Favoreggiamento: la clausola di esclusione che lo rende configurabile solo “dopo che fu commesso un delitto” non si applica quando il reato presupposto è permanente (di Vincenzo Giglio)

Secondo Cassazione penale, Sez. 1^, sentenza n. 48560/2023, udienza del 4 luglio 2023, il reato di favoreggiamento, in virtù del tenore letterale dell’art. 378 cod. pen., è configurabile solo con un’azione realizzata “dopo che fu commesso un delitto” ma tale espressione letterale rimanda piuttosto, quanto al presupposto positivo, alla necessità che il reato principale sia astrattamente configurabile e che, quindi, questo abbia raggiunto la soglia di minima rilevanza penale, cioè, quanto al delitto permanente, che questa permanenza abbia avuto inizio.

Da tale momento, quindi, il favoreggiamento è possibile e le condizioni alle quali ciò avviene dipendono dagli altri elementi costitutivi (negativi) della fattispecie.

Si osserva infine che la clausola di esclusione contenuta nell’art. 378 cod. pen. è modellata sul reato commesso in concorso ex art. 110 cod. pen., mentre diverso è il caso dell’associazione a delinquere, reato nel quale la partecipazione ha condotta tipica e tassativa, di specifico contenuto.

Il problema interpretativo va quindi affrontato dal punto di vista della tipicità dell’azione, sulla base dell’elemento soggettivo e del profilo di tassatività della condotta di partecipazione.

Senza poi dimenticare che il reato di cui all’art. 378 cod. pen. va ad incidere non sul bene giuridico protetto dal reato presupposto – l’ordine pubblico nel caso dell’associazione mafiosa – ma su quello autonomo dell’amministrazione della giustizia.

Sulla base di questa premessa interpretativa il collegio di legittimità ha riconosciuto la configurabilità del delitto di favoreggiamento personale in corso di consumazione del delitto associativo di cui all’art. 416-bis cod. pen. nel caso in cui la condotta dell’agente (consistita nel recupero e nella consegna di una microspia in favore di partecipe a una consorteria mafiosa) sia sorretta dall’intenzione di aiutare il partecipe ad eludere le investigazioni dell’autorità e non dalla volontà di prendere parte, con “animus socii“, all’azione criminosa.

Note di commento

Tutto chiaro? No, niente affatto, almeno secondo Cassazione penale, Sez. 2^, sentenza n. 17347/2021, udienza del 26 gennaio 2021, la quale, in risposta al motivo di ricorso di un imputato che chiedeva la derubricazione della fattispecie di concorso esterno contestata nei suoi confronti in quella di favoreggiamento personale, ha affermato che “la condotta favoreggiatrice ha per espresso dettato normativo un limite temporale: essa deve essere realizzata dopo la commissione del reato presupposto. Tale limite temporale si identifica secondo la dottrina tradizionale con il momento della cessazione del tentativo o della consumazione del reato o della cessazione della permanenza, poiché se la condotta di favoreggiamento viene realizzata prima di tali momenti il fatto non può che costituire concorso nel reato od azione indipendente. Detto orientamento rinviene conferma in un precedente di questa Corte, a mente del quale tanto il favoreggiamento personale quanto quello reale presuppongono, infatti, l’avvenuta consumazione del reato ascritto al soggetto favorito e, pertanto, qualora trattisi di reato associativo (nella specie, di tipo mafioso) occorre che si sia già verificata la sua cessazione, costituita dallo scioglimento del sodalizio, dandosi luogo altrimenti alla configurabilità, non del favoreggiamento, ma della partecipazione o del concorso esterno, a seconda che risulti o meno dimostrato lo stabile inserimento del soggetto nella struttura associativa (Sez. F., n. 27720 del 5/3/2013, Rv. 255622). Essendo dunque l’opera di ausilio stata prestata dal ricorrente allorché era ancora in essere l’associazione criminosa in favore della quale la condotta si è diretta, nessuno spazio vi sarebbe per l’applicazione dell’art. 378 cod. pen.“.

Il conflitto interpretativo non potrebbe essere più radicale: riguarda infatti il significato da attribuire all’espressione “dopo che fu commesso un delitto” (raggiungimento della soglia di minima rilevanza penale per la prima sezione, cessazione della permanenza per la seconda); rilievo autonomo dei reati permanenti (ammesso dalla prima in una prospettiva derogatoria rispetto all’ordinario assetto della clausola di esclusione che sarebbe modellata sul reato concorsuale, escluso dalla seconda); incidenza anch’essa derogatoria della diversità del bene giuridico protetto tra favoreggiamento e associazione mafiosa (accreditata dalla prima, esclusa dalla seconda); qualificazione della condotta di chi avvantaggia l’associazione mentre questa è ancora operativa (favoreggiamento personale per la prima, partecipazione o concorso esterno per la seconda).

Conflitti del genere creano un evidente deficit di prevedibilità e giustificherebbero ampiamente il ricorso alle Sezioni unite del quale, curiosamente, il collegio della prima sezione ha esplicitamente escluso la necessità.