambi i casi la difesa aveva rilevato anche l’aspetto relativo al diritto all’informazione della persona offesa al sub-procedimento cautelare introdotto dalla richiesta di revoca o di modifica in melius della misura cautelare deve essere parametrato all’intervenuta fissazione dell’udienza e quindi del giudizio con tutte le facoltà previste per le persone offese.

A tanto si aggiunge che la notificazione dell’istanza ex art. 299, comma 4-bis, cod. proc. pen. è prevista in una fase processuale successiva alla chiusura delle indagini preliminari ma lo spartiacque della fissazione dell’udienza e della possibilità di parteciparvi indica per le persone offese il reale interesse di confrontarsi con il sub-procedimento cautelare e apprezzare la loro volontà di farne parte.

Assume rilevanza anche l’intervenuta nomina di un difensore ovvero la dichiarazione o elezione di domicilio effettuata dalla persona offesa.

Ed è proprio in relazione alla mancata indicazione del domicilio della persona offesa che il Tribunale di Roma ha ritenuto ammissibile l’istanza de libertate anche alla luce del precedente indicato dalla difesa che ha ricordato che la cassazione sezione 2 con la sentenza numero 12325/2026 ha stabilito che l’istanza di revoca della custodia cautelare in carcere presentata nel corso dell’udienza preliminare non deve essere notificata alla persona offesa, assente in udienza, che non abbia nominato un difensore o eletto domicilio, fermo il diritto dell’offeso di ricevere avviso della revoca o della sostituzione della misura.

La Suprema Corte nella sentenza richiamata ha ricordato che il riconoscimento di un diritto di partecipare al procedimento cautelare della persona offesa è condizionato alla manifestazione della volontà di esserne parte che si esprime attraverso la nomina di un difensore o l’elezione di domicilio, incombenti entrambi che assicurano la speditezza delle notifiche ed il contenimento dei tempi di emissione del provvedimento sulla cautela.

Nel caso di specie la persona offesa non eleggeva domicilio, né nominava un difensore, sicché deve ritenersi che la stessa non ha adempiuto gli oneri che condizionano il suo diritto alla partecipazione all’incidente cautelare.

Inoltre: l’istanza di revoca veniva proposta in sede di udienza preliminare, ovvero in una fase processuale alla quale l’offeso ha facoltà di partecipare avendo diritto alla notifica del decreto di fissazione dell’udienza preliminare.

La assenza dell’offeso, che ha ricevuto regolare notifica esprime, ancora una volta, una volontà di segno contrario a quella di volersi avvalere del diritto alla partecipazione effettiva al procedimento ed all’eventuale incidente relativo alla cognizione cautelare.

Alla presentazione dell’istanza in udienza consegue, infatti, la contestuale ed immediata comunicazione a tutti i soggetti processuali che hanno diritto a partecipare alla stessa.

Il pubblico ministero, diversamente dalla persona offesa è, tuttavia, parte necessaria: il diritto di partecipazione della persona offesa non condiziona in alcun modo la progressione processuale.

Il diritto di partecipazione dell’offeso dipende infatti dalla volontaria attivazione delle condizioni del suo esercizio ovvero:

a) nella fase procedimentale nella nomina del difensore o nell’elezione di domicilio, b) nella fase processuale nella partecipazione alle udienze, anche senza la costituzione di parte civile.

In assenza di tale manifestazione di volontà partecipativa l’offeso decade dal diritto alla notifica dell’istanza revoca, fermo il suo diritto a conoscere l’esito della eventuale revoca o sostituzione della misura previsto dall’art. 299 comma 2-bis cod. proc. pen., ed ora, anche dall’art. 90-ter cod. proc. pen. introdotto dal d. lgs. 212 del 2016.

In conclusione: deve ritenersi che l’esercizio del diritto dell’offeso alla partecipazione al procedimento incidentale cautelare (attraverso l’intervento nel contraddittorio che precede l’emissione del provvedimento sulla cautela) esige la manifestazione dell’interesse all’esercizio del diritto, essendo l’offeso soggetto processuale la cui partecipazione non condiziona la progressione processuale.

Pertanto: la persona offesa ha un diritto di partecipazione all’incidente cautelare che è condizionato alla manifestazione della volontà di esercitarlo, che si esprime attraverso la nomina del difensore o l’elezione di domicilio.

Tale diritto risulta altresì condizionato dalla effettiva partecipazione (diretta o tramite difensore) all’udienza preliminare, ogni volta che il decreto di citazione risulti correttamente notificato.

