Cassazione penale, Sez. 1^, sentenza n. 5300/2024, camera di consiglio del 13 ottobre 2023, ha ribadito (in adesione a Sez. 1^, sentenza n. 43256/2018, Rv. 274517) che, ai fini della concessione dei benefici penitenziari ai collaboratori di giustizia, il requisito del ravvedimento previsto dall’art. 16-nonies, comma 3, DL n. 8/1991, convertito nella L. n. 82/1991, non può essere oggetto di una sorta di presunzione, formulabile sulla sola base dell’avvenuta collaborazione e dell’assenza di persistenti collegamenti del condannato con la criminalità organizzata.
Esso richiede invece la presenza di ulteriori e specifici elementi, di qualsivoglia natura, che valgano a dimostrarne in positivo, sia pure in termini di mera, ragionevole probabilità, l’effettiva sussistenza.
In applicazione di tale principio, in occasione del precedente citato la Corte aveva rigettato il ricorso contro l’ordinanza di diniego del beneficio della detenzione domiciliare con cui il tribunale di sorveglianza aveva rilevato che il “pesante” passato criminale del ricorrente, le pregresse violazioni del regime degli arresti domiciliari, nonché i comportamenti intimidatori in costanza di detenzione, anche successivamente all’intrapresa collaborazione, non consentivano di valutare il recente miglioramento della condotta inframuraria quale indice di pieno ed irreversibile ravvedimento.
