La Cassazione sezione 6 con la sentenza numero 5631 dell’8 febbraio 2024 ha ricordato che il riconoscimento dell’attenuante del ravvedimento operoso di cui all’art. 73, comma 7, d.P.R. n. 309 del 1990, non comporta automaticamente anche quello dell’attenuante di cui all’art. 74, comma 7, d.P.R. 9 ottobre 1990 n. 309.
La Suprema Corte premette che quanto al riconoscimento delle attenuanti di cui al comma 7 degli art. 73 e 74 d.P.R. n. 309 del 1990, le due fattispecie rispondono a presupposti diversi.
Va infatti rammentato che, secondo un costante orientamento, il riconoscimento dell’attenuante del ravvedimento operoso di cui all’art. 73, comma 7, d.P.R. n. 309 del 1990, non comporta automaticamente anche quello dell’attenuante di cui all’art. 74, comma 7, d.P.R. 9 ottobre 1990 n. 309, non coincidendo i presupposti delle due circostanze, in quanto la prima riguarda l’assicurazione, “ex post”, delle prove dei commessi reati e, ai fini della sua applicazione, è necessario che i dati forniti siano nuovi, oggettivamente utili e costituiscano tutte le conoscenze a disposizione del dichiarante, mentre per la concessione della seconda, è necessario che il contributo conoscitivo offerto dall’imputato, nel corso della consumazione del reato, sia utilmente diretto ad interrompere non tanto il traffico della singola partita di droga, bensì l’attività complessiva del sodalizio criminoso (Sez. 3, n. 23528 del 19/01/2018, Rv. 273563).
Ebbene, nel caso esaminato il ricorrente valorizza nel ricorso per entrambe le attenuanti speciali l’aver posto a disposizione degli inquirenti tutto il suo patrimonio conoscitivo, obiettivamente utile.
In ogni caso, il ricorrente non si confronta con la risposta offerta dalla Corte di appello, che ha definito la sua collaborazione limitata ad una mera “ammissione dei fatti” “del tutto riduttiva“, che non ha avuto alcuna utilità alle indagini e che tantomeno ha avuto l’effetto di interrompere l’attività del sodalizio.