All’assenza della persona offesa dall’udienza non consegue dunque alcun onere di notifica dell’istanza di revoca presentata nel corso della stessa, fermo il diritto dell’offeso a ricevere avviso della revoca o sostituzione della misura.

Inoltre, nel procedimento davanti al Gup si è affacciato anche l’aspetto se pur secondario della cosiddetta “violenza occasionale” che vorrebbe circoscrivere la portata della previsione legale, ai soli delitti caratterizzati da fatti di violenza di particolare gravità.

Sul punto ricordiamo che esistono sentenze della Suprema Corte della sezione 2 che hanno introdotto il tema della violenza occasionale ma tale prospettazione secondo la giurisprudenza più recente non può essere condivisa, perché priva di un aggancio al dato testuale della norma, che non autorizza siffatta limitazione della sua portata applicativa.

Le due pronunce richiamate, entrambe della seconda sezione penale, ritengono debba escludersi l’inammissibilità dell’istanza di revoca o sostituzione delle misure cautelari coercitive applicate nei procedimenti per reati commessi con violenza alla persona, prevista dall’art. 299, comma 4-bis, cod. proc. pen., nei casi in cui il richiedente non provveda alla contestuale notifica dell’istanza di revoca o di modifica alla persona offesa, qualora quest’ultima sia vittima soltanto “occasionale” del reato, nel senso che non sussistano rapporti pregressi con l’autore del reato, ovvero non ricorrano pericoli di intimidazione o di ritorsione (n. 25135 del 25/05/2016, rv. 267236; sez. 2, n. 46996 del 08/06/2017, rv. 271153).

Si tratta di arresti basati sulla finalità perseguita dall’art. 299 e sulla concreta utilità di garantire la previa instaurazione del contraddittorio con il soggetto passivo del reato commesso con violenza in relazione al suo interesse ad interloquire sulle modifiche incidenti sullo stato di libertà dell’aggressore.

La più recente evoluzione giurisprudenziale avallata dalla pronuncia a Sezioni unite della Corte, secondo la quale nei procedimenti per delitti commessi con violenza alla persona, ai fini dell’obbligo della notifica della richiesta di revoca o sostituzione della misura cautelare di cui all’art. 299, comma 3, cod. proc. pen., “non è necessariamente richiesta l’esistenza di un pregresso rapporto tra autore del reato e vittima cui la notifica deve essere effettuata ovvero l’esistenza di un concreto pericolo di recidiva riguardante specificamente quest’ultima” (Sez. unite, n. 17156 del 30/09/2021, dep. 2022, Gallo, Rv. 283042 – 02)

Pertanto, la nozione di “delitti commessi con violenza alla persona“, utilizzata dal legislatore nel comma 2-bis dell’art. 299, cod. proc. pen., al fine di individuare l’ambito di applicabilità dell’obbligo di notifica alla persona offesa della richiesta di revoca o sostituzione della misura cautelare, ai sensi del successivo comma 3, evoca non già una categoria di reati le cui fattispecie astratte siano connotate dall’elemento della violenza (sia essa fisica, psicologica o morale) alla persona, bensì tutti quei delitti, consumati o tentati, che, in concreto, si sono manifestati con atti di violenza in danno della persona offesa (sez. 1, n. 49339 del 29/10/2015, rv. 265732; sez. 2, n. 30303 del 24/6/2016, rv. 267718; sez. 6, n. 27601 del 22/03/2019, rv. 276077).

Il referente normativo non consente incertezze o dubbi interpretativi, perché prevede come adempimento obbligatorio per la proposizione della richiesta di revoca o di sostituzione della misura cautelare, applicata nei confronti di soggetto che sia indiziato di delitti “commessi con violenza alla persona”, la notifica della richiesta stessa alla persona offesa dal reato, la cui mancanza determina l’inammissibilità dell’istanza, al fine di consentire alla parte lesa in quanto tale, ed a prescindere dalla sua costituzione quale parte civile, di interloquire, attraverso la presentazione di una memoria, in ordine alla decisione sulla condizione cautelare del richiedente.

Si evidenzia, in particolare, che l’onere dell’avviso condiziona l’istanza de libertate e quindi – in concreto – l’esercizio del diritto di difesa da parte dell’indagato o dell’imputato, oltre al loro interesse a non vedere ingiustificatamente negato o sospeso l’esame delle richieste in una materia così delicata quale quella della libertà personale, con la conseguente necessità di un “contemperamento di due diversi ordini di beni tutelati e costituzionalmente rilevanti”, e specificamente dei diritti di libertà e difesa delle persone indagate o imputate e dei diritti di tutela della vita privata, dell’incolumità personale e dell’esercizio delle proprie facoltà da parte delle persone offese.

