Niente carcere a chi, agli arresti domiciliari con braccialetto elettronico, non risponde al citofono se il dispositivo non segnala allarme (di Riccardo Radi)

La tecnologia prevale sul controllo in loco se non risultano accertati problemi tecnici o manipolativi al braccialetto elettronico.

La Cassazione sezione 3 con la sentenza 4234/2024 ha disposto che deve essere cassata con rinvio l’ordinanza del Tribunale che ha rigettato l’appello proposto dall’indagato contro il provvedimento del giudice monocratico che aveva disposto la sostituzione della misura cautelare degli arresti domiciliari, applicati con il braccialetto elettronico, con quella della custodia in carcere, a causa dell’esito negativo del controllo degli operanti presso l’abitazione dell’interessato, dovendosi ritenere che abbia mera natura congetturale la motivazione secondo cui il mancato segnale d’allarme del dispositivo di controllo a distanza sarebbe dovuto a un malfunzionamento laddove non risulta accertato un problema tecnico né un intervento manipolativo.

Fatto

Con ordinanza del …, il Tribunale di Palermo ha rigettato l’appello proposto da E.Z., ai sensi dell’art. 310 cod. proc. pen., avverso l’ordinanza del … con cui il Tribunale di Palermo in composizione monocratica aveva disposto nei suoi confronti, ai sensi dell’art. 276 cod. proc. pen., la sostituzione della misura cautelare degli arresti domiciliari, applicati con il cd. braccialetto elettronico, con quella della custodia in carcere.

Ricorre per cassazione lo Z., a mezzo del proprio difensore, deducendo violazione di legge e vizio di motivazione.

Si censura l’ordinanza per avere il Tribunale ignorato il fatto che l’esito negativo del controllo degli operanti presso l’abitazione dell’indagato (avendo essi vanamente suonato al citofono e al campanello, nonché bussato con le mani) risultava smentito dalla stessa annotazione di P.G., in cui era stato precisato che la centrale operativa di Palermo, opportunamente allertata, aveva escluso che il dispositivo applicato allo Z. fosse in allarme.

Decisione

La sostituzione della misura domiciliare con quella carceraria è stata disposta all’esito negativo di un controllo espletato presso l’abitazione dello Z.

Nell’ordinanza impugnata, come in quella che aveva disposto la sostituzione, si dà atto dell’accuratezza del controllo: gli operanti avevano ripetutamente e a lungo suonato al citofono e al campanello della porta, senza ricevere risposta, constatando il regolare funzionamento di tali dispositivi.

In considerazione delle connotazioni approfondite della verifica, e dell’orario della stessa, il Tribunale ha ritenuto inverosimile la spiegazione offerta dallo Z. (secondo cui egli non aveva sentito il suono del campanello e del citofono perché stava dormendo).

Quanto poi alla specifica questione dedotta anche con l’odierno ricorso – relativa al fatto che la misura degli arresti domiciliari era stata applicata con attivazione del c.d. braccialetto elettronico, e che tale dispositivo non era risultato in allarme – il Tribunale ha ritenuto la questione priva di “rilievo determinante […] dovendosi ritenere, allo stato attuale degli atti, che ciò sia accaduto, all’evidenza, a causa di un malfunzionamento tecnico“.

La Suprema Corte ha fatto propri i rilievi difensivi.

Se è vero infatti che l’orario e le modalità del controllo potrebbero indurre a ritenere poco plausibile, sulla base dell’id quod plerumque accidit, l’ipotesi che lo Z. non avesse sentito il suono dei campanelli perché addormentato, è anche vero che il mancato attivarsi dell’allarme elettronico connesso al braccialetto applicato al ricorrente, attestato dalla Centrale Operativa, costituisce circostanza anomala ed al contempo significativa della concreta possibilità che, in effetti, lo Z. non si trovasse all’esterno della propria abitazione al momento del controllo.

Come già accennato, il Tribunale ha risolto la questione facendo riferimento ad un “malfunzionamento tecnico” che, “all’evidenza“, avrebbe determinato la mancata attivazione dell’allarme del braccialetto, nonostante lo Z. si fosse allontanato dalla propria abitazione.

Appare peraltro evidente il carattere apodittico di tale passaggio argomentativo, che risulta altresì strutturato in termini meramente congetturali, non avendo il Tribunale in alcun modo fornito elementi di supporto a tale ipotesi ricostruttiva, peraltro accolta in termini di “evidenza“: nessuna indicazione, in particolare, viene offerta in ordine allo svolgimento di accertamenti sul dispositivo, idonei a comprovare in effetti l’esistenza di un problema tecnico, o addirittura di interventi manipolativi.

È appena il caso di evidenziare, conclusivamente, che tale lacuna motivazionale non può dirsi in alcun modo colmabile con il richiamo del Tribunale alle pregresse condotte dello Z., che avevano determinato la progressiva sostituzione, in senso via via più restrittivo, delle misure applicate: si tratta invero di elementi di sicuro rilievo nel complessivo apprezzamento delle esigenze di cautela, ma che appaiono del tutto estranei all’ambito valutativo che qui rileva, evidentemente circoscritto alla verifica della effettiva sussistenza di una violazione, da parte del ricorrente, della misura degli arresti domiciliari.

Le considerazioni fin qui svolte impongono l’annullamento dell’impugnata ordinanza, con rinvio al Tribunale di Palermo per nuovo giudizio.