Peculato per appropriazione di “energie umane”?  Forse sì, forse no, la Cassazione non chiarisce il dilemma (di Vincenzo Giglio)

Cassazione penale, Sez. 2^, sentenza n. 6865/2024, udienza del 23 gennaio 2024, ha avuto ad oggetto la questione dell’adattabilità della fattispecie di peculato alla condotta del pubblico ufficiale, nel caso di specie un sanitario, al quale era stato contestato di essersi appropriato dei beni pubblici utili per interventi chirurgici prospettati come necessari per la cura della salute dei pazienti ma in realtà consistenti in semplici correzioni estetiche.

Il difensore dell’imputato ha dedotto tra i vari motivi anche la violazione di legge unitamente al vizio di motivazione sostenendo che tra i beni oggetto della contestazione erano state inserite anche prestazioni professionali che non sono suscettibili di appropriazione indebita.

Il collegio decidente ha ritenuto non manifestamente infondato il motivo, osservando a sua volta che nella giurisprudenza di legittimità si contendono il campo due opposti indirizzi interpretativi.

Per il primo integra il delitto di abuso, e non quello di peculato, la condotta del pubblico ufficiale che si avvalga arbitrariamente, per finalità esclusivamente private, delle prestazioni lavorative dei dipendenti di un ente pubblico, atteso che le energie umane, non essendo cose mobili, non sono suscettibili di appropriazione (Sez. 6^, n. 37064/2020, Rv. 280551-03).

Per il secondo (espresso da Sez. 6^, sentenza n. 352/2001, Rv. 219085-01) la medesima condotta costituisce invece peculato.

Il collegio non ha ritenuto di prendere posizione e schierarsi a favore di uno dei due orientamenti, limitandosi a rilevare che l’esclusione della manifesta infondatezza consentiva l’incardinamento del rapporto processuale anche nella sede di legittimità e imponeva la dichiarazione di estinzione del reato per intervenuta prescrizione.

Peccato, si è persa l’occasione di fare chiarezza su uno dei tanti conflitti interpretativi alimentati dalla giurisprudenza di legittimità.

In attesa di futuri sviluppi ci si limita ad osservare che l’equiparazione di una prestazione professionale, dunque un’attività umana, ad una cosa mobile pare un’operazione di puro e arbitrario creazionismo giudiziario.

4 commenti

  1. Buongiorno,

    in relazione all’articolo in oggetto, segnalo che gli estremi della commentata sentenza (Cass. pen. sez. VI n.6865/2024 ud. del 23.01.2024) sono forse errati; tutte le ricerche eseguite con detti dati hanno esito negativo.

    Potreste cortesemente verificare?

    Nel ringraziare, cordialmente saluto.

    avv. Roberto Giannì

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    1. Gentile Avvocato, dopo il Suo input abbiamo naturalmente controllato e il numero della decisione è corretto così come tutti gli altri elementi identificativi specificati nel post che ha attirato la Sua attenzione. Cogliamo l’occasione per specificare a nostra volta che la sentenza è stata emessa da un collegio della seconda sezione penale e non della sesta come da Lei indicato per un evidente lapsus calami. Cordiali saluti.

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