Il punto di equilibrio è ravvisato, nel compimento, da parte della persona offesa dal reato, degli adempimenti previsti dall’art. 299 cod. proc. pen., attraverso i quali (nomina di un difensore ovvero dichiarazione o elezione di domicilio) la stessa mostra «interesse a conoscere le vicende processuali di colui che ha esercitato, e può continuare a esercitare, violenza nei suoi confronti e, al contempo, mette l’indagato o l’imputato nelle condizioni di effettuare celermente le notifiche necessarie a consentire la definizione del procedimento incidentale de libertate che lo riguarda». In tal senso l’aggiunta dell’inciso [«salvo che in quest’ultimo caso essa (la parte offesa) non abbia provveduto a dichiarare o a eleggere domicilio»] sarebbe conseguita alle perplessità, rappresentate da parte della dottrina, in ordine all’eccessiva onerosità dell’adempimento rispetto ai diritti dell’imputato, onerato della necessità di reperire il domicilio della persona offesa che non lo avesse eletto o dichiarato.

Detto percorso interpretativo è ripreso da Sez. 1, n. 1460 del 24/11/2020, dep. 2021, Rv. 280219, che, nel dar conto delle soluzioni non univoche date dalla giurisprudenza di legittimità alla questione di diritto, lo ha ribadito in fattispecie analoga, evocando a sua volta la confluenza nella medesima direzione ermeneutica della lettera della legge, della volontà del legislatore espressa dai lavori preparatori e di ragioni di ordine logico e sistematico.

In questo orientamento si collocano anche più recenti pronunce, e, in particolare, due conformi sentenze della Sezione Quinta penale (Sez. 5, n. 14028 del 12/02/2021, e n. 14029 del 12/02/2021, non massimate sul punto), che hanno affermato, previa ampia analisi della locuzione «delitti commessi con violenza alla persona», che l’onere informativo posto a carico dell’indagato deve essere ritenuto operante solo laddove la persona offesa abbia nominato un difensore di fiducia o abbia dichiarato o eletto domicilio nell’ambito del procedimento.

Si sottolinea, inoltre, che, in tale prospettiva, assume rilievo la manifestazione, sottesa agli indicati adempimenti, da parte della persona offesa del «suo concreto interesse per le sorti del procedimento che giustifichi l’imposizione degli oneri stessi» e che, sotto concorrente profilo, l’indicata limitazione dell’onere informativo, correlato al ridetto interesse, consente di escludere che la condivisa «indiscriminata subordinazione della ammissibilità dell’istanza cautelare al previo adempimento dell’onere informativo in favore della persona offesa in relazione a tutti i reati caratterizzati da violenza alla persona possa tradursi in una irrazionale ed ingiustificata compressione del diritto di difesa anche in quei casi in cui, come nella resistenza a pubblico ufficiale, non vi è alcun pericolo che l’autore del reato torni ad aggredire, fisicamente o moralmente, la persona».

Si annota, infine, che, già prima che il descritto contrasto interpretativo si delineasse espressamente, Sez. 2, n. 12325 del 03/02/2016, Rv. 266435 22 ha osservato, in linea con la rilevata necessaria manifestazione da parte dell’offeso del suo interesse all’esercizio del diritto alla “partecipazione al procedimento incidentale cautelare (attraverso l’intervento nel contraddittorio che precede l’emissione del provvedimento sulla cautela)”, che tale interesse si esprime attraverso la nomina di un difensore o l’elezione di domicilio, “incombenti entrambi che assicurano la speditezza delle notifiche ed il contenimento dei tempi di emissione del provvedimento sulla cautela”.

Essendo, invero, l’offeso “soggetto processuale la cui partecipazione non condiziona la progressione processuale”, il suo diritto di partecipazione – si puntualizza – dipende dalla volontaria attivazione da parte sua delle condizioni del suo esercizio, consistenti, segnatamente, nella fase procedimentale, nella nomina del difensore o nell’elezione di domicilio e, nella fase processuale, nella partecipazione alle udienze, anche senza la costituzione di parte civile, con la conseguenza che, in assenza di una manifestazione di volontà partecipativa, “l’offeso decade dal diritto alla notifica dell’istanza di revoca, fermo il suo diritto a conoscere l’esito della eventuale revoca o sostituzione della misura previsto dall’art. 299, comma 2-bis, cod. proc. pen., ed ora anche dall’art. 90-ter cod. proc. pen., introdotto dal d.lgs. 212 del 2016”.