Siamo tutti Beniamino Zuncheddu (di Francesco Buonomini)

La drammatica vicenda giudiziaria che vede protagonista l’ormai famoso, a suo discapito, ex pastore sardo che ha visto finalmente riconosciuta dopo 33 anni di carcere la sua innocenza, non può non farci riflettere sul fatto che al suo posto avrebbe potuto capitarci e potrebbe tutt’ora capitarci ciascuno di noi.

Il 26 gennaio scorso in quell’aula della 4^ sezione penale della Corte di appello di Roma che, sebbene con enorme ritardo, ha rimediato, almeno dal punto di vista processuale, ad uno dei più grandi errori giudiziari della storia italiana, un brivido è corso sulla schiena dei presenti nel sentire la requisitoria del Procuratore generale e, soprattutto, la discussione dell’Avvocato Trogu.

Le parole con cui il PG Piantoni ha affermato che il testimone principale che prima non riconosce l’assassino perché col volto travisato e poi lo riconosce in Beniamino dopo che un poliziotto gli ha mostrato una sua foto, non ha mentito all’inizio ma lo ha fatto per trent’anni sino a quando, finalmente, è crollato, fanno rabbrividire.

La discussione dell’Avvocato Mauro Trogu è stata coinvolgente ed illuminante laddove ha efficacemente invitato tutti ad immedesimarci in quel testimone per capire perché abbia mentito.

Ha spiegato alla Corte e a tutti noi che il testimone cambia versione perché ha un concetto di giustizia diverso dal nostro. Da uomo semplice, che ha dimostrato di essere, vede nella forza di polizia che di fronte in quel momento, la Giustizia. Non vede un delinquente ma un poliziotto che sta facendo delle indagini e lui probabilmente nemmeno distingue tra indagine e processo, non ha chiara la differenza tra le diverse fasi. Lui crede che se un poliziotto gli dice questa persona ha minacciato tuo cognato, questa persona non ha un alibi, perché questo accade.

Nel momento in cui si vede rassicurato in quel modo, lui crede che la cosa giusta, cioè corrispondente a giustizia, sia quella di assicurare il colpevole. Si era convinto che era la cosa giusta da fare perché così era stato convinto dal poliziotto a fare e così stava in pace con sé stesso. Si è posto il problema di non lasciare libero quello che per il poliziotto era il colpevole.

Secondo Trogu la sentenza di appello che ha confermato la condanna di Zuncheddu è incredibile nel senso che si colloca a metà tra l’accertamento del passato e la premonizione del futuro perché descrive esattamente quello che è accaduto ma ne nega la possibilità.

Per il difensore il vizio logico in cui incorre la sentenza di appello che ha condannato Zuncheddu consiste nell’essersi posta in maniera troppo assoluta di fronte ad un possibile dubbio ragionevole affermando che per poter credere all’ipotesi del travaso (di informazioni ndr) noi dovremmo immaginare che il poliziotto abbia mostrato una foto di Zuncheddu rafforzando in lui l’idea che Beniamino fosse colpevole inducendolo a tacere dell’accordo fraudolento e ad accusarlo pubblicamente  davanti al Pm e al Gip etichettando come fantasiosa questa ipotesi, mentre di fatto, è proprio quello che abbiamo accertato in questo processo di revisione.

Ecco cosa può accadere se un’indagine parte col pregiudizio e se si superano troppo frettolosamente i ragionevoli dubbi che quell’indagine possa non essere stata corretta.

Ecco cosa può accadere se un investigatore invece di accertare i fatti e ricostruire la verità oggettiva cerca di modellarli affinché collimino con la sua ipotesi accusatoria.

Oltre a confidare nella stragrande maggioranza degli uomini in divisa che fanno il loro dovere possiamo fidarci del metodo che utilizzano e con il quale sono stati formati? 

Potremo mai essere garantiti e certi che prevarrà sempre l’elasticità e l’onestà intellettuale di abbandonare una pista investigativa che non dà frutti senza che vengano effettuate forzature pur di arrivare ad UN colpevole senza interessarsi di individuare IL colpevole?

Ebbene, se non ci si assicurerà che i pregiudizi vengano abbandonati e la presunzione di non colpevolezza non venga sostituita dal suo esatto contrario, se al pubblico ministero non si imporrà di accertare anche fatti favorevoli all’indagato come previsto dall’art. 358 c.p.p. come scrivevamo qui sempre su Terzultima Fermata, e soprattutto, se nessuno correrà mai nemmeno lontanamente il rischio di pagare personalmente per gli errori che dovesse commettere nel perseguire, prima, e giudicare, poi, un altro suo simile, gli errori giudiziari come quello che ha rovinato la vita di Beniamino Zuncheddu continueranno inevitabilmente a ripetersi.

Per questo, mai come oggi, sia per manifestargli una volta di più il nostro sostegno sia per immedesimarci nella sua situazione, come il suo avvocato ci ha suggerito di fare per comprendere meglio, possiamo e dobbiamo affermare a gran voce: SIAMO TUTTI BENIAMINO ZUNCHEDDU!