La Cassazione sezione 1 con la sentenza numero 5529 depositata l’8 febbraio 2024 ha esaminato la questione, prospettata dal ricorrente, attinente alla possibilità di considerare come espiazione della pena l’arco temporale in cui, successivamente al provvedimento del Tribunale di sorveglianza che ha revocato la misura dell’affidamento in prova ai servizi sociali, egli ha continuato ad essere sottoposto ai controlli notturni da parte dei carabinieri fino alla emissione dell’ordine di carcerazione.
La Suprema Corte premette che è certamente da escludersi che tale situazione possa essere qualificata come esecuzione della misura alternativa dal momento che, oltre ad essere stata espressamente revocata, ne mancavano in concreto gli elementi caratterizzanti, essendo stati interrotti i rapporti tra il C. e l’UEPE, successivamente al provvedimento di revoca.
Correttamente l’ordinanza impugnata ha, altresì, negato che la mera sottoposizione a controlli notturni da parte dei Carabinieri integrasse una restrizione tale da poter essere equiparata a pena detentiva effettivamente espiata.
Vale in proposito richiamare la giurisprudenza della cassazione la quale, sia pure con riguardo alla questione della possibilità di assimilare agli arresti domiciliari l’obbligo di dimora, in ragione della imposizione del divieto di allontanamento dalla abitazione, ha evidenziato che a tal fine assume rilievo determinante il lasso temporale quotidiano in cui tale limitazione venga imposta, dovendo essere eccedente l’arco di tempo che usualmente viene trascorso nella dimora per attendere alle ordinarie necessità di vita, riposo e cura della persona, «così oltrepassandosi quella naturale soglia di sacrificio che deriva necessariamente dalla sottoposizione a misura cautelare» (Sez. 1, Sentenza n. 37302 del 09/09/2021, Rv. 281908 – 01; Sez. 1, Sentenza n. 36231 del 08/11/2016, dep. 2017, Rv. 271043 – 01).
A tale criterio ha correttamente fatto riferimento il Tribunale di sorveglianza, il quale ha ineccepibilmente messo in rilievo come il lasso temporale (dalle 23.00 alle 06.00) durante il quale si era protraeva la permanenza in casa del C. era breve e comunque coincideva con l’usuale tempo di pernottamento.
Oltre a tali considerazioni, nella specie assume rilievo significativo la circostanza – anch’essa evidenziata dall’ordinanza impugnata – che il ricorrente era ben a conoscenza, oltre che del decreto del magistrato di sorveglianza che trasmetteva gli atti al Tribunale ai fini della decisione in ordine alla eventuale revoca della misura, anche dell’udienza fissata dal Tribunale di sorveglianza per l’esame della questione, dal momento che entrambi i provvedimenti gli erano stati notificati a mani. A quell’udienza, inoltre, ha preso parte il difensore di fiducia del ricorrente, al quale il provvedimento di revoca è stato notificato tramite PEC.
Ricordiamo che in tema la giurisprudenza di legittimità è da tempo orientata ad affermare che “ai fini della determinazione della pena detentiva da eseguire a seguito di condanna per un determinato reato, la misura cautelare dell’obbligo di dimora subita in relazione ad esso, qualora sia accompagnata dall’arbitraria imposizione all’imputato di obblighi tali da renderla assimilabile al regime degli arresti domiciliari (nella specie, la previsione del divieto di allontanarsi dall’abitazione estesa all’intera giornata) è fungibile con la pena inflitta” (Sez. 1, n. 3664 del 19/01/2012, Bonaccorsi, Rv. 251861)
Si è anche chiarito, così sottolineando la necessità che la misura cautelare sia incentrata sulla estesa protrazione dell’obbligo di permanenza domiciliare, che «ai fini della determinazione della pena detentiva da eseguire a seguito di condanna per un determinato reato, la misura cautelare dell’obbligo di dimora subita in relazione ad esso, non è fungibile, ai sensi dell’art. 657 cod. proc. pen., con la pena inflitta, salvo che sia accompagnata dall’arbitraria imposizione all’imputato di obblighi tali da renderla assimilabile al regime degli arresti domiciliari» (Sez. 1, n. 36231 del 08/11/2016 – dep. 2017, Rv. 271043).
Da tali pronunce, espressione di un orientamento consolidato, si desume che l’elemento discretivo in grado di assimilare agli arresti domiciliari le restrizioni subite in forza della sottoposizione alla misura cautelare dell’obbligo di dimora con annesso obbligo di permanenza domiciliare devono essere anzitutto arbitrarie, cioè non giustificate da specifiche necessità cautelari, e inoltre di tale estensione temporale da limitare, per la maggior parte della giornata, la libertà di uscire dall’abitazione.
Il fulcro della possibilità di assimilare agli arresti domiciliari l’obbligo di dimora è, cioè, rappresentato dalla imposizione del connesso divieto di allontanamento dall’abitazione ex art. 283, comma 4, cod. proc. pen. per un lasso temporale quotidiano che risulti eccedente, per un verso, le specifiche esigenze cautelari e, per altro verso, l’arco di tempo che usualmente viene trascorso nella dimora per le ordinarie necessità di vita, riposo e cura della propria o altrui persona, così oltrepassandosi quella naturale soglia di sacrificio che deriva necessariamente dalla sottoposizione a una misura cautelare.
